All’interno del Parco delle Cascine l’atmosfera era quella di un free festival inglese, fatto di natura selvaggia con cui stare a stretto contatto, e popolato da pubblico variopinto molto giovane. Ad aspettare i Die Antwoord era una folla che parlava chiaro. Una generazione che mostrava di riprendere su di sé le ultime subculture degli anni 90, dal rave alla psichedelia, dalla techno all’hip hop, riportandole tutte a nuova vita attraverso la musica e l’immagine del gruppo sudafricano. Quello che era successo prima con i free festival e poi con i rave (ovvero l’unione di punk, hippie, amanti della black music e della house all’interno di grandi manifestazioni musicali dal carattere rituale) si stava riformando dentro il parco delle Cascine, sebbene in forma molto ridotta, e caratterizzato invece da quella processualità che si associa ai concerti rock.
Ad accogliere il pubblico non ci sarebbe stato un sound system formato da diversi djs, bensì un gruppo, i Die Antwoord, presentati come le vere star della serata, la punta di diamante e l’incarnazione di questo nuovo processo di aggregazione ibrida (musicale e culturale) che muoveva le folle di quella serata.
Il pubblico era numerosissimo e disseminato nel verde delle gradinate dell’Anfiteatro. Come una massa di neo hippies aspettava l’inizio del rituale per abbandonarsi alla danza, per liberare il corpo e dedicarsi all’ascolto dei bassi che ne avrebbero scosso le viscere. Dopo una lunga attesa finalmente l’epifania di inizio concerto: un cacofonico Dies Irae ha investito l’Anfiteatro nel buio, mentre nel maxi schermo sul palco veniva proiettata l’immagine del ragazzo affetto da progeria che compare in un video del gruppo, il dj Leon Botha, scomparso nel 2011. In poco tempo il Dies Irae si è trasformato in O Fortuna dei Carmina Burana per poi degenerare in una versione techno dello stesso, fino all’esplosione finale che ha visto apparire sul palco il gruppo accompagnato da ballerini, tutti incappucciati in tute fluorescenti e difficilmente riconoscibili. Delirio totale della folla: le estetiche dell’uncanny e del brutto iper-relistico e surreale tipiche dei Die Antwoord hanno dato in quel momento il meglio, riuscendo ad unire sonorità sublimi ad immagini disturbanti, ballerini compresi, che non hanno mai mostrato il volto per tutta la durata del concerto.
La tensione del live è stata un continuo crescendo, con luci al neon, ultravioletti e filmati al limite del pornografico, in uno scenario che richiamava alla memoria le istallazioni da rave party. A partire da Fok Jolle Naaiers i pezzi si sono susseguiti in diversi climax tra cambi di bpm, passaggi serrati tra dubstep, reggaeton, techno, hip hop, rap e psy trance. Yolandi e Ninja erano perfettamente calati nell’atmosfera, irriverenti, offensivi e perversi come sempre: ovviamente non hanno dimenticato di mostrare le natiche al pubblico, hanno spesso sparato qualche “fuck” tra un discorso e l’altro, si sono fatti lanciare zaini e giacche dalla folla e si sono anche lanciati in un crowd surfing tipico delle rockstar. Sotto il palco il pubblico ha pogato violentemente come in un concerto punk hardcore, spaccandosi la testa su pezzi come Fatty Boom Boom, I Fink U Freeki, Pitbull Terrier e Cookie Thumper. Yolandi sebbene minuta e di bassa statura rispetto a Ninja e al robusto Dj Hi-Tek ha saputo tenere il palco perfettamente, circondandosi da ballerine più basse di lei, attirando sempre l’attenzione sulla sua figura in modi mai scontati soprattutto mimando l’atto dello squirting sulle facce del pubblico.
La perversione dei Die Antwoord, condita da quell’ingenuità kawaii tipica di Yolandi che porta un valore aggiunto alla loro estetica sudafricana Zef, si è mostrata ancor di più in un pezzo come Daddy dove Yolandi con la sua vocina giocattolo si è scatenata in una danza tribale, mentre sui maxischermi passavano caramelle a forma di cuore con scritte oscene e piccoli ometti dotati di organi sessuali sproporzionati. Alla fine del pezzo la folla è stata travolta da uno scoppiare orgasmico di bassi da sound system, e tutti hanno perso la testa sui 130 bpm.
In uno scenario come quello dell’Anfiteatro fiorentino la musica e le istallazioni dei Die Antwoord hanno trovato uno spazio perfetto, e sono state amplificate dalla risposta continua del pubblico che non ha mai smesso di ballare. Immaginari rave fatti di sfondi psichedelici e alieni, omini stilizzati, fotogrammi pornografici, movenze tipiche dell’hip hop newyorkese sono stati solo alcuni degli stilemi comunicativi che sono riusciti a creare intorno al gruppo un immaginario misto e in grado di formare una nuova coesione tra diversi generi, culture (europea e sudafricana) e stili.
Va detto. Die Antwoord live sono veramente un’esperienza corporea che farebbe impallidire anche i gruppi rock più tosti e cattivi. Pezzi come Ugly Boy, I Want To Eat You e Happy Go Sucky Fucky sono esplosi con un’energia devastante che ha trasportato tutti oltre il proprio limite fisico in una botta di endorfine. Nessuno voleva vedere la fine, tutti avrebbero continuato a ballare per tutta la notte.
Verso mezzanotte Ninja ha richiamato il pubblico esultante annunciando “one more fucking song”, e a chiudere il concerto sono stati il nuovo singolo Gucci Coochie e il pezzo Enter The Ninja, mentre il pubblico continuava a scatenarsi violentemente e a cantare a gran voce.
Esperienza unica, un rituale collettivo ibrido tra rave, discoteca e affiatamento da concerto rock. Sicuramente da rifare. Un gruppo veramente geniale e impeccabile nell’esecuzione live, che tiene l’attenzione ai massimi livelli ma che fa anche perdere la concezione dello spazio tempo nel medesimo istante.