Tutta la tradizione che Giulia Sarno ha sicuramente amato e assimilato viene riletta attraverso la forza di una scrittura peculiarmente femminile, come se lo sguardo di Baudelaire sull’evanescenza e il transito di una donna mutasse in una flâneurie interiore e soggettivamente visionaria; Il debutto sulla lunga durata per “Une passante”, ensamble che si affida alla voce di Giulia, le chitarre di Guido Masi e Sergio Schifano, il Contrabbasso di Michele Staino e le pelli di Simone Sfameli, è una fusione vitalissima tra l’informale del Jazz di strada, immerso nel fuoco dei riti di passaggio e le viscere della cultura bianca. “Wreckage” sostenuto dagli archi arrangiati da Gianluca Cangemi è un incipit formidabile, la reinvenzione di una forma americana secondo coordinate visionarie e cinematiche, con la voce di Giulia che disegna un tracciato ora avvolgente, poi improvvisamente aspro e urbano e ancora modulato in modo più netto tra cool Jazz e Pop. E’ solo un esempio del metissage colto e immediato che tiene insieme le dodici tracce di “more than one in number”; Giulia Sarno non è semplicemente una performer dalla grande duttilità, la sua forza risiede proprio nelle capacità narrative, una dedizione per la scrittura che forza i limiti angusti di un genere traghettandolo fuori dai confini dello standard, rischio che in altre mani si sarebbe potuto annidare dietro la porta. Alcune tracce portano con se una versione “nobile” di crossover, avvicinandosi alle ibridazioni di Ani di Franco, altre rimangono in equilibrio tra la freschezza del folktelling e uno specchio di suoni più sofisticato che non abbandona mai le origini più squisitamente “terrene”; brani come “Leaving”, “Lampshade”, “A une passante”, “You’re Music” si aprono su paesaggi sonori vastissimi che trascolorano dalla strada al deserto fin dentro lo spazio intimo e minimale di un piccolo club; se si ascolta con attenzione un brano come “Bless”, accostandolo alla cronometria coinvolgente di “Emotional Countdown”, si rimane letteralmente annichiliti dalla forza visiva di tutte le textures in campo, un gioco di accumuli e di vuoti, di forza trainante e sospensione astratta, contaminazione come gioco incessante tra complessità e immediatezza; more than one in number appunto. Non dev’essere solo casuale o da considerarsi come un vezzo la lunghissima ghost track, pianosequenza ricostruito con un’aderenza emozionale e quasi Zavattiniana che dalla doccia arriva direttamente all’atto della scrittura più intima e personale. Une passante, una delle prime sorprese per questo ingresso negli anni ’10.