lunedì, Novembre 18, 2024

Piccole Donne di Greta Gerwig: la recensione

Greta Gerwig incorpora il romanzo nella storia, l’autrice non è più Alcott ma l’intraprendente Jo, interpretata da Saoirse Ronan. In piedi di fronte alla porta di una redazione fa una pausa, un grande respiro, si prepara a vendere il suo primo racconto. Con le dita ancora macchiate di inchiostro attraversa New York di corsa, è riuscita nel suo intento. Jo balla quando nessuna la guarda, abbraccia con intensità le persone a cui vuole bene, crolla fisicamente quando soffre, il suo è un moto continuo, il movimento diventa un’estensione di sé che dà vita a tutto il resto. Gerwig decide di presentarle adulte, intrecciando il presente con il passato, a sette anni di differenza, quando ancora erano tutte e quattro adolescenti.

La nostalgia si tinge di toni caldi, il sole illumina la maggior parte delle scene mentre un grigio cupo cala sulla quotidianità corrente in questo incessante girotondo che aiuta a rivelare la completezza dell’arco di trasformazione di ognuna delle sorelle March. Vediamo come affrontano i problemi e il ruolo che la società tenta di far loro assumere. Jo è indipendente, non particolarmente interessata al matrimonio, testarda nel perseguire la scelta artistica che ha fatto anche quando capisce che le sue ambizioni si scontrano con le difficoltà finanziare in cui versa la sua famiglia. È una figura non così diversa da quella che Saoirse Ronan aveva interpretato per il precedente film della regista, Lady Bird, e non troppo lontana dalla Frances Ha, ruolo affidato alla stessa Greta Gerwig nel film di Noah Baumbach, una figura bohémien che senza un posto dove stare e sola continua a coltivare i suoi sogni.

Sarà Friedrich Bhaer, un Louis Garrel doppiato in modo vergognoso, a incoraggiarla a scrivere in modo realistico e sincero disarmandola con una scioccante verità: «Shakespeare è stato il più grande poeta che sia mai vissuto perché ha contrabbandato la sua poesia in opere popolari». Lui l’unico capace di metterla di fronte ai suoi limiti, per esortarla, a differenza di Laurie, il giovane della porta accanto che l’ha sempre amata e ammirata. Timothee Chalamet sembra romantico fin quando non risulta evidente che il suo vero desiderio non sia trascorrere la vita con una delle sorelle March ma con tutte loro insieme.

L’intero ensemble è formidabile e Gerwig eccelle nel ritrarre lo spirito e l’energia di una casa vivace, in cui le tensioni familiari si risolvono in pochi secondi e dove rabbia ed esuberanza sono facce della stessa medaglia. In queste mura a risplendere è Laura Dern, Marmee, la cui forza e carattere brillano silenziosamente in ogni angolo che occupa. Jo non è la sola eroina a combattere una battaglia per l’autodeterminazione, al suo fianco si schierano Meg, Emma Watson, che pur essendo ritratta come la più convenzionale, difende la validità della sua decisione, l’amore e il matrimonio, come opzioni equivalenti alla carriera della sorella. Beth, una timida e meno conosciuta Eliza Scanlan, trova riparo nel suono del pianoforte e nelle considerazioni del signor Laurence, un legame inaspettatamente tenero. Ma soprattutto Amy, la straordinaria Florence Pugh, è il contrappunto perfetto di Jo, due rappresentazioni simili ma completamente diverse su ciò che significhi essere una creativa. Piuttosto viziata e sciocca da ragazzina ma incredibilmente intelligente e onesta con se stessa da adulta. Gerwig riesca a umanizzarla e a mostrare come una artista di grande talento ma senza quel genio capace di farla risaltare in un mondo chiuso alle donne sappia diventare sorprendentemente equilibrata e arguta.

È questo il personaggio che nel gioco di incastri ordito dalla regista è capace di maggiore evoluzione. Amy adotta un approccio più machiavellico e pratico, vedendo nel matrimonio, come Jo, una proposta economica ma anche l’unica opzione per ottenere una sicurezza.

Se Greta Gerwig critica delicatamente l’idea antiquata di matrimonio come istituzione che garantisca la cura di una donna, allo stesso modo lo celebra quando fa di Jo una ragazza innamorata, piena di sentimento ma anche un’autrice audace, impavida nel contrattare con un uomo il suo valore e i suoi diritti, con gli occhi lucidi e pieni di soddisfazione per quella prima copia che prende vita con la sua copertina rigida con le lettere d’oro incise sopra.

«Ho avuto molti problemi, quindi ho scritto racconti allegri»: l’epigrafe a inizio film è già una dichiarazione d’intenti, per Louisa May Alcott sia un lieto fine.

Francesca Fazioli
Francesca Fazioli
Laureata nelle discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, ha frequentato un Master in Critica Giornalistica all'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico e una serie di laboratori tra cui quello di scrittura cinematografica tenuto da Francesco Niccolini e Giampaolo Simi. Oltre che con indie-eye ha collaborato e/o collabora scrivendo di Cinema e Spettacolo per le riviste Fox Life, Zero Edizioni, OUTsiders Webzine

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