martedì, Dicembre 24, 2024

The Gunman di Pierre Morel: la recensione

Non è possibile in questa sede dar conto del ruolo di Jean-Patrick Manchette nella reinvenzione del noir francese, in una stagione in cui l’influenza del genere veniva filtrata dalla prassi situazionista con un complesso avvitamento che lo ha avvicinato e allo stesso tempo allontanato dagli ambienti dell’internazionale. La Position du tireur couché (pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo Posizione di tiro) da cui è tratto il film di Pierre Morel, viene pubblicato nel 1981 quando la carriera dello scrittore francese è alla fine e il nostro tira le somme di uno stile che potremmo definire entomologico, rendendolo ancora più concretamente minimale e astratto, ottimizzando l’attenzione al dettaglio e costruendo uno scenario definito da più parti come un vero e proprio esperimento behaviorista, disinteressato all’approfondimento psicologico dei personaggi e al contrario attento agli oggetti, i dettagli, la descrizione delle armi da fuoco.

Per riprendere un concetto dello stesso Manchette, i suoi noir degli anni ’70, così lontani dai mondi interiori dei personaggi e più vicini all’esasperazione dei meccanismi causali sottintesi dalla macchina dello spettacolo d’intrattenimento, adottano una scelta che alla fine risulta come la meno manipolatoria possibile; non c’è spazio per il lirismo e la poeticità nel mondo letterario di Manchette, ma solo per il meccanismo, quasi si trattasse di un’esasperazione del modello Hammet-iano. “Posizione da tiro” è l’ultima conseguenza di questo processo, basta affrontarlo attraverso l’adattamento per i fumetti operato da Jacques Tardi, per capire quanto Manchette indicasse già con le parole un metodo sottrattivo, erosione incessante nei confronti di qualsiasi appiglio all’approfondimento psicologico.

Il film di Morel, esattamente come i fumetti di Tardi, coglie le figure umane in contesti architettonici inclusivi, dove lo scenario congolese viene sostituito dal guscio di cemento e vetro dei grandi complessi finanziari, tanto da spostare la dinamica principale nel rapporto tra sfondo e corpo, azione e reazioni comportamentali, un terreno fertilissimo per elaborare tutti i meccanismi dell’action movie alla luce di uno sguardo che diventa politico proprio per l’attenzione analitica all’ambiente, esattamente come succedeva nelle pagine dei romanzi di Manchette e nelle tavole di Tardi, già orientate al linguaggio di uno storyboard.

Sorprende che buona parte della critica statunitense si sia soffermata proprio sull’assenza di elementi a favore della psicologia dei personaggi, sull’esilità dell’ordito narrativo, stigmatizzando il lavoro che Morel ha messo in scena, partendo da riferimenti molto precisi e rielaborati con un’attenzione quasi filologica, consapevole di aver a che fare con una materia, quella del rapporto quasi comportamentista tra ambiente e corpi, che gli avrebbe consentito di affrontare quello stesso spirito attraverso il recupero di alcuni stimoli provenienti dal cinema action a cavallo tra gli ottanta e i novanta, declinati secondo quel punto di vista crepuscolare che ha già abitato le seconde e terze vite di O’Rourke e Stallone, e innestandosi nelle azioni e nel corpo di Sean Penn, vera e propria figura ritornante, molto più del rilancio di Liam Neeson che lo stesso Morel ha operato recentemente in una direzione inedita per l’attore nordirlandese (Taken).

Complice anche la fotografia sporca e olivastra di Flavio Martínez Labiano, a lungo collaboratore di Álex de la Iglesia e recentemente sodale di Jaume Collet-Serrat per i suoi action più recenti (Unknown, Non Stop) e che per Morel rielabora una grana non troppo distante dalle pellicole di genere della metà degli anni ottanta.

Al centro la relazione tra Jim Terrier (Penn) e Annie (Jasmine Trinca), la cui fisicità supera qualsiasi contraddizione etica, cogliendo due corpi sul bordo, i cui amplessi sono attraversati dalla stessa furia degli scontri a fuoco, molto vicini agli action francesi dei ’90, in quella rappresentazione della violenza che a poco a poco esplode nello spazio privato; in questo senso, lo sguardo di Morel è molto più politico rispetto alle superfici del meccanismo stesso, perché interpreta con altri mezzi e riferimenti la scrittura dello stesso Manchette, isolando la deriva della società occidentale nello spazio chiuso della sua architettura funzionale, una geometria da sabotare con uno spirito ferocemente dinamitardo.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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