Pare che ci sia un numero (ridottissimo) di “critici” fattosi fregare dall’impiego della voice over in The Lobster, quasi fosse un elemento disgiuntivo tra immagine e parola, capace di evidenziare uno scambio polisemico tra diegesi, sguardo ed elemento verbale secondo una prassi che procede per sovrapposizione, accumulo o al contrario cancellazione.
Per capire quanto non sia sorprendente e “dialettica” questa trovata basterà riguardarsi alcuni film di Claude Chabrol, ci vengono in mente istintivamente La Ceremonie e il penùltimo del maestro francese intitolato la fille coupée en deux, dove la decifrabilità del testo filmico inteso nella sua complessità trans-mediale è questione sottilissima; un gioco di specchi, rimandi, negazioni e affermazioni dello statuto stesso dell’immagine che si riverbera su tutta la messa in scena, dialoghi inclusi, lasciando libero lo spettatore di scegliere tra la parola e l’immagine, la registrazione di un magnetofono o i numerosi livelli di realtà e infine la visione o la cecità (ancora, il bellissimo La Rupture) senza che questi elementi diventino enunciazione e orientino lo sguardo verso la formazione di una soggettività coatta.
Lanthimos scimmiotta, malamente, il Godard di Week-end senza avvicinarsi a quel continuo sfalsamento tra verbale e visuale, giusto per ribadire che tutto il lavoro del cineasta greco, dal sopravalutatissimo Kynodontas in poi è un cinema chiuso e perfettamente regolato, del tutto accessibile e per niente innovativo, che utilizza lo schema e lo scudo dell’ironia in sostituzione del linguaggio.
Il cast di The Lobster tira fuori Kubrick, il critico medio ricorre a Bunuel o peggio ancora al “decostruzionismo” delle mitologie occidentali operato da Houellebecq. Puttanate talmente decifrabili che ci fanno rimpiangere (lo diremo fino alla nausea) i primi lavori del regista greco, ancora enigmatici e liberi dagli attuali artifici, incluso Attenberg della compare Athina Rachel Tsangari, tanto legato al corpo quanto invece negativamente zavorrato dalla pesantezza di una scrittura simmetrica l’ultimo pessimo Chevalier, riguardo al quale rimandiamo alla recensione scritta da Locarno, perfettamente applicabile a The Lobster. Cinema abbietto più che dell’abiezione.