Una delle regole d’oro della Berliner Schule è “weniger ist mehr”, less is more.
Angela Schanelec non vi ha mai rinunciato nei suoi film ellittici ed essenziali, Thomas Arslan ha pagato lo scotto di una sottrazione a volte controproducente, e Petzold, dopo Yella (2007), si è aggirato per anni nel suo mondo di fantasmi acquatici, realizzando sempre film inattaccabili ma tendenti alla scarnificazione.
Transit (2018), il suo adattamento da Anna Seghers ispirato alla crisi dei rifugiati, soffre di questa estrema riduzione ai minimi termini. A forza di togliere, cosa resta? Un film misterioso, ieratico, o solo il brutto tentativo di un film?
Per fortuna, con Roter Himmel il regista ripristina una forma, e una solidità, che parevano smarrite sul fondale marino. Il soggetto è semplicissimo: lo scrittore in crisi Leon (Schubert) trascorre qualche giorno in una casetta nel bosco, non lontana dal Mar Baltico presso Rostock, in compagnia dell’amico Felix (Uibel), che deve realizzare un progetto fotografico per l’università. La casa appartiene alla madre di Felix, e ha un’inquilina a sorpresa: Nadja (Beer), amante del bagnino Devid (Trebs). L’area è a rischio incendi, da cui il titolo Cielo rosso che è come la pistola di Čechov – prima o poi spara.
Impossibile dire di più. Inizialmente, si ha il sospetto che il processo di scarnificazione filmica sia arrivato allo stadio terminale, e che i dolori del giovane Leon, scrittore chiuso in sé stesso tanto da non saper più leggere il mondo, siano una sorta di Otto e mezzo petzoldiano, un’ammissione di spiaggiamento. Poi la sceneggiatura s’illumina, come di una bioluminescenza marina, l’incredulità si sospende che è un piacere e il film decolla con una serie di virate e di scene maestre (una su tutte: la storia raccontata da Devid) che conducono a un finale da piangere.
Da sempre attratto dall’acqua, come si vede in Yella, Barbara, Undine, Petzold gioca qui con altri elementi – il fuoco, il vento, la sabbia e il terriccio – senza però tirare in ballo rimandi mitici e snodi enigmatici. Tutto fila, per strano e a volte buffo che sia, tutto corre come un cinghialetto in fiamme.
Studio di caratteri, disamina spietata della professione di romanziere, storiella scema che alla fine funziona, Roter Himmel è la prima bella sceneggiatura di Petzold dalla morte di Harun Farocki. Spensierata e inquietante come una partita di volano coi racchettoni luminosi in una notte d’estate. Fotografia magnifica – soprattutto dopo il tramonto – di Hans Fromm e consueta selezione musicale di Petzold calibrata al millimetro. La colonna sonora sfoggia Tarwater, “andata” di Ryuichi Sakamoto dall’album async (2017) e sopratutto In My Mind (2020) del gruppo viennese Wallners, disinvoltamente perfetta tanto nei titoli di testa quanto in quelli di coda.
Paula Beer, magnetica, è la nuova Nina Hoss und das ist gut so.
Roter Himmel di Christian Petzold (Germania 2023, 103 min)
Interpreti: Thomas Schubert, Paula Beer, Langston Uibel, Enno Trebs
sceneggiatura: Christian Petzold
fotografia: Hans Fromm
montaggio: Bettina Böhler