domenica, Dicembre 22, 2024

Gretel & Hansel di Osgood Perkins: recensione

A partire dal titolo che inverte la priorità dei personaggi rispetto all'originale, il lavoro di Perkins si inserisce per la prima volta all'interno di un solco teorico ben preciso che da Angela Carter a Barbara Creed, da Teresa De Lauretis a Elaine Showalter, traccia i presupposti per una fabulazione alternativa che mantiene la libertà delle fiabe rispetto alla tirannia del tempo Storico, ma ne cambia le significazioni inscritte, assegnando altre connotazioni culturali alle figure coinvolte. Su Gretel and Hansel di Oz Perkins

Nell’ampio dibattito interno al femminismo post-strutturalista, dove il genere viene considerato come una costruzione sociale in continuo divenire, soggetto quindi a criteri di performatività, la fiaba occupa uno spazio analitico importante.
Attraverso la definizione di alcuni archetipi, il canone letterario della tradizione ha contribuito alla sedimentazione di uno strumento ideologico utile alla trasmissione del sistema patriarcale come unica possibilità di interpretazione del reale.
Nello spazio finzionale del fantastico, la rappresentazione del genere segue criteri ben precisi, dove la distribuzione dei personaggi maschili e femminili, riserva ai primi la direzione e la soluzione dello schema narrativo. Al contrario, debolezza, malvagità e pulsioni irrazionali caratterizzano le uniche espressioni del femminile, collocato ai margini del racconto e destinato a potenziare la soggettività dominante.

Hansel & Gretel, una delle fiabe più note dei fratelli Grimm imposta sin da subito questo binarismo polarizzato, descrivendo la bambina come individuo travolto dalle emozioni dopo il distacco dal nido famigliare e il fratello vera e propria bussola razionale dell’intera vicenda.

La nota espressione pronunciata da Hansel “non preoccuparti, troverò una via” è il cuore della storia, dove il ricongiungimento con la figura paterna rappresenta il movimento definitivo che traccia una linea di separazione tra ruoli e rilevanze sociali. Le madri vengono collocate oltre quella linea, come figure incapaci di nutrire da sole i propri figli, oppure come esseri mostrificati che li divorano.

L’interesse di Oz Perkins per i personaggi femminili, luogo misterioso e instabile che gli ha consentito di lavorare su psicologie meno confortevoli e prevedibili, si unisce ad un sincero e più volte dichiarato “sguardo femminista”, tanto da consentirgli di accogliere la sceneggiatura di Rob Hayes elaborata dal testo dei Grimm.

A partire dal titolo che inverte la priorità dei personaggi rispetto all’originale, il lavoro di Perkins si inserisce per la prima volta all’interno di un solco teorico ben preciso che da Angela Carter a Barbara Creed, da Teresa De Lauretis a Elaine Showalter, traccia i presupposti per una fabulazione alternativa che mantiene la libertà delle fiabe rispetto alla tirannia del tempo Storico, ma ne cambia le significazioni inscritte, assegnando altre connotazioni culturali alle figure coinvolte.

Quel “troverò una via” che determina il potere di Hansel nell’organizzare l’esito sociale del racconto, subisce uno spossessamento e diventa rivendicazione identitaria per Gretel.
Il percorso di formazione e la difficoltà di orientarsi in un mondo pieno di insidie, è adesso accordato sulla volontà decisiva del personaggio femminile nel condurre una scoperta di se che include anche un nuovo dialogo con le forme dell’abiezione.

La strega, incarnazione del male assoluto il cui destino tradizionale è quello di esser soppressa in virtù di un’alterità irriducibile rispetto ai valori dell’occidente cristiano, ha adesso una sua origine attraverso l’incorporamento di un’altra fiaba che unisce in forma simbolica il percorso delle madri.
Holda esercita il male e divora bambini ereditando un potere assoluto sugli elementi dalla figlia malvagia, a sua volta iniziata da una strega e confinata nella prima parte del film nello spazio mitico del racconto orale.

Questa circolarità tra vittime trasformate in carnefici, elemento centrale nel cinema di Perkins, determina la trasmissibilità del male da una prospettiva che elide il giudizio morale e allo stesso tempo sovrappone le possibilità del femminile di partecipare all’esercizio del potere, bilanciando tenebre e luce in uno scambio semantico necessario.

Viene allestito un potente impianto visuale che attinge da diverse storie dell’arte, dell’architettura e dell’esperienza sapienziale, aggregate secondo principi isocroni.
Genera spaesamento l’esplicitazione di elementi brutalisti che caratterizzano la struttura dell’abitazione della strega, collocata in mezzo alla foresta. Allo stesso tempo una simbologia molto forte che riconduce alla tradizione alchemica, come spazio della trasformazione che ha influenzato, per esempio, molti dei romanzi della Carter, investe di un fascino innegabile, ma ingombrante, l’usuale attenzione di Perkins per la qualità autonoma e indecifrabile degli interni e degli oggetti che ne delineano, sopratutto in termini contemplativi, tutte le stratificazioni temporali.

Gretel & Hansel è allora un punto debole nella filmografia di Perkins, per la chiarezza teorica con cui viene costruito un compendio forse poco conosciuto solo per chi non ha mai affrontato un percorso disciplinare legato a Women’s studies.

E in questo senso Gretel & Hansel è molto incisivo nella prima parte, quando le due fiabe si intersecano con modalità misteriose e la brutalità di un mondo arcaico immerge la formazione infantile nell’orrore di un mondo dominato dai principi economici stabiliti dal patriarcato.
Meno convincente quando emerge la dimensione iniziatica. Da una parte il tentativo di ricostruire l’immaginario fiabesco con una libertà combinatoria che dai Grimm procede, per esempio, verso Lewis Carroll. Dall’altra l’emersione di un tracciato sin troppo didascalico, che da quel magma creativo, estrae una visione definita dell’incorporazione reciproca tra bene e male, dove le pulsioni distruttive e contrarie ad una interpretazione culturale della natura, sostituiscono continuamente rifiuto e affezione, energie abortive e appartenenza.

Gretel che ricaccia nel bosco Hansel per salvarlo da sicura soppressione e allo stesso tempo dalla nuova se stessa, libera di scegliere indifferentemente la via dell’oscurità o quella della luce, è un’immagine tanto bella quanto evidente, come le unghie che improvvisamente si tingono di nero.

Il tentativo di riscrivere il lessico horror di ascendenza popolare rinuncia non solo alla dimensione contemplativa, ma anche al grande lavoro di sound design che caratterizza i precedenti film di Perkins, affidando alla cupa electro-wave di Robin Coudert un contraltare diretto rispetto alla supremazia visuale del film, capace di assorbire le possibilità e gli stimoli in gioco entro uno spazio rappresentativo chiuso e più evidente da decifrare.

Rimangono le straordinarie ambiguità di Sophia Lillis e Alice Krige, entrambe agganciate ad un percorso matrilineare non riconciliato.

Perkins in questo senso è straordinario nell’indicare con la forza di alcune immagini la differenza tra creazione e generazione attraverso il legame delle madri con le figlie.

Uccidere la propria prole è una scelta possibile, opposta eppure coincidente alla spinta propulsiva verso la conservazione della specie.

Holda e Gretel condividono la medesima separazione violenta dalla famiglia nucleare ed entrambe sperimentano che soppressione e conservazione delle proprie radici possono significare perdita e acquisizione di quel potere necessario per raggiungere l’affermazione personale.
Visione radicale e oscura, che rimane fortunatamente enigmatica nel nuovo corso di Gretel dopo la soppressione di Holda, madre putativa.

Quale strada scegliere senza il tremebondo Hansel e soprattutto, da quale parte della luna?

Gretel & Hansel di Osgood Perkins (Gretel & Hansel, CANADA, USA 2020)
Regia: Osgood Perkins
Sceneggiatura: Rob Hayes
Interpreti: Sophia Lillis, Sam Leakey, Alice Krige, Jessica De Gouw
Fotografia: Galo Olivares
Montaggio: Josh Ethier, Julia Wong
Musica: ROB

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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