Agiata famiglia giapponese in posa per foto di gruppo.
E’ l’incipit del film, occupa una lunga sequenza girata con macchina fissa in campo lungo nel parco della villa, il montaggio alterna scene di interno con i preparativi per i festeggiamenti, è il compleanno della mamma e sono riuniti tutti, fratelli, sorelle, cognati più Ryokicho, nipote unico che non brilla per intelligenza e sapremo ben presto che va male a scuola.
Alla fine arriverà di corsa, infilando al volo la giacca, anche Shojiro, il figlio bello e scapestrato che rubacchia al padre per investire in donne e saké. Era ancora in kimono a perder tempo in camera sua fino a poco prima. Un clic con la peretta della fotocamera e l’omino/fotografo riemerge dal drappo facendo un inchino a tutti.
Strano a dirsi, non ha chiesto di sorridere. In serata il patriarca muore d’infarto, qualcuno dei figli sussurra che beveva troppo saké, ma è subito rimbeccato da un altro che fa un elogio di quell’uomo “puro di cuore e dalle mani pulite”.
Nel bilancio post mortem fatto dal casalingo consiglio di amministrazione della famiglia Hoda si scopre che il patriarca, anni prima, aveva sottratto una bella somma alle casse dell’azienda, rimandando sine die la restituzione. Ora la responsabilità ricade sui figli che, con grande senso del dovere, decidono di vendere tutto il patrimonio immobiliare e gli arredi di famiglia, onorando così i debiti. Le nuove famiglie ormai sono formate, la vecchia villa sul mare non è più abitabile, Shojiro se ne andrà in Cina a cercar fortuna (siamo ai tempi dell’occupazione giapponese) restano solo la madre e la giovane e dolce Setsuko.
Cosa fare di loro?
Il pretendente della ragazza ha fatto subito retromarcia alla notizia del tracollo finanziario, d’altra parte è impensabile che una donna si metta a lavorare per vivere, rendite non ce ne sono, dunque bisogna che le due donne vengano ospitate dai fratelli, e non solo loro due, ci sono pure la servetta, la gabbia con il merlo e una collezione di piantine che la mamma cura e innaffia con autentico affetto. Come in ogni famiglia che si rispetti, le due donne verranno rimpallate dall’uno all’altro componente maschio fino a quando decideranno di non poterne più delle mortificazioni e se ne torneranno da sole nella vecchia villa sul mare, per vivere di cosa non sappiamo. Trascorre un anno, la cerimonia per la commemorazione del padre riunisce di nuovo la famiglia in solenne cerimonia. Sono tutti in eleganti kimono neri in uno scenario di grande compostezza rituale, risuona la nenia funebre e il sutra sarà particolarmente lungo, al punto che alla fine qualcuno si lamenterà per le gambe anchilosate.
Nel pranzo che segue la cerimonia, Shojiro darà una bella lavata di capo a fratelli, sorelle e cognati tutti per il vergognoso trattamento riservato a madre e sorella.
Rimasto solo con loro, le convincerà a seguirlo in Cina dove, dice, “il cielo sembra più alto”.
L’ultima scena sul mare, con lui che fa una ritirata strategica per non incontrare l’amica che la sorella vorrebbe fargli sposare, e che a lui non piace, è il tocco del maestro, la firma d’autore.
Siamo nel ’41, Ozu è tornato alla macchina da presa dopo quattro anni passati prima in guerra e poi a lottare con la censura.
E’ maturato ormai il tema dominante degli anni successivi, la famiglia e la sua decadenza, siamo al tramonto dell’etica con l’esplosione di quello che nel ’58 Edward Banfield, sociologo americano, definì “ familismo amorale ” nello studio “Le basi morali di una società arretrata” .
Lo sguardo di Ozu anticipa con gesto discreto e sicuro, gli bastano poche inquadrature, un dialogo scarno, intriso di quotidianità, il silenzio immobile che dice più di tante parole, la dolcezza remissiva di donne su cui il suo sguardo si posa, leggero, a cogliere ogni sfumatura e contrazione dolorosa.
La compostezza è la sua cifra, c’è un mondo che crolla davanti a lui e bisogna rifondarne le basi.
“Quello che conta è la sincerità”, fa dire a Shojiro, che stringe intorno a sè quel che resta del grande clan, esorta a mangiare le buone cose che erano state preparate per il pranzo, riporta il sorriso alla madre e dice al vecchio corvo in gabbia che andrà in Cina con loro: “Adesso non ti abbronzerai più”.