martedì, Novembre 5, 2024

Inizio di primavera di Ozu Yasujiro: la recensione

Shoji Sugiyama, sui quaranta, espressione mesta e irresoluta, è un sararyman, membro a pieno titolo di quella classe impiegatizia che ogni mattino dà un colpo rabbioso alla sveglia, si alza controvoglia e, camicia bianca e cravatta ben annodata, affolla strade e metro di Tokyo, si schiaccia su treni sovraffollati e arriva davanti alla grande azienda dalle mille finestre tutte uguali, rettangoli neri in campo bianco che lo ingoiano per poi risputarlo fuori, la sera, per un percorso all’incontrario verso striminzite case di legno dell’estrema periferia, dove una moglie paziente gli fa trovare la cena.

Una sosta per un saké con gli amici prima di rientrare, una gita aziendale fuori porta la domenica dove la moglie, comprensibilmente, preferisce non andare, una collega un po’ vispa e passabilmente carina che lo punta e gli strappa un invito a cena, ecco i diversivi di mister sararyman, la cui espressione continua ad essere mesta, la routine lo massacra e l’evasione sessual-sentimentale quasi lo atterrisce.

Hai paura di tua moglie?” gli fa la sfrontatella che i colleghi, non sappiamo perché, chiamano Pesce rosso.
”, risponde il nostro, persona di poche parole ed evidentemente impacciato nell’approccio amoroso.
Film memorabile perché Ozu gira qui la prima e unica scena di bacio della sua carriera, seguita da breve sequenza in camera d’albergo dove, a cose fatte, Shoji è in piena crisi d’identità, non vede l’ora di andarsene, è al limite della maleducazione. Infatti lei glielo grida dietro, ma poi sorride soddisfatta, la piccola Pesce rosso è uno strano fenomeno di incoscienza e innocenza al tempo stesso. Ozu la tratteggia a brevi pennellate, un acquerello, si direbbe, mentre Masako, la moglie bella e seria di Shoji, è severa e statuaria come le donne di Mizoguchi.

Un reality anni ’50, Soshun, il ricordo della guerra recente reso in chiave ironica serpeggia qua e là, ma prevale il grigiore quotidiano, mai un guizzo che preluda ad un riscatto vitale, il Giappone post-bellico è una macchina ben oliata per annullare ogni aspirazione di diversità. Ci si destreggia tra kimono e abiti occidentali, si vive in bilico fra tradizione e innovazione, i modelli standardizzati imperano sotto il vigile controllo della collettività che fa di tutto per autoreprimersi.
I colleghi di Shoji e Pesce rosso organizzano perfino un noodle party a casa di Triglia (altro soprannome misteriosamente ittico) per dare una strigliata ai due trasgressori, amici zelanti e solidali con le mogli legittime non mancano mai.

Shoji non è con loro, è andato a trovare l’amico malato (piccolo particolare, sapremo ben presto che il poverino morirà il giorno dopo, ma niente di straziante, si va per condoglianze e via). Dunque la ramanzina per la scappatella toccherà solo a lei, Pesce rosso, che si difenderà come potrà e se ne andrà via sbattendo la porta. C’è però nel gruppo una specie di grillo parlante, uno che fa notare come, in realtà, la loro sia più invidia che solidarietà e quanto cattivo e meschino sia il loro impicciarsi dei fatti altrui, visto che ne fanno materia di gossip perfino dal benzinaio. Tornano stilemi e immagini consuete, l’instancabile ripetitività di Ozu, i suoi treni sferraglianti, le ciminiere sbuffanti, sei, quattro, tre, infine una sola, con pennacchio nero più intenso, in rapida sequenza. Brevi soste su radure erbose o banchine sotto il ponte per guardare un veloce equipaggio di canottieri e pensare alla gioventù e a quanto si era felici allora.

Disillusione e solitudine, ecco la condizione attuale. Semisprofondato davanti al bancone del bar, mentre parla con faticosa lentezza ai colleghi, uno del gruppo dice: “Ho lavorato trentun anni per scoprire che la vita è un sogno vuoto. Un giorno, in gita scolastica, ci fermammo davanti alla villa dell’ex ministro del tesoro Ikeda. Il prato era pieno di erbacce, restava solo la bouganvillea nell’abbandono… La vita è effimera”. Di fronte a tanta filosofia un collega non trova di meglio che chiedergli cos’è una bouganvillea.

Per tornare al nostro sararyman, la proposta del capo di trasferirsi per tre anni in un paesino lontano da Tokyo per studiare i processi di produzione della Mitsuhishi sembra l’unica via di fuga, ora che la moglie lo ha lasciato dopo aver scoperto tracce di rossetto nel fazzoletto.
Virata verso un dramma passionale a forti tinte?

Proprio no, Masako non sembra affatto innamorata del marito, il rapporto è logoro e si trascina nell’abitudine, lui dimentica perfino l’anniversario della morte del figlioletto e lei preferisce chiacchierare con l’amica piuttosto che far la spesa e cucinare. Per onestà intellettuale nega di essere gelosa, ma chi si fa più problemi nell’arginare la trasgressione extra matrimoniale è proprio lui, che allontana Pesce rosso con un certo fastidio. La famigliola si ricostituirà a Okayama, dove la moglie raggiungerà ben presto Shoji. Tutto rientra così nell’alveo, anche a Okayama le ciminiere eruttano veleno e il treno fa un ciuf ciuf che Ozu si diverte a registrare con pignola precisione. “Il treno è partito” è l’ultima frase di un dialogo quasi inesistente tra i due, nessun dubbio che continueranno così finchè morte non li separi.

Un magico, inatteso assolo di violino chiude il sipario, così come l’aveva aperto all’inizio mentre scorrevano i titoli di testa sulla consueta tela di juta. Il Maestro Saito Kojun collabora divertito con la sottile ironia di Ozu, il pieno orchestrale che lancia ogni volta che appare la grandiosa facciata spettrale della Mitsuhishi è un capolavoro di raffinato umorismo.

E l’inizio di primavera del titolo? In realtà è estate, si lamentano tutti continuamente del caldo, i ventagli sventolano a più non posso. “Sono malato già da 100 giorni, a maggio il cielo era azzurro chiaro, era il periodo della Festa dei Ragazzi. Ora ci sono le nuvole da estate inoltrata …” A Muria, l’amico malato che parla a fatica mentre Shoji gli deterge il sudore, Ozu affida l’incarico di spiegarci il senso dell’altrimenti incomprensibile titolo del film.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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