martedì, Novembre 5, 2024

Storia di erbe fluttuanti di Ozu Yasujiro

Ukigusa Monogatari, nella corretta traduzione di Donald Richie La storia della lenticchia d’acqua, appartiene alla produzione shomin-geki, drammi di gente comune che dal muto passarono al sonoro con lo stesso stile.
Un tipo di film – osserva Richie – che fa dire a molti spettatori “qui si parla di noi”, lo shomin-geki mise in scena esistenze di basso profilo, rapporti famigliari e sociali dentro cornici proletarie o piccolo borghesi, utilizzò registri spesso comici, a volte aspri, per atmosfere smorzate in cui sfumò definitivamente la dimensione del mélo.

Scene girate ad angolazione bassissima dalla macchina da presa per gli interni, pochi esterni di forte suggestione visiva, sobrietà di mezzi cinematografici e un interesse quasi esclusivo alla costruzione del personaggio fanno di Ukigusa monogatari, uno degli ultimi “muti” di Ozu, un film di sicura e sobria bellezza.
La “lenticchia d’acqua” (le erbe fluttuanti del titolo) è il gruppo di attori girovaghi di una compagnia teatrale che torna dopo alcuni anni nel villaggio rurale dove il capocomico, Kihachi (Sakamoto Takeshi), circa vent’anni prima aveva contribuito all’incremento demografico del paese con la collaborazione della prosperosa proprietaria della rivendita di liquori.

Il giovane Shinkichi (Hideo Mitsui), il figlio lasciato a crescere con la madre, è ora un bravo studente che si distingue dalla massa ignorante del paese e non sa chi sia il padre, credendo Kilhachi, assiduo della casa, uno zio.
Tra i due c’è un bel rapporto, Kilhachi ha finanziato le spese per i suoi studi raschiando fino in fondo le magre risorse della sua attività di girovago, il ragazzo è il suo orgoglio e tutto filerebbe liscio se la sua attuale amante, un’attrice della compagnia, non scoprisse il segreto.
Lo sbaglio di Kilhachi è di maltrattarla, ripudiandola con disprezzo dopo una sceneggiata nella casa/rivendita di liquori dell’ex amante: “Mio figlio non sarà mai uno come te!”.

Inevitabile a questo punto la rivalsa della giovane che non ha niente di odioso nel tessere questa trama.
Ozu la tratteggia con mano delicata, lei vuol solo dare una lezione a quel borioso di Kilhachi che osa anche schiaffeggiarla, e ci riesce alla grande, servendosi della bella attrice della compagnia, Otoki, che intreccia una relazione col giovane “intellettuale” figlio di Kilhachi.
La scoperta della cosa genera un duro scontro tra padre e figlio (un’attrice con quel genio di mio figlio? orrore! una donna perduta!) ma, come sempre, amor omnia vincit, i due si sono innamorati e a Kilhachi non resta che prenderne atto.

Purtroppo però i guai non sono questi! La troupe è sull’orlo del fallimento perché al già duro e mal considerato mestiere dell’attore si è aggiunta la pioggia ad impedire le recite, filtrando dappertutto e facendo marcire scenari e costumi. Dunque a Kilhachi non resta che svendere tutto il materiale di scena in una scena memorabile che non ha bisogno del colore per essere un capolavoro di cromatismo pittorico, e mettersi di nuovo in cammino con una promessa a sè stesso, tacitamente rivolta anche al figlio di cui vuol diventare degno: “ Tornerò quando sarò un attore famoso ”.
Alla stazione riunirà il suo destino a quello della giovane amante Otaka e, pace fatta, partiranno insieme per chissà quante altre mete, erbe galleggianti sulla superficie della vita, spinte da invisibili correnti sotterranee.

Del film Ozu girò un remake in technicolor nel ’59, mantenendo nella sostanza lo stesso sviluppo, ma il giudizio critico è concorde nel ritenere più valido il muto, in particolare nel tratteggio della figura del figlio.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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