Il coro di Tokyo fonde in coerente unità spunti tratti da un romanzo di Kitamura Komatsu e segna una tappa importante nella nascita del “tocco di Ozu”, non meno vitale di quello dei suoi maestri hollywoodiani, Chaplin e Lubitsch, su cui si era esercitato il tirocinio fondamentale dei suoi inizi.
Ultimo film di Ozu, ultima testimonianza di una storia artistica e umana impareggiabile, ultima bevuta di sakè prima del silenzio. Di nuovo il sala il 20 luglio per il ciclo Ozu promosso da Tucker Film
Torna in sala il prossimo 22 giugno l'Indiscusso capolavoro di Ozu Yasujiro, breve epopea di una famiglia che si disgrega intorno ai due anziani genitori, Tokyo monogatari è una storia semplice, come tutte le storie del più giapponese dei registi giapponesi, ma contiene tutto il repertorio della condizione umana racchiuso nel “labirinto della semplicità”.
Di A little chaos si potrebbe dire che è un’opera riuscita a metà, ricca di potenzialità ma con nodi irrisolti, difettosa nel delicato e complesso rapporto fra realtà e invenzione operante nella genesi di un’opera d’arte.
Fury racconta la coda più sporca della guerra, quella in cui si continua a morire con la pace in arrivo. Non issa bandiere né accampa ragioni o torti, i suoi uomini, quale che sia la loro barricata, sono intrappolati in una condizione aberrante e l’interno del tank dove si svolge gran parte dell’azione ne è la metafora.
Western eterodosso che mette fuori gioco tutte le modalità canoniche di rappresentazione, Slow West ha la disarmante naturalezza dei sogni e la scrupolosa esattezza della realtà. Gran Premio della Giuria al Sundance 2015, la recensione.
Il regno dei sogni e della follia ci consegna un documento prezioso, qualcosa che nel tempo continuerà a raccontare di un posto sulla terra fatto di semplici cose della vita quotidiana, in mezzo a tante piante e fiori, dove si fabbricavano sogni con tutta la follia necessaria per crederci. In sala il 25 e il 26 maggio.
Plumbeo ritratto di una società asfittica e corrotta che condanna l’individuo a soccombere senza appello né redenzione, Leviathan sceglie i toni sulfurei della satira che si tinge di noir e vira al racconto morale per dipingere una Russia priva di punti di riferimento e giustizia sociale, metafora di una condizione umana che trascende i confini geografici dichiarandosi universale.