Se le intrusioni mabusiane dei monitor e in generale del video hanno dominato sullo schermo il ventennio conclusivo del secolo scorso, racchiudendo gli spazi del cinema nelle molteplici cornici di un percorso teorico stratificato e paranoico il nuovo millennio cinematografico sembra dominato dalla presa d’atto definitiva e dalla conquista dei nuovi mezzi tecnologici
Non si può dire che Paolo Sorrentino non sia un regista ambizioso. Pensa un film su una delle figure più importanti della storia politica italiana. La colloca per di più in uno dei più delicati passaggi della vita repubblicana. Cita titoli illustri del cinema di denuncia degli anni Sessanta e Settanta (in particolare Todo Modo di Petri e il Rosi di Cadaveri eccellenti e il Caso Mattei) e si confronta apertamente con due (dei pochi) consolidati autori italiani contemporanei: il Moretti del Caimano, al quale aveva partecipato nelle vesti inedite di attore, e il Bellocchio di Buongiorno Notte. Ne esce miracolosamente a testa alta scegliendo la via meno facile, quella di una rilettura che piega il discorso politico al servizio di un’estetica fiammeggiante, di un’emozionalità finalmente tutta cinematografica. Patrizio Gioffredi su "Il divo"
Il treno per Darjeeling è un corto circuito di immagini in movimento e insieme rivela la preziosa attenzione di Anderson verso una visionarietà del quotidiano
Fin dagli esordi di Blood Simple il cinema dei Coen ha sempre avuto, talvolta in modo persino più marcato della naturale vocazione cinefila, una forte matrice filosofico-letteraria. Non è un caso che le opere migliori dei fratelli siano proprio quelle che attingono direttamente alla tradizione letteraria americana. Non è un paese per vecchi è la prima trasposizione letteraria dei fratelli Coen, dal romanzo (del 2003) di Corman McCarthy, uno dei più quotati narratori americani contemporanei. L’incontro tra i due cineasti e il romanziere è tutt’altro che casuale. I Coen scarnificano ulteriormente il già scarno tessuto narrativo del romanzo, approdando (finalmente) ad un cinema nudo, con un procedimento di spoliazione non troppo distante da quello operato da Van Sant con Gerry e sulla scorta del romanzo restituiscono la sensazione di una reale desertificazione degli animi attorno ai pochi residui di un’umanità e di un paese schiacciati tra il peso del ricordo di un passato che si sta allontanando ed il panico verso qualcosa che, altrettanto ineluttabilmente “sta arrivando” e “non si può fermare”. Patrizio Gioffredi sull'ultimo film dei Fratelli Coen
Il brutto, mai così esibito e coerente con la materia narrata, contribuisce ad una sensazione di disagio (così come mette in disagio la piatta partitura musicale di Philip Glass), di un disgusto diffuso, sempre più distante dai fastidi personali che caratterizzavano gli ultimi film newyorkesi, sempre più vicino alla percezione universale del male, ai delitti e castighi dostojevskiani, ad un nero cinematografico (mai così bianco) che guarda a Lang e a Hitchcock.