lunedì, Dicembre 23, 2024

99 homes di Ramin Bahrani – Venezia 71 – Concorso

Il ballo che concludeva At Any Price ci era sembrata una sintesi perfetta del cinema di Ramin Bahrani, la festa di una comunità la cui coesione, istituzionale e famigliare, veniva garantita dalla menzogna e dal crimine. 99 Homes comincia con una sequenza che spezza quella superficie mostrandoci una famiglia distrutta dal dolore, il corpo di un uomo morto suicida viene trasportato fuori dalla sua casa, mentre i cari sono sul marciapiede in attesa che i beni di prima necessità di loro proprietà vengano buttati sulla strada.

All’esterno Mike Carver (Michael Shannon) assiste infastidito, preoccupato che l’evento comprometta il suo calendario di appuntamenti; come broker immobiliare per conto delle banche ha appena comunicato lo sfratto esecutivo alla famiglia del suicida, e deve passare al prossimo caso. Bahrani confonde sin da subito il ruolo della legge, sovrapponendolo alla figura di Michael Shannon, la cui risolutezza, l’utilizzo delle armi, la relazione con i poliziotti filmati come fossero membri di una gang, fa pensare alla mitologia di un Gangster. Con un ritmo serratissimo, spinto in una dimensione inesorabile e ossessiva dalla colonna sonora di Antony Partos e Matteo Zingales, Bahrani comincia a puntare lo sguardo sulle abitazioni, sugli oggetti di consumo, sul possesso dei beni che costruiscono il senso della famiglia, e li smantella con una furia distruttrice che trasforma il sole della Florida in una presenza minacciosa, luce piatta che illumina case svuotate, spazi rappresentati come scatole, per prendere in prestito una frase di Carver, elargita come strumento di comprensione della realtà per il nuovo pupillo,  allo scopo di allenarlo all’accumulo di potere e denaro e allo stesso tempo alla disaffezione dal nido.

Mike Carver è un demone non troppo distante dal Killer Joe Friedkiniano, come ingranaggio del sistema economico ne comprende il funzionamento e lo utilizza per entrare nel contesto famigliare, applicando una logica che è la stessa che ne regola l’esistenza come parte del mercato. Quando sbatterà fuori di casa Dannie Nash (Andrew Garfield) con famiglia al seguito, il figlio del carpentiere arriverà a sfratto avvenuto; mentre sta piangendo per la perdita del proprio spazio e della propria identità, implorerà i genitori dicendo loro che li dentro ci sono tutti i suoi giochi.

Le lenta discesa all’inferno, che gratterà la superficie della famiglia di Nash passa attraverso la sostituzione del desiderio con l’ossessione, esattamente come in Vegas di Amir Naderi, che qui scrive la sceneggiatura del film insieme a Bahrani e che contribuisce a spingere il film in uno spazio ambiguo. La scelta di Nash di cominciare a lavorare per il suo aguzzino, non è semplicemente il transito dal bene al male, ma l’immagine dei valori famigliari allo specchio, la progressiva sostituzione delle necessità survivaliste con un’ossessione priva di logica, legata al mantenimento di uno stile di vita determinato dagli oggetti di consumo. La sequenza del compleanno del figlio ha la stessa forza della festa danzante nel film precedente di Bahrani e come in quel caso, punta alla ricostruzione del nido partendo proprio dal superfluo, dalla necessità di garantirsi un benessere le cui fondamenta sono illusorie.

In questo senso, la figura di Michael Shannon è molto vicina a certi personaggi Naderiani allo stato terminale, del suo passato conosciamo solamente alcuni dettagli accennati, e sono quelli di una vita dolorosa spazzata via da una scelta di campo basata sullo scambio continuo di denaro, sull’inganno e sulle possibilità che la mancanza reale di uno stato di diritto gli fornisce per poter lavorare indisturbato.

L’etica di Carver non è necessariamente legata alla materialità delle cose, ma al contrario allo scambio simbolico tra merce e denaro virtuale; le case sono appunto scatole, involucri che possono essere distrutti e riconfigurati e i luoghi stessi dove il broker abita, hanno l’aspetto di spazi disadorni, provvisori, legati alla volatilità perversa dell’economia contemporanea.

99 Homes non risparmia nessuno, neanche l’interpretazione di una possibile conclusione edificante, perchè l’agnizione di Nash è tutt’altro che una redenzione, ma il vuoto che improvvisamente guarda se stesso.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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