Jed Kurzel è ormai qualcosa di più di un autore “emergente”. A conferma di questo, i progetti in cui è stato coinvolto a partire dal suo primo lavoro, Snowtown Murders, produzione australiana diretta dal fratello Justin. Nato e cresciuto nel sud dell’Australia, Jed ha alle spalle una carriera musicale che per scelte e retroterra lo assimila a certi nuovi autori di musica per il cinema, come Trent Reznor, Geoff Barrow, Johnny Greenwood. Dopo l’esperienza blues-rock condivisa insieme a Anthony Johnsen nota come “The Mess Hall” e alcune sperimentazioni fatte per la televisione, si avvicina al mondo della musica per il cinema grazie al fratello, così da cominciare a lavorare tra Australia, Canada e Nuova Zelanda, collezionando una serie di colonne sonore oscure e non convenzionali. Emerge tra queste quella fatta per il debutto di Jennifer Kent, Babadook, dove si inventa uno spazio sonoro acusmatico tra realtà e sogno, davvero suggestivo. Il primo lavoro americano arriva con Macbeth, film ancora una volta diretto dal fratello Justin Kurzel, per il quale cura anche le musiche di Assassin’s Creed.
Per Alien Covenant sostituisce un veterano come Harry Gregson-Williams quando il film è in fase di montaggio. Il suo ultimo lavoro è per Jupiters Moon, il nuovo film del regista ungherese Kornél Mundruczó, in concorso a Cannes in questi giorni.
In questa lunga conversazione con Jed Kurzel, oltre a parlare della sua musica e del suo metodo in generale, abbiamo approfondito il lavoro svolto per Ridley Scott durante la post-produzione di Alien Covenant, e abbiamo scoperto alcune cose sull’arte di un compositore tra i più intelligenti e originali del momento, a metà tra sound design e costruzione melodica.
Prima di tutto volevo congratularmi con te per la colonna sonora di Alien Covenant, è un lavoro molto bello e “spaventoso”, davvero subdolo e penetrante. Ma mi piacerebbe intanto fare un passo indietro e parlare dei tuoi esordi con “The Snowtown Murders”, un lavoro completamente diverso dalla tradizione hollywoodiana anche contemporanea per l’utilizzo che si fa degli strumenti elettronici ed elettrici. Introduce un nuovo linguaggio a mio avviso. La domanda è: Come hai lavorato in quel caso e quanto ha influenzato il tuo lavoro futuro fino ad Alien Covenant?
Grazie per i complimenti. Per quanto riguarda la tua domanda, ho inseguito per anni il concetto e le idee che stavano dietro la musica scritta per The Snowtown Murders. Non avevo idee pre-concette di come avrebbe dovuto suonare una colonna sonora. Ho solamente realizzato la musica che sentivo adatta per il film. Ricordo una sensazione di disagio molto forte durante la composizione, perché non stavo utilizzando alcun riferimento né ispirazione specifica. C’è stata totale purezza durante l’intero processo.
In quel periodo quali erano i compositori più importanti per te? Ho come la sensazione che tu abbia ascoltato molto più Krautrock e le colonne sonore composte dai Tangerine Dream invece di quelle sviluppate dai compositori tradizionali…
Adoro il Krautrock ma non c’è un’influenza diretta di quella musica sulla colonna sonora di The Snowtown Murders. Sono cresciuto molto vicino ai luoghi degli eventi narrati; quando Justin (n.d.a. il fratello di Jed, regista del film) stava girando, ho visitato il set, non tornavo nella zona da molto tempo e passarci nuovamente tentando di riconnettere storia e memoria è stata un’influenza sufficiente. Sin dall’inizio abbiamo deciso di non riferirci a niente ma di reagire alle sollecitazioni del materiale. Il paesaggio è diventato una parte davvero importante per influenzare il risultato della musica.
In relazione ad altri compositori contemporanei che provengono da un background differente da quello tradizionale come Trent Reznor e Atticus Ross, ma anche Johnny Greenwood, Geoff Barrow, Jóhann Jóhannsson; ti senti vicino a loro in qualche modo?
Credo di si. Sono dell’avviso che i musicisti da te citati abbiano in comune il fatto di aver costruito una relazione stretta con i registi con cui hanno collaborato, alla ricerca di qualcosa di unico, senza la paura di affrontare un diverso approccio rispetto alla tradizione. La cosa fresca e assolutamente nuova è che questi compositori sono già artisti affermati; non hanno cercato di impressionare qualcuno per farsi una carriera nel settore o per mettere un piede nell’ambiente. Hanno solamente fatto ciò che era naturale per loro
Credi che le strategie di ingegneria del suono stiano cambiando i metodi compositivi nell’industria della musica per il cinema?
Non completamente, credo sia più una questione legata all’evoluzione dell’ambito compositivo, in questo senso la tecnologia ha sicuramente cambiato una parte importante, ma alla fine dei conti dipende sempre dalla persona che utilizza questi strumenti. Probabilmente ci sarà presto un cambiamento anche in tal senso, ma alla fine, buon materiale e buona musica è semplicemente una cosa senza tempo.
Sono d’accordo, io pensavo più che altro alla tua relazione con alcune strategie sperimentali anche in termini di scrittura, per esempio gli accordi di piano in “Son of a Gun” ma anche il fatto di aver sperimentato con i rumori in presa diretta, utilizzando la voce di tua figlia e mettendola in loop per la colonna sonora di Babadook. Tutto questo mi sembra che avvicini il tuo lavoro a quello di un sound designer che lavora con lo spazio, la psiche e anche i sentimenti, come uno scultore. Che ne pensi?
Per Babadook in particolare, il processo è stato simile alla scultura dei suoni da cui in seguito sono emerse le melodie. Ad un certo livello anche Snowton ha un approccio simile. Mi piace scrivere e se poi mi è possibile, ascoltare il tutto dall’esterno, in particolare di notte, per capire come reagisce l’ambiente stesso. Dipende ovviamente dal film, per Babadook non potevamo fare diversamente ed è stato l’approccio giusto. Con la Kent ho parlato a lungo della colonna sonora e il sound design è in qualche modo emerso da parte di entrambi nelle nostre conversazioni. Per altri film, come per esempio “Slow West”, quello che è venuto fuori da questa prassi è puramente melodico.
Come hai incontrato Ridley Scott per la colonna sonora di Alien Covenant?
Sono stato messo sotto contratto dal suo staff mentre era nella fase di montaggio del film. Ci siamo incontrati e abbiamo guardato il film insieme (n.d.a. originariamente la colonna sonora era stata assegnata a Henry Gregson-Williams che ha abbandonato la produzione per forti divergenze con Scott). Abbiamo discusso su un certo tipo di approccio e strada che la colonna sonora avrebbe dovuto imboccare
E come avete discusso e lavorato?
Ridley è un artista molto istintivo. Realizza un’idea in modo molto veloce se crede che ci sia qualcosa di interessante. È incredibilmente incoraggiante lavorare con lui e non gli frega davvero un cazzo di ciò che le persone pensano. Ho lavorato in sala di montaggio con lui e Pietro Scalia, il montatore, per alcuni giorni a settimana e abbiamo provato alcuni frammenti musicali cercando di capire perché alcuni funzionavano e altri no. Nessuno di loro era impaurito dal fatto di dover provare la musica su sequenze differenti, oppure dall’eventualità di doverle rimontare se ero dell’idea che la musica avrebbe in qualche modo funzionato meglio. Ovviamente la loro grande esperienza nell’articolare idee era una risorsa fondamentale anche perché si tratta proprio di un’arte in se stessa, messa in relazione con la musica per il cinema.
Il metodo di scrittura per le musiche di Alien Covenant quindi quale è stato, proprio in relazione alle immagini e alla sceneggiatura?
Mi piace sempre aver la possibilità di vedere le immagini del film prima ancora dell’inizio del montaggio; mi consente di acquisire un’idea più precisa del tono generale. Mi sono aggiunto allo staff di Alien Covenant in un tempo successivo, in questo senso il montaggio era già solidamente strutturato. Gli aspetti a cui mi sono maggiormente connesso erano i due differenti mondi in gioco; lo spazio e il nuovo pianeta. Ero davvero eccitato all’idea di poter utilizzare alcuni frammenti dalle melodie originali scritte da Jerry Goldsmith per la colonna sonora del 1979, come strategia per attrarre il pubblico in una falsa zona di sicurezza. Come per dire: “Adesso sei in un film di Ridley Scott”, ma sempre con qualcosa di totalmente disturbante che scorre sottopelle, un senso di terrore crescente. Nel fare questo è stato possibile far reagire i due mondi insieme fino a quanto uno non prendesse il sopravvento sull’altro per assumere i tratti di un’imminente minaccia esterna o il volto dell’orrore in corso.
Riguardo a quello che dici sui frammenti di Goldsmith utilizzati, in che modo li hai trattati, sia da un punto di vista tecnico, ma anche da una prospettiva creativa?
In un certo senso ti ho già risposto e la prassi si riferisce alla scelta di usare il tema di Goldsmith nel primo terzo del film per attrarre il pubblico dentro il contesto. In realtà c’è molto meno Goldsmith di quello che sembra, quando viene riprodotto è sempre corrotto da un suono estraneo o da un’ entità che appare in forma piena solo dal momento in cui l’equipaggio sbarca sul nuovo pianeta. In questo modo restituisce l’idea che tutti siano maledetti fin dall’inizio del film.
Questa tensione di cui parli e che definirei abietta, suppongo sia realizzata con percussioni e campionamenti elettronici, un procedimento che sembra minare dall’interno la sezione designata per gli archi, è così?
Le percussioni sono per lo più ottenute proprio con gli archi, questo perché volevo evitare l’utilizzo dei tamburi, i più grandi sono faticosissimi e pesanti dopo un po’ anche perché con questo genere di film rappresentano la porta attraverso cui commentare le scene d’azione. Sentire una sezione d’archi che si infrange all’unisono in una stanza è davvero stupefacente e per me suonava come un’intera armata che spezza le ossa dell’Alieno.
La parte centrale della colonna sonora è come un mostruoso battito cardiaco o la minaccia di un terremoto globale nel punto esatto di ebollizione. Musicalmente sembra una sorta di reinvenzione della musica per la club culture e allo stesso modo sembra denunciare una provenienza dalla musica tribale. Che cosa avevi in mente?
Ridley aveva alcune parole chiave per definire in qualche modo tutto il film. Una di queste era “Nascita”. In qualche modo sono stato attratto sin dall’inizio proprio da questo concetto. Il primo pezzo che senti arriva prima che il film cominci, mentre sullo schermo passa il logo della Scott Free. Somiglia ad un battito cardiaco con una sorta di suono respiratorio completamente compromesso. Mi sono immaginato di piazzare uno stetoscopio all’interno di una di queste uova aliene. Questa idea era un punto di partenza molto pesante e “grave” rispetto alla direzione che eventualmente avrebbe imboccato la musica, proprio mentre si appoggia sui componenti costitutivi della struttura orchestrale all’inizio del film, nello spazio.
Alla fine della traccia numero dodici emerge un suono molto simile a quello di un digeridoo. Come mai questa connessione con la cultura dei nativi australiani per un film come Alien?
Non c’è alcuna connessione di quel tipo. L’influenza è legata al canto di gola armonico (n.d.a. una tecnica per esempio, utilizzata nella tradizione mongola)
Mi sembra comunque che il suono tenda a raggiungere un tipo di saturazione molto forte, quasi distorcente. Una tecnica disturbante ma anche straordinariamente tattile. Credi che oggi le colonne sonore, e le tue in particolare, debbano attivare altri sensi rispetto alla dimensione aurale, come per esempio l’illusione del tatto?
Non ne sono così sicuro. Sicuramente mi piacciono molto le colonne sonore che attivano sensazioni viscerali. Quelle che ho realizzato per Snowtown e Macbeth sono molto viscerali per quanto mi riguarda, ma si adattano bene solo ad un certo tipo di film. Un mio ascoltatore una volta mi ha detto che la colonna sonora di Snowtown era molto difficile da dimenticare e cancellare dopo la visione del film. Questo in un certo senso si avvicina a quello che mi descrivevi.
E per te quindi Alien Covenant è più aurale o tattile?
Credo entrambe le cose…
Una delle tracce conclusive, la numero 19, è tra le mie preferite. Un vero e proprio attacco orchestrale, pop e techno! Ci puoi dire il perché di queste scelte?
Ci è voluto un po’ di tempo per completare quel pezzo, anche perché accompagna una scena piuttosto pesante e c’era da capitalizzare tutti i frammenti precedenti e collezionare tutti i disturbanti suoni Alieni disseminati lungo il film, per poi realizzare un pezzo di musica strutturato. Gli Ottoni rimangono allusivi all’inizio del film, come se fossero un’ombra, mentre in questo pezzo diventano sostanzialmente la voce dello Xenomorfo. A volte il risultato è piuttosto distorto, ma è quello che piaceva di più a Ridley. Le percussioni sono simulate e riprodotte per lo più con gli archi. Il mio desiderio era quello di farle suonare nel modo più organico possibile, ma come in altri casi, corrotte con svariati elementi elettronici.
C’è qualcosa che ti piacerebbe raccontare riguardo l’esperienza che hai fatto con Scott per la colonna sonora di Alien Covenant; una storia, un breve aneddoto?
Il giorno in cui sono andato in Francia per incontrare Ridley, ci siamo messi a guardare il film. Lui cercava di spiegarmi qualcosa in relazione ad una scena specifica. In quel momento ha cominciato a raccontarmi qualcosa su Alien, il film del 1979. Alla fine ci siamo trovati insieme per guardarlo. Tutto ciò è successo dopo un po’, ma è stato davvero folle.
Progetti per il futuro che puoi anticiparci?
Ho finito da poco le musiche per un grande film ungherese intitolato “Jupiters Moon”, che sarà presentato in anteprima a Cannes in questi giorni (n.d.a. si tratta del nuovo film di Kornél Mundruczó presente in concorso al Festival). Vi consiglio di guardarlo quando uscirà nelle sale!