Mai come in Alpeis il sodalizio di Yorgos Lanthimos con Athina Rachel Tsangari, produttrice del film, si rivela cosi forte ma anche così percepibile. Il punto di contatto è certamente Attenberg, il film della regista-produttrice di origini Greche in concorso a Venezia 67 e sostenuto dallo stesso Lanthimos in veste di produttore.
I due film sono molto vicini, così vicini da sospingere Alpeis in una deludente fase di stallo nella filmografia di Yorgos Lanthimos. Già Attenberg condivideva con l’universo del cineasta Greco tutti gli aspetti del gioco che si trasformano in una combinazione in forma libera di numeri performativi, tanto che dell’asfissia formale di Kynodontas, il secondo film di Lanthimos, il film della Tsangari conservava ben poco avvicinandosi maggiormente a quel misterioso esperimento di connessione tra spazio arcaico e performance attoriale che era il folgorante Kinetta.
Il sospetto che Kynodontas (noto internazionalmente come Dogtooth) avesse trovato una forma normativa più chiusa veniva parzialmente scongiurato dal film della Tsangari in una direzione che si riappropriava di un rapporto tra spazio e attore molto più libero e inventivo, lasciando intuire una possibile nuova strada nel cinema della coppia.
Purtroppo Alpeis è il primo film nella produzione del cineasta greco ad introdurre definitivamente un meccanismo (purtroppo sembra proprio il caso di chiamarlo in questo modo) di regole rigidissime, ripetendo una formula che è identica, in termini di funzionamento causale, a quella sperimentata dalla famiglia patriarcale di Kynodontas ma con la sensazione che il contesto (spazio, corpi, movimenti) siano un derivazione molto più debole dei percorsi tracciati da Attenberg.
Un gruppo di persone decidono di offrire un servizio a pagamento che permetta a chi ha appena perso un congiunto di re interpretarne i gesti quotidiani, le abitudini, le interazioni così da rendere il dolore del cliente più sopportabile. Con una gerarchia desunta dalla geografia delle Alpi, i partecipanti al progetto assumono i nomi di pizzi e montagne, dominati da un vero e proprio master of puppets che si farà chiamare Monte Bianco. La regola da rispettare è quella di non farsi “replica”, ovvero tenere a distanza di sicurezza ogni possibilità di coinvolgimento emotivo tra l’originale e il simulacro.
Nel gruppo, l’unica che non riuscirà a rispettare lo schema cercando di sostituirsi ad una ragazza deceduta dopo un incidente è l’infermiera interpretata da Aggeliki Papoulia (la figlia maggiore nella famiglia di Kynodontas), attrice dalle capacità performative notevoli, imprigionata da Lanthimos in un gioco purtroppo già visto.
Se le esigenze diegetiche forzano Lanthimos a rendere meccanica e volutamente tombale la relazione tra attori e clienti, sembra che lo schema si sovrapponga quasi totalmente al film stesso, uccidendo la sostanza migliore di cui vive il suo cinema, capace nei film precedenti di spezzare le simmetrie con un gusto libero per il gioco, la smorfia, la deambulazione, la riconfigurazione dei rapporti tra spazio e corpi in una dimensione in cui il gioco stesso è un organismo autoctono senza morale ne direzione.
Alpeis è certamente un film disperato, ma rappresenta una linea espressiva negativa nella carriera del regista Greco, lo dimostrano gli ultimi dieci minuti dove per l’infermiera il momento di massima aderenza con il ruolo, corrisponde anche con la rottura di uno sguardo tenuto in ostaggio per troppo tempo, infrazione che le permetterà di lasciarsi andare ad una perdita di se stessa che è anche possessione. Dieci minuti folgoranti che non troveranno più spazio, basta pensare al pessimo The Lobster, vero e proprio canto del cigno per uno degli autori più ingiustamente sopravvalutati del cinema contemporaneo