La municipalità regionale di contea del Témiscouata è una zona sul bordo del Quebec orientale. Caratterizzata da imponenti scenari naturali confina con la provincia marittima del Nuovo Brunswick e con il Maine, stato federato degli Stati Uniti d’America. Il vasto territorio forestale disseminato di paesaggi lacustri rivela una natura modellata dal metissage tra cultura nativa e industrializzazione, dove la pesca e la caccia rappresentano ancora una radicata tradizione locale.
Nella costruzione di un dramma famigliare che guarda in parte al percorso statunitense dei crime movie da Coppola in poi, Rafaël Ouellet è interessato a rivelare il collante che tiene insieme le regole della fratellanza maschile in questo contesto geografico, elaborando le tracce di una radice rimossa e di una dimensione comunitaria, nel bene e nel male, in via d’estinzione.
È in questo senso che Arsenault & fils è un film che pur muovendosi nel solco di una tradizione conosciuta, riserva notevoli sorprese per la capacità di rintracciare una propria antropologia radicale, nella descrizione di un contesto che dall’esterno potremmo definire come mafioso, ma che da un’altra prospettiva mostra una disperata resistenza affettiva e familistica alle proprie origini.
Proprietari di un’officina a conduzione famigliare per la riparazione di veicoli, gli Arsenault nascondono un’attività di bracconaggio agevolata dai territori di confine. I cervi macellati che non possono smerciare in patria, vengono spediti in una rete di ristoranti fuori dalla contea e venduti a caro prezzo. La relazione con la caccia ci viene mostrata da Ouellet attraverso quattro diverse generazioni, dove il contatto brutale e ferino con il sangue anima l’istinto dell’ultima, quella di Anthony, il figlio minore.
È sul contrasto tra la sua necessità di uccidere e la progressiva estraneità del fratello maggiore alle attitudini illegali degli Arsenault che si sviluppa la tensione noir del film.
Entrambi i figli cercano di uscire dal solco della tradizione per eccessiva adesione istintiva a vivere la caccia come una relazione estrema e distruttiva con l’ambiente, oppure per il tentativo di adattarsi alle regole condivise. Adam serve infatti la comunità come pompiere volontario e cerca di espiare un senso di colpa che coinvolge tutto il suo nucleo.
Emilie, agente sotto copertura che si infila tra gli Arsenault per indagare la struttura del racket, attiva il desiderio in due direzioni opposte, ma ugualmente destinate a dissolversi rispetto all’irriducibilità dei legami. Ouellet, fortunatamente, non indugia sullo scavo psicologico, lasciando ai gesti, ai corpi e agli sguardi il compito di definire distanze e confini, tanto da lasciare più di un dubbio sulle forme pulsionali e su quelle repulsive che attraversano il personaggio interpretato da una notevole Karine Vanasse, sospeso tra manipolazione e coinvolgimento emotivo.
Nella scissione che vive, come tutte le figure sotto copertura che devono correre il rischio di assumere un ruolo, Emilie rimane su quel crinale vissuto da altri insider nella tradizione cinematografica statunitense, ma senza mai sprofondare nello spazio della metamorfosi.
La distanza che frappone le consente di vivere tra la protezione di Adam e l’inferno allucinato di Anthony, incarnando uno sguardo collocato ad una distanza di sicurezza dalle ragioni degli Arsenault.
Se il regista canadese non spinge il film da una parte o dall’altra, mantenendosi sul filo di una tensione tragica che potrebbe esplodere da un momento all’altro, questa energia trattenuta gli serve per attivare un’osservazione marginale che sfugge a questo cosmo antropocentrico.
Non solo l’occhio onniscente di Emilie, nell’attivazione di un controllo poliziesco pervasivo, ma soprattutto quello della natura, spiata sin dall’inizio dai dispositivi di Adam, disseminati nella foresta circostante per registrare il movimento notturno dei cervi più grandi e più rari.
Sullo sguardo e la sofferenza degli animali, Oullet imbastisce un altro film, sul bordo di quello sottoposto ai meccanismi funzionali, quasi per suggerire l’elegia della fine di un mondo e allo stesso tempo il legame di sangue che persiste in questa concezione tribale della comunità.
Improvvisamente svanisce l’ipotesi che si tratti di un apologo sulla legalità o di una disamina etica sulla sopravvivenza dell’incontaminato. Più vicino ad una versione domestica di Deliverance che al Padrino, il film disinnesca la soluzione più binaria possibile, disattivando proprio la visione accomodante ricercata da Emilie, fattore esterno inintegrabile.
La difesa di un mondo che scompare, passa allora anche dallo scambio simbolico e non simmetrico, tra bene e male.
Arsenault & fils di Rafaël Ouellet (Canada 2022, 120 min)
interpreti: Guillaume Cyr, Pierre-Paul Alain, Luc Picard, Micheline Lanctôt, Sebastien Beaulac, Karine Vanasse
Sceneggiatura: Rafaël Ouellet
Fotografia: François Dutil
Montaggio: Myriam Magassouba