giovedì, Novembre 21, 2024

Babadook di Jennifer Kent: la recensione

Babadook è l'horror dell'australiana Jennifer Kent. Ispirato in parte al cinema di Méliès e a quello di Mario Bava, sfrutta il dispositivo della paura per raccontare i confini di un incubo famigliare. In sala da oggi 15 luglio

The Babadook è un film che racchiude tutte le prerogative dell’horror, ma che le sfrutta per analizzare e raccontare il disagio e la solitudine di Amelia, una madre che si ritrova a dover crescere il figlio senza la presenza del marito, morto in un incidente proprio il giorno del parto.

Si sente l’eco di cupe atmosfere fiabesche nell’opera dell’australiana Jennifer Kent, con incursioni intertestuali esplicite ai cortometraggi di Méliès, in cui si materializza Babadook, l’uomo nero della misteriosa fiaba che arriva a tormentare madre e figlio, e all’episodio La goccia d’acqua di Mario Bava del film collettivo I tre volti della paura. Un film, quindi, che dichiara con queste citazioni il proprio riferimento estetico e narrativo. L’uomo nero assume infatti un’allegorica funzione. Le paure e i demoni della donna prendono forma in questa figura archetipo che tormenta l’esistenza del già fragile e imperfetto nucleo familiare.

Come nel film di Bava, di dichiarata radice trascendentalista alla Edgar Allan Poe, in cui i sensi di colpa e il rimorso si manifestano in forme mostruose e trascinano in spirali di follia, così anche in The Babadook le paure e l’impossibilità di seppellire il passato sfociano in un odio che si riversa come una macchia nera sulle vite della donna e dell’ingestibile e iperattivo figlio.

Le angosce sono incarnate dalla figura del male convenzionale, l’uomo misterioso e terribile, simbolo delle paure ataviche dell’essere umano, ma si esprimono anche con soluzioni che ricordano le weird tales di Stephen King e George Romero: l’invasione degli scarafaggi nelle sicura mura domestiche come emblema di ossessione e di impossibilità di protezione da un male che si genera dall’interno, come nell’ultimo episodio di Creepshow.

È una dimensione quindi soggettiva, ma che mette alla pari entrambi i punti di vista. Le paure e i malesseri accomunano madre e figlio, a causa dell’assenza di una figura paterna. Uno spazio nero nelle loro vite, che rischia però di diventare presenza mostruosa, ossessione e tormento senza fine.

L’unico modo per salvarsi è imparare a domare questo uomo nero interiore, relegarlo in cantina, letteralmente, e cercare di affrontare con coraggio e amore i problemi di ogni giorno.

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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