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Bad Luck Banging or Loony Porn di Radu Jude: recensione

Filmato nell'estate del 2020 e presentato alla Berlinale 2021, Bad Luck Banging or Loony Porn ha vinto l'orso d'oro della prima edizione online del festival. Un cortocircuito tra presenza e assenza, realizzato in piena pandemia

It’s the song i hate. Chissà se è lo stesso per Radu Jude. Il cinico carosello di scorie pop che si stratifica durante la visione di Bad Luck Banging or Loony Porn è un continuo cortocircuito tra presenza e distrazione, centralità dello sguardo soggettivo e distacco della visione periferica.

Introdotto da un porno privato trapelato in rete, segue a distanza il percorso di Emi lungo le strade di una Bucarest modellata sull’ipertrofia degli esercizi commerciali e filmata in piena pandemia. Nient’altro che l’immagine ridondante del consumo globale, mentre la camera perde di vista la donna seguendo l’andamento di panoramiche imprecise, alla ricerca di una composizione simmetrica tra le linee diseguali e selvagge degli agglomerati.
Money exchange, supermercati, mangifici seriali, piccolì casinò ritagliati nello spazio di un bar, mercati ortofrutticoli dove la plastica e gli scarti sono superiori alla merce. C’è una strana dimensione contemplativa che contrasta con l’oggetto inerte della contemplazione e allo stesso tempo con una metastasi tanto predominante, da impedire che lo sguardo trovi un centro di gravità o un punto di fuga.

Emi, insegnante, si intrattiene in una lunga conversazione telefonica dove cerca di capire, ed eventualmente arginare, la diffusione del porno ormai approdato su Pornhub, che la vede protagonista insieme al compagno di gioco. La telefonata si confonde entro una prospettiva aurale più ampia, tra le conversazioni casuali catturate durante il percorso e un punto di vista che alterna campi medi e lunghi, in una vera e propria sovversione dell’estetica del pedinamento. Mentre la pandemia introduce un insieme di regole e rituali che rallentano il flusso e diradano la presenza umana, la città persiste come macchina celibe esaurendo la propria funzione nel consumo che consuma se stesso.

Si vedono due manichini, lungo altrettanti segmenti consecutivi. Il primo in piedi, senza vestiti a coprirne le forme di plastica, insieme alla gente che si ferma al mercato d’ortofrutta e in posizione simmetrica rispetto a un uomo che guarda uno degli orizzonti possibili, immobile con un’anguria tra le mani. Del secondo rimane solo una gamba abbandonata nel cortile abitativo, dove Emi sta passando, inquadrata durante uno dei numerosi movimenti di macchina, prima che l’occhio si fermi su un germoglio fresco di vita e sbucato da una crepa nel cemento.

Camminata urbana estenuante, distaccata dall’immersione soggettiva, ma perduta nell’incertezza di uno sguardo che stanco, approda lentamente sull’appiattimento di tutte le sollecitazioni possibili.

La seconda delle tre parti in cui è diviso il film, torna dalle parti del markeriano “The Dead Nation” e in qualche modo investe dello stesso spirito combinatorio la prima sezione.
Con intenzioni apparentemente più esplicite sul piano teorico, Jude stratifica storia nazionale e studi culturali sfruttando una modalità che attraversa comunque tutto il suo cinema e servendosi di una ventina di frammenti visuali che ritagliano la forma dirompente e “unruly” dei contenuti prodotti dall’utente, di materiali d’archivio, di rimesse in scena, di meme e frammenti letterari. Per quanto il metodo sembri altra cosa dalla ricostruzione storica di Aferim! tende in realtà alla medesima demistificazione della Storia nazionale, creando distanza attraverso un patchwork intermediale molto simile, che in quel caso combinava numerose fonti linguistiche e iconografiche, creando una tensione straniante tra materiali e messa in scena.

Non è quindi meno stratificata l’ultima sezione del film, che allestisce il processo contro Emi, condotto dal corpo insegnanti e dalla direzione scolastica, insieme ad altri membri della società civile. In un giardino interno, illuminato artificialmente con i colori pop che caratterizzano tutta la fotografia del fedele Marius Panduru, Jude scrive una pochade sulla società degli schermi e del potere che affronta numerosi temi, ma converge sostanzialmente sulla cruda sopravvivenza del sistema patriarcale a cui il regista rumeno contrappone, in uno dei tre possibili finali, un gesto liberatorio e pulp che conclude e rilegge gli inserti di sesso orale disseminati lungo il film, con violenza anarchica.
Freddo, distante, entomologico, ma assolutamente libero nel rifiutare i pericoli più seducenti del cinema di poesia, “Bad Luck Banging or Loony Porn” è il film di cui non avrei voluto scrivere.

Bad Luck Banging or Loony Porn di Radu Jude (BABARDEALĂ CU BUCLUC SAU PORNO BALAMUC – Romania, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Croazia 2021 – 106 minuti)
Interpreti: Katia Pascariu, Claudia Ieremia, Olimpia Malai, Nicodim Ungureanu, Alexandru Potocean, Andi Vasluianu, Kristina Cepraga, Tudorel Filimon, Ilinca Manolache, Daniela Ionita Marcu, Dana Voicu
Sceneggiatura: Radu Jude
Fotografia: Marius Panduru
Montaggio: Catalin Cristutiu

https://youtu.be/fOdjwaxaY5Q
RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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