lunedì, Novembre 4, 2024

Bağlar di Berke Bas & Melis Birder – Middle East Now! 2016

I due registi hanno seguito per tre stagioni le vicende della squadra di basket che porta un nome sconosciuto ai più, Bağlar, su cui val la pena di documentarsi per qualche ragione che va oltre il puro interesse sportivo.

Bağlar è un distretto della provincia di Diyarbakir, città al centro del conflitto kurdo con la Turchia. La squadra è la sezione giovanile del Bağlar Sports Club e Gökhan Yıldırım il suo carismatico coach. Gökhan è un massiccio omone di 37 anni che per vivere fa anche l’insegnante ai bambini delle medie, e il suo motto è “ butta la palla non le pietre”. Salvare i suoi giovani dalla violenza con il basket è qualcosa che potremmo chiamare anche missione, se la spontanea semplicità di quest’uomo non rifuggisse da ogni forma di enfasi agiografica. Dire con forza: “Questa è una guerra, una guerra per questi ragazzi, una guerra per voi, una guerra per Diyarbakir! ” è l’unica concessione che Gökhan fa a questa parola, deviandola dal linguaggio comune per condensare nella metafora tante cose che sarebbe lungo spiegare a chi deve correre palleggiando per infilare al volo in canestro.

Una lingua di collisione è quella che Gökhan usa per incitare alla lotta per la vittoria, arrivare alle finali nazionali è l’obiettivo suo e della squadra, oltre che dei rappresentanti della municipalità e dei cittadini tutti che alle vittorie del Bağlar attribuiscono molto più di quello che una semplice tifoseria normalmente fa.

Berke Bas e Melis Birder hanno dosato in 80 minuti le 200 ore di ripresa senza accomodare e limare scolasticamente le sequenze. Il tempo del documentario scorre grezzo e immediato fra campi da gioco, uffici dei managers, casa di Gökhan, dove conosciamo tutta la sua famiglia e, unica eccezione, la giornata esaltante della consegna del premio alla carriera con successiva intervista. Non c’è un racconto, c’è di più, un’emozione collettiva che dal campo da gioco si sposta negli spogliatoi e continua nelle case durante il riposo, o ancora on the road, quando sul pullmann in trasferta si scherza e si canta. Tra una ripresa e l’altra della vita di squadra c’è però Diyarbakir, e allora scorrono flash con polizia in assetto anti-sommossa, lancio di lacrimogeni, controlli alle frontiere, scontri di piazza, comizi inneggianti alla libertà e all’autodeterminazione, tutto il repertorio ultradecennale di una storia di uomini e donne che i Turchi non chiamano Kurdi ma “Turchi di montagna”, privati di identità nazionale, lingua, spesso vita, da troppo tempo e nell’incuria del mondo intero.

Collegare il basket a questa storia è la carta vincente di Bağlar, quella che permette di cogliere il forte legame dei ragazzi per il loro allenatore, la città e per ciò che sta accadendo nella loro vita. “Il film ci porta sempre dove i suoi significati si sovrappongono, si spingono l’un l’altro fino a fondersi” dicono i registi, molto attenti a non forzare la direzione, piuttosto lasciando che siano le immagini a parlare e l’ordine naturale degli eventi a creare senso.
E poiché sappiamo che il conflitto turco-kurdo ha fatto decine di migliaia di vittime e più di un milione di sfollati nel disinteresse del mondo intero, forse perché ormai abituati e frastornati da genocidi che si rincorrono l’un l’altro, mettere in scena i riflessi di vicende così tragiche su una squadra di basket in corsa verso il primato nazionale e di colpo in caduta libera con passaggio in serie B, può essere un modo giusto e inedito per risvegliare l’attenzione.
C’è un bel paragone che il manager del Bağlar Sports Club fa con i neri d’America e i loro primati sportivi, mentre voli a bassa quota di aerei militari coprono continuamente le sue parole.

Lo sport come rivincita e spinta alla conquista di un’identità negata è il senso che ha anche l’impresa di Gökhan Yıldırım e dei suoi ragazzi, e il film che parla di loro è cresciuto con loro fin dal 2010, anno dei primi contatti fra la città, i suoi abitanti, la squadra e i registi.
Facile, dunque, capire il senso profondo della loro storia registrando in diretta quel dolore silenzioso e smarrito all’arrivo della notizia dell’ennesima strage sul confine turco-kurdo. 28 dicembre 2011, incidente al confine di Roboski. Iniziata come una giornata normale e finita con la morte di 34 persone, giovani di età compresa tra i 19 e i 25 anni, bombardati a morte dai voli di combattimento con una ferocia mai vista. Versione ufficiale del governo turco, “uccisione di contrabbandieri”.

Non è un caso che gli atleti del Bağlar abbiano cominciato da quel momento ad essere sconfitti, lo ammettono loro stessi: “Mentalmente noi cominciamo qui ad essere sconfitti”. La storia di un’ascesa folgorante si arena così, ma non per sempre: “Un team come questo è unito nel cuore perché ha servito Dijarbakir”. Sono le ultime parole di Gökhan mentre riprende gli allenamenti del numeroso vivaio di ragazzini da cui uscirà un nuovo team, per il futuro.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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