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Barbara di Osamu Tezuka – la recensione del volume J-Pop Manga

Musa ispiratrice o terribile demone? Barbara infonde energia creativa agli uomini e improvvisamente la toglie gettandoli nel baratro della follia. Soggetto nomade, randagio e "imprevisto" è una delle creature più sfuggenti e radicali di Osamu Tezuka. In un lungo speciale di approfondimento vi raccontiamo l'indispensabile volume pubblicato dalla label J-Pop Manga per edizioni BD e parte della collana Osamushi Collection e il film diretto dal figlio del grande mangaka, Macoto Tezka

[Leggi la recensione del film “Tezuka’s Barbara” diretto da Macoto Tezka, figlio del grande Osamu Tezuka ]

Edizioni BD, il catalogo digitale dei fumetti a solo 1 Euro. Il ricavato per sostenere l’ospedale Luigi Sacco

La casa editrice Edizioni BD rende disponibili per il download digitali alcuni titoli del ricco catalogo, provenienti dalle label principalli J-Pop Manga, Dentiblù e Edizioni BD.
Il costo è di un euro per ogni opera. Oltre ad andare incontro ai lettori in un periodo di crisi difficilissima, il ricavato sarà devoluto in beneficenza all’ospedale Luigi Sacco di Milano, che si trova a combattere una battaglia in prima linea contro l’avanzare del Coronavirus. I fumetti saranno disponibili con questo prezzo fino al 15 aprile prossimo, direttamente sullo store digitale della casa editrice allestito su Amazon e reperibile direttamente attraverso questo linkVogliamo mettere a disposizione dei nostri lettori un buon numero di titoli da potere acquistare e leggere a casa in questo periodo, anche con un budget limitato – ha dichiarato a mezzo stampa l’editore Marco Schiavone – E ne approfittiamo per sostenere chi sta combattendo in prima linea l’emergenza, fornendo un piccolo contributo insieme ai nostri autori e ai nostri lettori

“Barbara” La recensione del capolavoro di Osamu Tezuka, pubblicato dalla label J-Pop Manga per BD Edizioni. Collana, Osamushi Collection

Serializzato tra il giugno del 1973 e il maggio del 1974 dalla rivista Big Comic, “Barbara” rappresenta uno dei tentativi di Osamu Tezuka sperimentati entro i parametri del gekiga.
Il manga per adulti che caratterizza buona parte della sua produzione lungo gli anni settanta gli consente di emanciparsi dall’immagine del narratore per adolescenti, per avvicinarsi a toni e modi vicini ad altri autori contemporanei come Kazue Umezo e Yoshihiro Tatsumi. Tezuka declinerà la sua versione del “dramma a fumetti” con grande erudizione culturale, ma anche elaborando una sintesi mai vista tra intrattenimento popolare e tematiche estreme. Questa fusione raggiungerà l’apice, in termini di equilibrio, con le storie brevi di “Black Jack”.

Vicina alle sue opere complesse in termini progettuali e di continuità narrativa, “Barbara” ha più di un elemento in comune con ” I.L. La Ragazza dai Mille Volti” il volume con cui J-Pop Manga ha inaugurato la collana Osamushi dedicata alla produzione completa del Dio del manga. In entrambi i lavori alcuni dei temi cari a Tezuka come la deperibilità dell’arte, la crisi della creatività e il confine tra razionalità scientifica e deriva fantastica, vengono filtrati da una figura femminile capace di mettere in discussione i processi di formazione identitaria tradizionali.

Mentre I.L. incarna il concetto stesso di trasformazione, Barbara occupa una posizione maggiormente mentale, che in misura diversa gli consente di stabilire una connessione spesso indicibile tra umano e non-umano.

Dimensione psichica che gioca continuamente con il senso di percezione della realtà mitopoietica del lettore, forzandone i margini grazie alla cornice fantastica. Barbara, trasduttore di energie creative, spinge i limiti imposti dalla morale nel regno delle possibilità narrative, sovvertendo di volta in volta la relazione tra vita ed arte in un turbine di visioni deliranti, dove non sia più possibile distinguere l’origine dal risultato poetico.

Barbara, le influenze letterarie e musicali

Ispirato a “I racconti di Hoffmann” di Offenbach/Barbier, ma anche agli elementi sabbatici della Symphonie fantastique di Hector Berlioz, si allontana dallo statuto espressivo dello Sturm und drang, elaborando una personale trasformazione dell’ordinario nello straordinario, del quotidiano nel sacro, del finito nell’infinito. Da quei modelli, più dell’ossessione per un femminile intangibile, svilupperà una rappresentazione prismatica di quell’essenza, passando attraverso la relazione tra animato e inanimato, come nella contemplazione della bambola meccanica Olimpia descritta nei Contes Offenbachiani . Quello stato di passaggio è nell’occhio stesso di Yosuke Mikura, lo scrittore in cerca della formula per mantenere costanti ispirazione e successo. Le sue parafilie cercano vita e desiderio anche dove non è consentito; sarà infatti Barbara, etilista senza fissa dimora raccolta alla stazione di Tokyo, ad aprire le porte di quelle visioni e allo stesso tempo a frenarne gli effetti, prima che queste  divorino completamente il proprio autore. 

Barbara. Mitologia urbana

Figura repellente agli occhi dello scrittore, Barbara respinge ogni liturgia seduttiva. Tezuka dissemina la raccolta di amanti bollenti che insidiano Yosuke Mikura, mentre la barbona riottosa si rifiuta di scendere a patti con qualsiasi forma di rappresentazione. Assume in questo senso la voce di una coscienza laida e senza mediazioni, che ricorda allo scrittore le insidie della corruzione, ma che allo stesso tempo lo spinge a lasciare tutti i freni inibitori per affrontare la propria ricerca creativa. E la deriva non è semplicemente quella morale, come l’agalmatofilia o la zoofilia descritte nelle prime storie che caratterizzano le preferenze sessuali di Yosuke Mikura, ma è quella di un’intera città che ha sostituito la dimensione del sacro con il feticismo per il potere. 

Per quanto Tezuka si prenda gioco di tutte le forme religiose inanellando parodie feroci di qualsiasi rituale, le origini mitologiche di Barbara occupano una parte importante nell’economia delle storie, anche in relazione ad un rivelazione che viene schiacciata dal sistema politico. Ecco che il realismo magico che spezza improvvisamente in due la vita di Yosuke Mikura, può esprimersi solo clandestinamente, sotto forma di quella mitologia urbana che racconta una Tokyo sotterranea e sconosciuta. 

L’arte sembra sopravvivere nel sottosuolo o nei recessi nascosti della città, come gli oggetti di grande valore accumulati nella dimora-magazzino di Menmosine,  madre di Barbara. Tezuka la disegna sul modello della Venere di Willendorf, la statuetta rinvenuta nei primi del novecento dall’archeologo Josef Szombathy e risalente al 23.000-19.000 a.C.
Simbolo di fertilità, indica un tracciato matrilineare oltre a rileggere la relazione tra arte e mito presente ne “I racconti di Hoffmann”, con particolare riferimento alla figura di Olimpia.

Ecco che la genesi di Barbara sembra quella della musa assegnata ad una particolare espressione artistica. Soffio sfuggente dell’ispirazione creativa, dispensa fortuna a chi la frequenta, cambiandone negativamente il corso quando improvvisamente si allontana. La natura possibile del personaggio si allinea allo stato allucinatorio vissuto da Yosuke Mikura. Angelo custode, ma anche sorgente di visioni e possessione diabolica, tanto che alle origini pagane e demoniache del culto che la celebra, Tezuka dedica tutto il senso delle ultime storie. 

Barbara, divinità o demone?

La celebrazione matrimoniale tra Barbara e Yosuke Mikura è uno straordinario gioiello narrativo fatto di innesti e sovrapposizioni. Parodia della liturgia tradizionale, viene immersa nel lugubre scenario di una messa nera dalle caratteristiche orgiastiche. Il grande mangaka giapponese non risparmia nessuno: dall’amico dello scrittore chiamato a far da testimone, prototipo del borghese medio in cerca di emozioni forti, fino alla percezione statale del rischio legato all’espressione del bizzarro. Il governo e ancora una volta il potere politico è più letale di Satana, sembra dirci Tezuka.

Ma lo scavo è più profondo e nel gioco della satira sociale emerge una più complessa concezione del tempo. Barbara improvvisamente ipostatizzata nel ruolo della strega è semplicemente una delle possibilità di lettura dell’invisibile concesse alla mente limitata di Yosuke Mikura. Il suo ruolo non è dissimile da quello dello storico Felipe Montero nell’ “Aura” di Carlos Fuentes, il romanzo dello scrittore spagnolo da cui Damiano Damiani ha tratto nel 1966 il suo “La Strega in amore“, interpretato da una straordinaria Rosanna Schiaffino.  “Aura”, doppio immaginifico e latenza erotica di una donna che ha vissuto attraverso i secoli, diventa la rappresentazione plastica del metodo storico, nel tentativo di leggere l’evento come frammento dell’aberrante curvatura spazio-temporale.

Barbara, legata alle stagioni dell’ispirazione, mette a nudo le dinamiche del desiderio con il continuo ribaltarsi della repulsione nell’attrazione. Relazione con l’abietto che non è solo traduzione di una psiche creativa in cerca di un margine espressivo, ma anche il disinnesco del ruolo passivo tradizionalmente assegnato alla musa.  Se da una parte Tezuka abita perfettamente tutta la riflessione novecentesca sulla crisi dello scrittore, incluso il rapporto controverso tra arte e mercato, non cade nella trappola del postmoderno metadiscorsivo. Non ci cade perché non affida al suo personaggio l’univocità soggettiva del flusso di coscienza, al contrario è quel flusso che si rivela a poco a poco parte di una polimorfa combinazione di segni culturali.

Nel testo stesso Tezuka introduce numerosi riferimenti, tra cui il ricorso a citazioni puntuali oppure camuffate parodicamente, tra cui tutta la manualistica legata alla metafisica “nera”. Allo stesso tempo stabilisce uno scambio attivo tra Barbara e lo scrittore che funziona come un sabotaggio del rapporto unidirezionale tra creatore e creatura. Dimensione, questa, che attraversa tutta l’opera di Tezuka, anche quella più apparentemente disimpegnata, soprattutto quando il grande autore giapponese si inventa creature di transito capaci di superare il binarismo di genere; una di queste sarà la Pinoko di Black Jack.

Barbara è allora davvero entità ibrida, in grado di confondere i confini politici, sociali e identitari. Qualcosa di più del delirio di uno scrittore in crisi, perché potente forza disgregatrice capace di ricombinare la ricerca della propria essenza anche attraverso l’indicibile. Ed è indicibile la bottega di Mnemosine, piena di oggetti d’arte che superano la paralisi delle dinamiche conservative e museali.

Barbara. Ispirare o distruggere l’energia creativa?

Barbara stessa è un’inquietante bocca della verità che macina citazioni letterarie senza sosta, da Verlaine a Nietzche, da Kawabata a Mishima, dal Faust di Goethe fino ovviamente ai racconti di E. T. A. Hoffmann. Da quest’ultimo e dal lavoro di Offenbach desume certamente lo scheletro del dilemma esistenziale legato alla lotta tra realtà quotidiana e fantasia creativa. Ma  è su questo topos che Tezuka allontana la messa a fuoco del mito, presentandoci una figura fuori dalla storia, ripugnante, alcolizzata, abbandonata alla soddisfazione degli istinti più basici e totalmente slegata dal ruolo dello spirito guida.

Definizione estrema e soggetta a successive trasformazioni, non ispira l’arte, ma ne distrugge lo statuto comune, l’investitura e il lignaggio, la qualificazione di se. Legione di soggetti imprevisti e disubbidienti, Barbara mette costantemente sottosopra le certezze di Yosuke Misura. 

L’allegoria sull’arte, più volte utilizzata da Tezuka per offrire una definizione di Barbara, si trasforma nella disamina impietosa dei principi generativi della stessa, a partire da quelli che ne rivendicano la centralità. L’arte di cui parla attraverso numerosi personaggi, incluso lo stesso Mikura, sembra destinata alla marcescenza e al declino. La tragica e inesorabile azione del tempo ne cancellerà tutti i segni.

Visione che a un certo punto viene affidata a Reiji Matsumoto,  primo pseudonimo di Akira Matsumoto utilizzato quando ancora non si serviva del più conosciuto Leiji Matsumoto. L’autore di “Submarine Super 99”, “Gun Frontier” e successivamente dei più noti “Capitan Harlock” e “Galaxy Express 999” compare improvvisamente nell’epilogo. Alla televisione di stato che lo trattiene per un’intervista in occasione dell’esposizione nazionale de “La Gioconda”,  offre la sua visione disillusa: l’arte, ormai sottoposta alla volatilità del sistema espositivo, ha sostituito la passione con la visibilità.

Oltre alla denuncia politica e ad una critica diretta alle insufficienti misure governative messe in atto in Giappone per la conservazione di opere d’arte, Tezuka affida un controcanto proprio a Barbara che irride allo stesso concetto di conservazione, come ad una lotta impari con la potenza combinatoria del tempo. Per Barbara la definizione stessa di capolavoro è irrilevante: “Nel Negozio di Mia Madre ci sono talmente tante cose del livello de “La gioconda” che le buttiamo persino via“. La boutade si conclude con il coup de theatre di Mnemosine, in una straordinaria vignetta Pop, la cui lettura, come tutto il volume, è sottoposta ad un movimento palindromo. La dea della fertilità mostra al giornalista il quadro che completa la parte superiore de “La Gioconda”, lasciato alla divinità dallo stesso Leonardo, ben cinquecento anni fa. 
Nel quadro, Monna Lisa si alza le vesti per meglio adattare il fondoschiena al water sul quale è seduta.

La parodia apre infinite finestre, anche sul mercato degli anni settanta, mentre la ripetibilità del pattern grafico che fa da sfondo alla gag, oltre all’arte stessa del fumetto, in qualche modo sembra sollecitare la riflessione di Wharol e le sue Four Mona Lisas.

L’industria diventa allora la macchina celibe che tutto divora, compreso il ruolo affidato alla tradizione, intesa come ricerca delle proprie radici. Con la soppressione dell’autore, ormai disintegrato dalle proprie ossessioni oppure destinato ad un sacrificio inconcepibile nel sistema valoriale contemporaneo, rimangono le rotative che riproducono in serie l’universo creativo, anche quello dello stesso Tezuka.

In questa sorprendente dinamica circolare che inghiottisce lo stesso manga, sopravvive solo Barbara, anima randagia. 

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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