domenica, Dicembre 22, 2024

Batman v Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder – il peso della dimensione umana

Si parlava di instabilità e prossimità ottica in relazione a Man of Steel. La prima rilevata nell’impossibilità di inquadrare una realtà già aumentata, rovesciando lo scopo fondativo e inclusivo dei formati ultra-panoramici che dagli anni cinquanta dei Cinerama o dei Cinemiracle ci portano fino ad IMAX. Quel sogno immersivo che tendeva a rendere la visione sempre meno periferica si scontrava nel film di Snyder con il paradosso di un margine continuamente spostato, come nell’esperienza percettiva filtrata da uno smartphone, occhio mobile sui grandi eventi della vita. Il limite dello spazio visivo fa nuovamente ingresso nelle grandi dimensioni della cornice Snyderiana, proprio perchè è lo stesso “framework” a saltare continuamente in aria, nel tentativo di seguire il movimento performativo dei corpi.

La prossimità tattile all’oggetto, a livello smartphone come si diceva, è lo sguardo vicino al dettaglio che impedisce di percepire l’insieme “panoramico” se non entro un viaggio convulso, fuori fuoco e fuori margine rispetto alle dimensioni colossali della cornice industriale. Batman v Superman è meno tellurico e apparentemente più ancorato rispetto al film precedente, ma Snyder non rinuncia a quella prossimità di cui si parlava, osservando da quell’altezza un mondo che si sfalda, non importa se si tratti di una città sotto attacco o di un pozzo che inghiotte il corpo in caduta libera, perché in entrambi i casi la relazione è tra l’infinitesimamente piccolo e l’infinitamente grande nel continuo scambio di posizione, modi dell’occhio che attraversano tutto Sucker Punch, ma in quel caso entro una dimensione già data come mentale, pur con il coraggio di rimettere in gioco qualsiasi filtro o cataratta cinefila.

Saltate a piè pari le comparazioni industriali con l’espansione di un mondo narrativo che in casa DC cerca di fare la stessa cosa rispetto alla Marvel, dove il confronto evidente non è tanto tra gli Avengers e la Justice League of America, quanto nelle possibilità generative che la fisiologia del team può aprire in termini combinatori, preferiamo concentrarci proprio sugli effetti di questa morfologia, per il modo in cui Snyder innesta nell’assetto urbano Newyorchese due segmenti che rappresentano la stessa città. Metropolis e Gotham City, la seconda come immagine negativa della prima, tanto da seguire il movimento palindromo dei suoi fattori, Superman spinto verso una dinamica ascensionale, Batman destinato ad occupare gli inferi, esasperando quindi tutti i riferimenti alla storia della cristianità che già erano ben presenti in Man of Steel e che qui spostano continuamente il discorso dalla morte di Dio verso la prospettiva tutta umana e nient’affatto diabolica di Bruce Wayne, ripensato a partire dal Batman di Frank Miller in quella fusione tra muscoli in eccedenza, armatura e sproporzione delle forme.

In questo senso Snyder si avvicina molto di più all’umanità grottesca e deforme dell’universo milleriano che alle ruminazioni sull’oltreuomo Nietzschiano che sono servite a Christopher Nolan per tenere in piedi il suo film, ed è sicuramente legata a Miller la relazione con la storia politica americana recente, che Snyder riattiva attraverso lo sguardo calato tra cose e persone. Mentre Superman salva il mondo da un mostro che si chiama come il giorno del giudizio universale, Bruce Wayne salva una bambina in uno scenario che potrebbe essere quello di qualsiasi guerra, con una prospettiva che riproduce lo sgomento rispetto ad un terrore più grande della stessa dimensione sociale, costantemente sotto minaccia. Quella relazione selvaggia tra corpi e movimento presente in Man of Steel viene allora fissata direttamente a terra e agganciata al peso gravitazionale di Wayne/Batman, la cui figura diventa più vicina a quella tragica e tormentata di un soldato in una zona di guerra; lo sguardo è apparentemente più fissato e dentro l’inquadratura, ma nel preservare lo spazio della città dalla disgregazione, non è meno furioso.

La relazione tra cornice del dispositivo e sguardo non è più inseguita nel tentativo disperato di adattamento del secondo alla prima; dall’occhio puntato verso il cielo Snyder passa ad una diversa prospettiva che si allinea alle continue cadute di Batman, non solo quella originaria e mitologica, ma proprio quelle in mezzo alla polvere, con tutto il peso della dimensione umana.

 

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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