1999, nord della Cina, uno strano pacco ritrovato in un cassonetto rivela il pezzo di un corpo umano; in una fabbrica di carbone viene trovato un moncone sul rullo trasportatore; sono i pezzi di un corpo sezionato disseminati per l’intera provincia, in luoghi molto lontani tra di loro. Il caso sarà assegnato al detective Zhang proprio mentre è in procinto di divorziare dalla moglie, per poi essere archiviato. Ritroveremo il poliziotto nel 2004, ingrassato, semi alcolizzato e nel ruolo di agente di sicurezza, fino a quando l’incontro con il suo collega Wang non gli consentirà di riprendere in mano la vecchia pista; ci sono due nuovi cadaveri, sezionati e sparsi per la provincia cinese con le stesse modalià di cinque anni prima; le indagini si concentrano su Wu Zhizhen, vedova del primo morto. Zhang la pedinerà nelle zone vicine al luogo dove lavora, una lavanderia, attraversando una provincia che non è molto diversa da quella filmata da Jia Zhangke, fatta di zone desolate, piccoli insediamenti umani, bar e locali di intrattenimento sperduti nella neve e circondati da un’elettricità al neon, dove un’umanità derelitta rimane sospesa entro luoghi segnati dal tempo.
Diao Yinan a sette anni di distanza da Night Train, torna a realizzare un noir non convenzionale con premesse molto simili, accentuando maggiormente il contrasto tra l’oscurità degli eventi e una costante riconfigurazione dello spazio in qualcosa d’altro. Uno slittamento di senso che gli consente non solo di lavorare sul limite tra malinconia e grottesco nello spazio di un unico piano, ma che rende ancora più percepibili sospensioni ed ellissi in una deriva della tensione verso qualcosa che sta sempre fuori dal centro dell’immagine; la bottiglia che rotola nella fabbrica di Carbone, Zhang abbandonato sulla neve con la moto accesa, l’incredibile sparatoria nel colorato salone di bellezza, il deturnamento di Wu Zhizhen dalla pista di pattinaggio mentre si avvia lentamente verso un sentiero laterale, l’appartamento del primo morto, adesso abitato da una coppia, fuori campo spettrale che fa il paio con le apparizioni del marito della donna; i reperti, i vestiti e gli elementi materiali del cinema nero come tracce di un tempo perduto, sono alcuni degli aspetti del cinema di Diao Yinan caratterizzato da uno sguardo che cambia spesso direzione per rivelare delle aperture improvvise, tanto che un solo piano sequenza nell’ultimo film del regista cinese, dischiude molteplici significati con un cambio di registro e di senso che avviene nello spazio dell’inquadratura. Film sorprendente Black Coal, thin ice, che dalla storia stratificata del noir prende l’essenza per trasformarlo in uno studio esistenziale sulla provincia Cinese e sulla relazione tra luoghi e corpi, basta solamente la sequenza del salone da ballo per comprendere quanto il viaggio geografico di Diao Yinan sia anche una maniacale mappatura di un universo inafferrabile. E quando il continuo capovolgimento di colpe e responsabilità sembrerà giungere ad un punto fermo, la verità dello sguardo si sposterà verso il cielo e la tempesta di fuochi d’artificio che si scaglia contro la terra; un’epifania che apre un’improvvisa spaccatura nell’immagine, come le luci artificiali che emergono dalla notte fotografata da Dong Jinsong. Diao Yinan si conferma come uno degli autori più interessanti del nuovo cinema Cinese, capace di costruire un universo sincretico e allusivo, che reinventa il genere azzerandolo in una dimensione metafisica.