I manifesti che ricordano l’entrata in vigore dell’emendamento promulgato dal governo Thatcher per Scozia, Galles e Inghilterra a partire dal maggio 1988, giganteggiano lungo le strade di Newcastle.
Il monito, stampato a caratteri cubitali, richiama alla necessità di insegnare il rispetto per i valori morali tradizionali. Gli ambienti pubblici e quelli privati sono occupati dai segni e dalle indicazioni che caratterizzano il Section 28 come provvedimento di contrasto alla promozione dell’omosessualità nelle scuole finanziate dallo stato.
Georgia Oakley, nel suo primo film come regista, immerge da subito il personaggio interpretato da Rosy McEwen in un contesto senza alcuna via d’uscita, con la tensione impalpabile di un thriller politico e i toni del melodramma identitario. La radio, l’advertising di massa, lo sguardo della collettività e quello più circoscritto della famiglia, sembrano delineare la paura montante e inafferrabile diffusa da un regime qualsiasi.
Jean, insegnante di educazione fisica, forma un gruppo di allieve alla tradizione del Netball, sport creato intorno ai corpi delle donne per preservarne l’intangibilità e modellare l’idea di femminilità secondo gli stereotipi della percezione maschile. Simmetrico e regolato da principi disciplinari ferrei opposti a tutte le attività sportive destinate all’urto fisico violento, ha determinato nella storia della cultura agonistica britannica un pregiudizio identitario dalla doppia valenza che è servito, alternativamente, per scoraggiare l’accesso femminile ad altri tipi di sport come il Rugby o il Football, e per definirne i confini “adatti” ad una frequentazione lesbica, forgiata a sua volta sul desiderio e le fantasie sessuali maschili.
L’identità di Jean viene subito definita attraverso l’immagine riflessa da due sezioni di uno specchio. Mentre finisce di sistemare l’ossigenazione bionda dei capelli, simile a quella dello Screamin’ Lord Byron bowiano, altra storia di riflessi abissali, osserva lo sdoppiamento del volto nello spazio privato che condivide con Viv, donna fieramente omosessuale che rivendica segni e attitudini visibili come un atto necessario di resistenza politica. Con un topos che dal noir al cinema postmoderno interroga le funzioni metadiscorsive dell’immagine, dal vedersi visti al non riconoscersi durante un processo di mutazione (Victim, Cruising, Dr. Jekyll and Sister Hyde) Oakley si serve di una sola inquadratura per suggerire il dissidio interiore di Jean.
Tutto, nel bel 16mm fotografato dal notevole Victor Seguin (Gagarine, La Vénus d’argent) concorre a creare duplicità, dalle scelte cromatiche che mettono in contrasto il bianco accecante dell’ambiente scolastico con il colore blue legato alla vita notturna di Jean, fino alla precisione filologica che ricostruisce l’ambientazione fine ottanta attraverso oggetti, segni materiali, forme extradiegetiche come la colonna sonora modellata sulla malinconia introspettiva del Synth Pop, elementi del discorso mediale e politico di quegli anni, tutti proiettati verso il riflesso delle nuove intolleranze contro la comunità LGBTIQ+ inaugurate più recentemente dal governo di Boris Johnson.
L’immersione maniacale negli elementi visuali del discorso Storico, superano la tradizione talvolta didascalica del Period Drama di scuola BCC, attivando una funzione immersiva che serve a delineare la doppia vita di Jean, raccontata attraverso la dialettica interno/esterno, individuo/mondo.
Se il blue, come Oakley ha raccontato in alcune interviste, caratterizza lo stato d’animo del personaggio, questo investe anche gli oggetti e lo spazio privato.
Le scelte che la donna compie sono determinate da un principio di sopravvivenza necessario nelle scuole del Regno. Qualsiasi segno, attitudine, rivelazione, legata alle abitudini individuali, rischia di impattare negativamente con i principi dell’organizzazione collettiva. Per non perdere il lavoro, Jean è costretta a nascondersi e a mentire sulla propria vita sessuale.
Ecco che il Netball, sport nazionale tradizionalmente femminile come ho già raccontato, diventa l’arena perfetta per camuffare l’essenza della propria vita e allo stesso tempo per avvicinarne sostanza e desideri. Qualsiasi tentativo di distruggere questa duplicità metterebbe a rischio la drammaturgia allestita.
Su questa definizione di spazio, etico, narrativo e visuale, Oakley desume dal thriller l’innesco e il disinnesco alternato della tensione.
L’agente esterno che può distruggere questa simmetria è rappresentato da Lois, nuova arrivata in palestra, osservata prima dell’ingresso effettivo dalla stessa Jean nella sua ribelle forza scomposta che le ha consentito fino a quel momento di tirare calci ad un pallone nel cortile della scuola.
Fisica, emotiva e incontenibile, la ragazza interpretata da Lucy Halliday non nega le sue preferenze, identiche a quelle di Jean e soprattutto non conosce e non può seguire pedissequamente le regole del gioco. Il suo è un sabotaggio in piena regola esercitato con la voglia di vivere nel cuore.
Tutto si altera in uno spazio teatrale concepito per nascondere gli imprevisti della vita e quindi anche il cinema di Oakley sembra rimanere in bilico tra questi due estremi, tanto da ridefinire in senso squisitamente politico il dramma dei corpi nell’ambiente sociale, come una lotta ineludibile.
Se la morfologia dei salotti famigliari, incluso quello dei congiunti di Jean, è modellata sulle immagini trasmesse dal catodo, dove ricorre l’icona di Cilla Black, eroina della working class perbene fine sessanta e rassicurante volto nostalgico del week-end pomeridiano legato ad un’Inghilterra negativamente inattuale, già morta da un pezzo negli anni ottanta, ciò che non si può rappresentare è nei pub per sole donne, nei bar di periferia, negli spazi che si accendono di notte.
La scuola, dimensione asettica preservata dal governo in carica, esplode di tensione quando l’alterità si introduce senza mediazioni.
Il bar lesbo, porto franco di una comunità libera ma ancora chiusa nell’autorappresentazione semi-clandestina separata dagli spazi pubblici, dalla prospettiva di Jean non può accogliere Lois.
Sullo scontro doloroso e durissimo tra Lois e Jean si regge tutta la tensione drammatica del film, capace di raccontare le diverse fasi di un’agnizione identitaria che attraversa persone e generazioni diverse, ma anche gli spazi del vivere sociale.
E il dentro comunica con il fuori. Preservare uno spazio significa distruggere l’altro, negarne lo statuto secondo la logica oppositiva inventata dal potere. L’unica soluzione è attraversarli entrambi.
Blue Jean è allora un film che indica il possibile superamento di una soglia, privata e collettiva, come movimento necessario per cambiare la propria vita e quella di un’intera comunità.
Blue Jean di Georgia Oakley (Regno Unito 2022 – 97 min)
Interpreti: Rosy McEwen, Kerrie Hayes, Lucy Halliday, Lydia Page, Stacy Abalogun
Sceneggiatura: Georgia Oakley
Fotografia: Victor Seguin
Montaggio: Izabella Curry
Musiche: Chris Roe