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Xmas bloody Xmas: nelle grinfie di Santa

La nostra wantlist natalizia arriva oggi, 25 dicembre, puntuale come un orologio e senza alcuna intenzione di insultare quei pochi che vivono queste festività dalla parte della fede. Tutt’altro, perché a guardar bene, questa selezione rovescia come un guanto il Natale dei consumi.

Tra buoni e cattivi sentimenti non abbiamo alcun “bersaglio. Ci guardiamo intorno e a grondare è il sangue, ad abbondare  la violenza, a proliferare  il male che cova nel nido famigliare. 

Questa di seguito è una festa gore, consapevoli che non ci sia niente da festeggiare. È un piccolo, modestissimo specchio del presente, in arrivo dal futuro anteriore. 

Buone visioni:

Silent Night, Bloody Night (Usa, 1974)

Conosciuto anche con il titolo di “Night of the Dark full moon” e diretto da Theodore Gershuny, il film viene co-prodotto nel 1972 dal grande Lloyd Kaufman, storico fondatore della Troma, ma viene distribuito in sala solamente due anni dopo. Interpretato da un veterano come Patrick O’Neal, affiancato dalla “Wharoliana” Mary Woronov, è interamente girato a Long Island. Ambientato nel periodo natalizio in una villa maledetta da un passato di incesto e morte, il film è uno slasher in piena regola con una serie di omicidi a catena. Dimenticato fino agli anni ’80 è diventato un piccolo film di culto, disponibile anche per la visione integrale in rete, come film di pubblico dominio.

Black Christmas (USA, 1974)

Bob Clark, sette anni prima di Porky’s, realizza il suo terzo horror dopo “Children Shouldn’t Play with Dead Things” e il romeriano “Dead of Night” (La morte dietro la porta, del 1972).

Distribuito in Italia con il sottotitolo di “Un natale rosso sangue”, Black Christmas è interpretato da Olivia Hussey (già Giulietta nel “Romeo e Giulietta” di Zeffirelli) e da Margot Kidder ed è la storia di un massacro consumato all’interno di un convitto per sole donne.

Classico del cinema Horror di tutti i tempi, anticipa l’immaterialità del male prima ancora di titoli come Halloween o Venerdi 13, inventandosi la figura di un serial killer senza volto, in un’atmosfera sospesa tra angoscia e umorismo surreale. Nel 2006 esce un remake che è anche una sorta di sequel; diretto da Glen Morgan è sostanzialmente un film da dimenticare.

Christmas Evil (USA, 1980)

Natale del 1947, il piccolo Harry scende le scale della sua abitazione per recarsi dalla camera nella sala al piano inferiore. Non visto scopre il padre vestito da babbo natale mentre si prepara a praticare un bel cunilinguus alla madre. Convinto che quell’uomo sia davvero babbo natale, scappa in camera sconvolto, prende una palla di cristallo di wellesiana memoria e la riduce in frantumi.

Dopo aver raccolto uno dei pezzi di vetro, si ferisce deliberatamente una mano, spillando sangue sul contenuto candido e natalizio ormai per terra insieme agli altri resti. Sono le prime immagini di un film rimasto nell’ombra per anni, terzo e ultimo tra quelli diretti da Lewis Jackson, co-prodotto da Bert Kleiner, già attore ne “La montagna sacra” di Jodorowsky e amatissimo da John Waters che nel suo libro “Crackpot: The Obsessions of John Waters” lo cita come un vero e proprio capolavoro.

Noi la pensiamo come il Papa (del Trash) e Christmas Evil, conosciuto anche con il titolo di “You better watch out“, oltre ad essere un prototipo per il successivo e più gettonato “Silent Night, Deadly Night”, titolo che darà origine ad una lunga serie di film, è una perturbante riflessione sulla formazione sessuale di un ragazzino, esattamente come lo sarà per certi versi l’Harry di John McNaughton, che forse solo accidentalmente, condivide il nome del protagonista.

L’Harry di Lewis Jackson è un bambino traumatizzato che una volta cresciuto, si travestirà da babbo natale per selezionare i bimbi cattivi da quelli buoni, sorpresi mentre consumano piccoli peccati, come per esempio sfogliare le pagine di Penthouse.

Attraversato da un’atmosfera malsana, Christmas Evil mina alla base il concetto del natale come “festa dei fanciulli”, lavorando sugli stereotipi culturali in quel modo deformante e disturbante che appartiene anche al cinema di John Waters. Assolutamente da riscoprire, il film è interpretato da Brandon Maggart (Il mondo secondo Garp, Vestito per Uccidere) padre della nota cantante Fiona Apple.

To all a Goodnight (USA, 1980)

Lo slasher di David Hess si ambienta durante una festa natalizia allestita in un contesto universitario. Un gruppo di studentesse con i loro rispettivi ragazzi diventeranno le vittime di uno psicopatico travestito da babbo natale, che durante la festa li massacrerà uno dopo l’altro. Scritto da Alex Rebar, già autore dello script di “Chi sei?”, il film diretto da Ovidio Assonitis sei anni prima, è un film malatissimo che mette al centro la festa natalizia come occasione per un’orgia giovanile; all’esplosione ormonale dei protagonisti verrà contrapposta la furia omicida del serial killer che con un campionario di armi non convenzionali, inclusa l’elica di un elicottero, darà sfogo ad una fantasiosa macelleria gore.

Silent Night, Deadly night (USA, 1984-2012)

La serie più longeva degli slasher natalizi, quella di Silent Night, comincia nel 1984 con il film diretto da Charles E. Sellier Jr, autore di tre film e prolifico produttore televisivo, e finisce con “Silent Night” di Steven C. Miller.

Niente di più che una delirante saga incentrata sul rovesciamento dell’icona di Santa Claus, in modo più marcato rispetto al precedente “To all a Goodnight” e debitrice del seminale “Christmas Evil”, riserva almeno due sorprese.

La prima è il terzo capitolo della serie, girato nel 1989 e diretto dal grande Monte Hellman. “Silent Night, Deadly Night 3: Better Watch Out!“.

Film detestato dai fan della serie, è infatti un piccolo cult realizzato su commissione dall’autore di “The Shooting” che riesce a trasformare il materiale originale in un delirante thriller psicologico. Potente, ironico e visionario, oltre ad una serie di riferimenti cinefili, tra cui una stretta connessione con “Wait until dark” di Terence Young, è una variazione sul tema dello slasher/gore, decostruito da Hellman con risultati non così distanti dai suoi western sospesi e meditativi.

Nel cast, una serie di icone che sarebbero diventate Lynchiane negli anni a venire: Richard Beymer, Eric Da Re e una giovanissima (e bellissima) Laura Herring.

Variazione d’autore anche il successivo capitolo diretto da Brian Yuzna: “Silent Night, Deadly Night 4: Initiation“. Tra i film meno riusciti del regista di origini filippine, come il precedente, rompe con la tradizione della serie, ma mentre Helman lo fa minandone il funzionamento dall’interno, Yuzna gira completamente un altro film che con gli omicidi natalizi non ha niente a che fare. Rimane il senso di una sacralità violata, con la parte centrale legata alle ossessioni Lovecraftiane di Yuzna e al suo gore ritualistico e selvaggio.

Don’t Open Till Christmas (USA, 1984)

Film con una storia bizzarra e controversa, Don’t Open Till Christmas viene affidato all’attore britannico Edmund Purdom, ma completamente rimaneggiato in sede di montaggio da Derek Ford, autore di una serie di sexploitation degli anni ’70 (Suburban Wives, Commuter Husbands, Keep It Up Jack) che inserì nuovo materiale, lasciando intatte solo le parti dove appariva effettivamente Purdom.

Realizzato come risposta inglese istantanea al primo Silent Night, Deadly Night, ambienta per le strade di Londra la mattanza del solito serial killer vestito da babbo natale. A farne le spese sono tutte le persone vestite come Santa Claus, tutte massacrate nei modi più orribili.

L’influenza di Ford è visibilissima tanto che il film, al di là della sua accidentata gestazione, conserva una forza iconoclasta molto gustosa e un sano sentimento anti-natalizio declinato secondo un’ottica puramente sexploitation.

Tra i Santa Claus fatti a pezzi, ci sono quelli che fanno la coda per i peepshow, chi tracanna alcolici senza ritegno, alcuni che commettono adulterio davanti ai bambini e altri castrati mentre pisciano in un cesso pubblico. Veri e propri “Bad Santa” ante litteram.

Elves di Jeffrey Mandel (USA, 1989)

L’esordio di Jeffrey Mandel nel lungometraggio sarà seguito solamente da altri due titoli nella carriera del regista americano. Non è difficile intuirne il motivo, Elves è spazzatura allo stato puro, assolutamente imperdibile per gli amanti di un’idea totalizzante di trash, in parte involontaria e molto lontana dalla consapevole freakerie anarchica della Troma.

Quando Kirsten (Julie Austin) si taglia la mano accidentalmente durante un rito anti-cristiano e anti natalizio allestito in una foresta insieme al fidanzato, il sangue disperso darà la vita ad un demoniaco Elfo Natalizio che oltre a diventare l’incarnazione malefica di una filosofia rovesciata della principale festa cristiana, viene connesso a deliranti teorie neo-naziste che ci riconducono alle vere intenzioni di Hitler, sottese dalla “vulgata” sulla razza ariana. Il vero scopo di Adolf sarebbe stato quello di vagheggiare la possibilità di una razza metà umana e metà elfica, con al centro una ritualistica praticata segretamente ai tempi del nazismo. Fatte le dovute riserve, Elves è un vero spasso.

Santa Claws (USA, 1996)

John A. Russo, lo sceneggiatore de “La Notte dei Morti Viventi” di G. A. Romero, qui alla sua terzultima regia. Santa Claws è probabilmente uno dei suoi film peggiori come regista ed è interpretato da Debbie Rochon, nella parte di Raven Quinn, un’attricetta di b-movie tra l’horror e l’erotico, perseguitata da un fan ossessivo che vuole possederla. La connessione con il natale è flebile e al di là del fatto che il film è ambientato durante le festività, la ragione intima che spinge il fan psicotico a diventare un pericoloso stalker è in fondo una versione estrema del concetto contenuto nella nota canzone “i saw mommy kissing santa claus”, ma preferiamo non raccontarvelo per evitare di incorrere nel “reato di spoiler”.

Jack frost (USA, 1997)

Jack Frost è un film realizzato per il mercato home video e diretto da Michael Cooney nel ’97, e con il secondo capitolo realizzato tre anni dopo,  costituisce l’intera filmografia del regista americano. Commedia demenziale e gore debitrice del cinema di Wes Craven (Shocker in primis) ma totalmente distante dall’arte del maestro, si ambienta nell’immaginaria Snowmonton una settimana prima di natale. Qui, Jack Frost, un serial Killer scortato verso il luogo della sua condanna a morte, sarà vittima di un incidente tra il veicolo che lo trasporta e un camion contenente materiale genetico. La fusione tra il suo corpo e le sostanze chimiche daranno inizio ad una mutazione, fondendo Jack con la neve. Il Killer tornerà in vita con le fattezze di un gigantesco pupazzo di neve animato da un feroce spirito di vendetta e armato con letali stalattiti. Per le solite ragioni fanzinare, il film è diventato un piccolo cult negli states.

Feeders 2: Slay Bells (USA, 1998)

I Fratelli John e Mark Polonia, prolifici autori di film trash destinati al mercato video fin dai primi anni ottanta, non contenti di aver realizzato un film imbarazzante come Feeders, si inventano un sequel con i soliti alieni cattivi che sbarcati sulla terra, se la dovranno vedere con babbo natale e i suoi fedeli elfi, intenzionati ad ostacolarli per salvare il mondo. Il film, come tutti quelli girati dai Polonia, sembra filmato “en directe” mentre un gruppo di ragazzacci si divertono a giocare con le bambole,  le pistole a schizzo e a fare duelli per finta.

Christmas Cruelty (Norvegia, 2013)

Probabilmente l’horror “natalizio” più oltraggioso tra quelli realizzati da quarant’anni a questa parte. Una summa di tutte le nefandezze slasher e gore old school riviste attraverso una lente ludica ed estrema, senza alcuna spiegazione morale, traumatica o vagamente psicologica.

L’orrore e il massacro sono presenti in quanto tali e Santa Claus non distingue tra buoni e cattivi, smembra semplicemente corpi.

O’Hellige Jul! è codiretto da Magne Steinsvoll e Per-Ingvar Tomren, il primo si è occupato di qualsiasi aspetto, dalla produzione alla sceneggiatura, componendo anche le musiche, girando alcune scene e curando tutto il suono.

Realizzato con un budget bassissimo e con lo spirito del cinema Grindhouse dei settanta, è un vero e proprio “hardcore horror”. L’aspetto principale su cui si sono basati i due autori norvegesi è la scissione del ruolo di serial killer da quello di amabile padre di famiglia del protagonista. Il crudele Santa ha una doppia vita, come se massacrare corpi fosse un lavoro, mentre il suo mestiere di padre e affettuoso marito, rimane immacolato e protetto da tutto il resto. L’orrore si è definitivamente accasato e diventa la norma.

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