martedì, Novembre 5, 2024

Child of God di James Franco a Venezia 70: un inno alla vita

James Franco torna nuovamente ad affrontare le radici letterarie del suo paese, dopo il Faulkner di As i Lay Dying, adatta per lo schermo il terzo romanzo di Cormac McCarthy scritto nel 1973 e invece di ambientarlo nel Tennessee durante gli anni ’60, gira nel West Virginia, ad  Hillsboro e mantiene comunque la stessa collocazione cronologica, almeno dagli unici elementi riconoscibili nel film: le automobili. Per il resto, la sua versione di Child of God potrebbe riferirsi all’insediamento dei primi pionieri nella zona, ambiguità storica presente anche nel romanzo di McCarthy per quanto riguarda l’elaborazione di un personaggio ferale come Ballard, strana figura che sembra incarnare il male e la degradazione più profonda, spogliata di ogni responsabilità morale, ricondotta ad una necessità primigenia e con un valore quasi mitologico; tant’è, per accentuare questi aspetti, Franco si è servito dei traditional composti da Aaron Embry, che legano le immagini del suo film ad un’epoca arcaica, rituale e indefinibile.

La struttura tripartita del romanzo rimane intatta, cosi come la successione degli eventi principali descritti da McCarthy; quello che fa Franco è seguire da vicino Ballard nel suo percorso ai margini della società, pedinandolo con uno stile diretto e rigoroso, senza alcuna tentazione epica ma con l’intenzione di stabilire un contatto forte tra la natura e le azioni di Scott Haze, interprete davvero notevole, già con Franco nel precedente film e di nuovo con lui per l’imminente Bukowski.

Rispetto alla progressiva discesa agli inferi di Lester Ballard per come la descrive McCarthy, Franco ci presenta da subito una figura molto più dolente, un folle del villaggio che rivendica l’appartenenza alla sua terra, messo all’angolo da chi la sta sfruttando adesso per i propri fini; mentre tutta la realtà che lo circonda cerca di organizzare una civiltà fondata sul sopruso, la comunione di Ballard con la terra ha radici più ancestrali e survivaliste, non dissimili da quelle che animano la figura inventata da Jerzy Skolimowski per il suo Essential Killing, in fondo molto vicina all’universo McCarthyano.

Mentre la civiltà che si organizza può nascondere qualsiasi atto di violenza dietro una giustificazione razionale, Ballard produce morte con lo stesso attaccamento degli animali alla vita. Dopo una prima coppia, trovata morta in mezzo al bosco per un presunto suicidio, Ballard eserciterà sulla ragazza il suo primo atto di necrofilia, considerando quindi una naturale necessità il ripetersi di azioni e occorrenze simili, e imparerà il travestimento, come strategia per non farsi riconoscere dal proprietario terriero che lo ha espropriato, esattamente come gli animali che si nascondono per una paura istintiva; vestito con gli abiti di una delle sue vittime e indossandone anche lo scalpo intero, si avvicinerà alla casa dell’uomo.

Franco mantiene quell’interesse per l’improvvisazione performativa che sta alla base di tutti i suoi film da regista, di cui forse Interior Leather Bar rappresenta la traduzione teorica più esplicita, mentre Child of God ne è un’applicazione sanguigna e anti retorica.

Del resto, c’è una deviazione radicale dal romanzo di MacCarthy ed è tutta la parte conclusiva, assolutamente Cassavetesiana nel modo in cui mette in relazione il percorso accidentato dei corpi nello spazio; mentre nel romanzo, Ballard viene arrestato, torturato e lasciato morire in carcere durante la riesumazione dei cadaveri ammassati nelle grotte dove vive; nel film di Franco, dopo aver ingannato gli uomini dello Sceriffo, scompare tra i tunnel naturali delle rocce e affronta un percorso durissimo, che solo un uomo in simbiosi con la natura e oltre ogni filtro morale, può compiere senza soccombere.

Riemergerà in una bellissima sequenza, come un morto che resuscita dalla terra, con uno sforzo sovrumano che è resistenza a qualsiasi oblio; che piaccia o meno, un inno alla vita.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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