Piccolo film, grande risultato. Małgorzata Szumowska torna a due anni da “W imię …” (‘in nome del…’), fiacco film sull’omosessualità nella Chiesa cattolica. Stavolta la regista sceglie un tema altrettanto controverso – la bulimia – ma indovina la formula narrativa, imperniata su uno strano terzetto e arricchita da un argomento in apparenza bislacco e «buccia di banana», vale a dire lo spiritismo.
Varsavia, oggi. Janusz (Gaios) è un coroner vedovo con una figlia ormai grande (Suwała) che soffre di seri disturbi alimentari – e lo odia. Anna (Ostaszewska), una psicologa che si spaccia per medium, tenta di aiutare entrambi e alla fine, per serendipity, ce la fa. La trama è esile e potrebbe anche essere raccontata dall’inizio alla fine, poiché Body non si basa certo su colpi di scena o epifanie.
Szumowska vanta un talento visivo naturale nella costruzione dell’inquadratura e una grande misura nell’articolare le sequenze. I piani sono spesso fissi, il montaggio chirurgico e mai invadente, rari i dettagli, pochi gli excursus rispetto alla trama principale, ad esempio il rapporto di Anna con Fred, il suo enorme alano, o un paio di sopralluoghi di Janusz in seguito a fatti di sangue. Il registro resta sempre quello della prima scena, anch’essa un sopralluogo, con un presunto cadavere impiccato che dopo il taglio della corda si alza e se ne va davanti agli occhi della polizia. Macabro con brio.
È proprio sul crinale tra scetticismo e stupore che si muove Body, affrontando circostanze cariche di sofferenza con un sorriso appena accennato, un’ironia lieve e salutare mai sgarbata con i personaggi. Basti citare uno spogliarello stile “Canicola” di Ulrich Seidl commentato dal brano Bikini Death (1984) dei polacchi Republika, o il classicone che illumina il finale, You’ll Never Walk Alone (1945), tratto dal musical Caousel di Rodgers/Hammerstein. Due esempi musicali isolati in un film molto silenzioso, quasi titubante, se si eccettuano le grida «terapeutiche» delle pazienti di Anna.