Quando Giovanni Cioni sta per avviare le riprese di “Dal ritorno“, Silvano Lippi, uno dei superstiti tra i seicentomila soldati italiani deportati nei campi di concentramento tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, viene colpito da un ictus. Quello che doveva essere un viaggio condiviso verso Mathausen, alla ricerca dei luoghi dove Silvano aveva vissuto l’orrore di una Shoah rimossa dalla storia ufficiale, comincia nelle stanze di una clinica di riabilitazione, tra gli esercizi motori e i primi racconti di Lippi. Nell’imprevisto di un percorso negato, c’è tutta la forza interstiziale del cinema di Giovanni Cioni, in quello srotolamento e avvitamento del tempo generato dalla frammentazione soggettiva del ricordo e dalla sua complessa ridefinizione attraverso la prassi del viaggio. Cinema dal reale, più che “del reale”, la cui sostanza documentale non viene ancorata al metodo della ricostruzione scientifica, perché l’interesse del cineasta apolide toscano risiede nelle infinite possibilità di espansione del fatto che includono anche l’invisibile.
Erano i volti, i gesti, le microstorie individuali e visionarie degli ospiti del centro Ponterosso, filmati da Cioni nel precedente Per Ulisse, sono le rughe sul volto di Lippi, la resistenza di una memoria che è persistenza dolorosa e ossessiva, ma anche la materia che si addensa sulle pareti di Mathausen, il metallo incrostato dei forni crematori, la finestra dell’appartamento di Silvano con una farfalla intrappolata tra vetro e stipite, cose che ci guardano indietro dal passato e si infiltrano continuamente nell’esperienza in transito dello stesso Cioni, il cui sguardo, mai didascalico, lascia sempre uno spazio da riempire. A questo proposito, basta pensare alla piccola scolaresca ospitata in casa di Lippi e ai loro sguardi puntati sulla bocca del sopravvissuto, mentre la voce ripercorre episodi di una durezza insostenibile, già raccontati nel corso del film e ripetuti più volte, ma con un punto di vista testimoniale differente, quello di chi accoglie la Storia in modo vivo e la trasmuta in immagine.
Silvano Lippi, sopravvissuto al campo di concentramento, torna a Firenze dopo la guerra tra l’incredulità dei famigliari che ormai lo danno per morto; la sua verità viene messa in dubbio, come se il ritorno dalla terra dei morti fosse così inaccettabile da costringerli a neutralizzare l’orrore liberato dal racconto in una dimensione allucinatoria.
Le parole di Lippi vengono spezzate per un attimo da un pianto soffocato, la memoria per lui è necessità e calvario, perché l’unica possibilità per tenere in vita i compagni sterminati è ripercorrerne la morte, tutte le volte. Immagini che non escono dalla testa, ci dice, e che lo spingono in quella solitudine che Cioni osserva da vicino, avvicinandosi al volto di Silvano e inserendo alcuni super 8 filmati con la famiglia, tracce di vita quotidiana che fanno convivere l’orrore con il ritratto intimo.
“Il passato è un paese straniero. Lì, tutto si svolge in modo diverso” e il viaggio di Cioni verso Mathausen ci ha fatto venire in mente il messaggero Loseyano, il cineasta lo compie da solo, ma da vero e proprio “go betweener” si sostituisce alla soggettiva impossibile di Silvano, tanto da imbastire, con profondo amore, le tappe di un dialogo epistolare.
La sconnessione tra le parole di Lippi e le immagini girate all’interno del campo di concentramento, circondate dal silenzio, da un rumore industriale e dalla musica acusmatica di Juan Carlos Tolosa cercano un “punctum” tra Storia, memoria ed emozione, con un lavoro combinatorio prodigioso che introduce improvvisamente il rumore del mondo tra l’orrore descritto e le tracce del tempo sulla materia.
Le torture descritte da Lippi, le arterie degli impiccati che esplodono, le pulci che si annidano tra le piaghe della carne ferita, i cavi elettrici infilati nell’ano, i cadaveri avvinghiati nelle camere a gas e ricoperti dai propri escrementi, il compagno affogato con la testa infilata a forza in un secchio, il gancio che afferra i cadaveri e li spinge verso la cremazione, risuonano ossessivamente perché assenti nello spazio vuoto delle docce, mentre la camera di Cioni filma la muffa, la ruggine dei forni e il loro ventre oscuro.
Il viaggio stesso allora diventa il movimento di un revenant, compenetrazione di un punto di vista estremo e periferico, come lo sguardo di un sopravvissuto che continua a vedere quello che non si scorge a occhio nudo.
Come vedere “Dal Ritorno” di Giovanni Cioni in Streaming
Dal Ritorno di Giovanni Cioni si può vedere in streaming legale a pagamento oppure per l’acquisto/download attraverso i seguenti canali
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