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David Bowie, Philip K. Dick, Julian Priest: men lost in time

Survive, adapt, accomodate your own existence. Howewer you wish to describe, the fact remains. There is no escape, except of course a single final act. Death” (Julian Priest – Sanctuary S02 Ep1)

A causa della linea cospirazionista che sta sfortunatamente imperversando in rete da quando ci si è ricordati dell’inception date di Roy Batty, il replicante interpretato da Rutger Hauer nel Blade Runner di Ridley Scott, l’analogia con la data di Nascita di David Bowie (8 Gennaio 1947 per il musicista inglese, 8 Gennaio 2016 per quanto riguarda il replicante) ha assorbito qualsiasi volontà di approfondire una traccia, anche narrativa, più complessa e che include la relazione di stima reciproca tra i due artisti, iniziata nel lontano 1969 quando Bowie partecipa insieme ai Mint allo spot pubblicitario girato da Scott per il gelato Luv (marchio ancora esistente).

Blade Runner – Ridley Scott (USA 1982) – L’inception date di Roy Batty

Ridley Scott – Luv ad (1969)

Da questo momento in poi le allusioni sono molteplici e come succede sovente nella carriera artistica di Bowie, recuperano, anticipano e disseminano tracce e narrazioni di una rete transmediale. Per approfondire parte del processo, rimandiamo alla lettura di questo articolo, dedicato a David Bowie, Ashes to Ashes, The Pretty Things are going to hell, Derrida, Love is Lost, Pierrot e Pinocchio.

Ma al di là delle frequentazioni e di un vero e proprio racconto di formazione che coinvolge anche l’apprendistato di Duncan Jones, è l’amore per la lettura e la passione per la fantascienza che fa da propulsore principale alla rete di rimandi. “Ho avuto un’educazione piuttosto insolita – dice Jones in un’intervista del 2011 per Usa Todaymio padre riteneva che leggere fosse una cosa importantissima. Dedicavo quindi una o due ore alla lettura ogni notte, questa era la regola di casa. Da bambino talvolta questo creava frustrazione, perché non volevo dedicarmici e uno dei metodi che mio padre utilizzava per ricondurmi alla lettura era attraverso i libri di fantascienza, che erano quasi come delle caramelle“. Ed è sempre Duncan che in una diversa intervista per Movieline rilasciata come la precedente, nel periodo di promozione per Source Code, parla della dieta consigliata dal padre a base di Orwell, Ballard, John Wyndham e Philip K. Dick.

L’utile articolo di Jason Heller pubblicato recentemente su Pitchfork esplora in modo sin troppo lineare le connessioni “non lineari” tra letteratura di fantascienza e il multiverso Bowiano, recuperando citazioni e allusioni abbastanza note per chi ha seguito con una certa attenzione la mitologia creativa dell’artista inglese, individuando quindi alcuni riferimenti diretti e affidando una posizione centrale alla quadrilogia di Moorcock dedicata a Jerry Cornelius, personaggio non così famoso dalle nostre parti se si considera che dell’intero “Quartet”, in Italia è stato tradotto solamente “The Final Program“, ovvero il primo volume di tutta la saga.

Michael Moorcock – The Final Programme (Seconda edizione Allison & Busby – 1969)

Pitchfork cita ovviamente le caratteristiche androgine e bisessuali di Cornelius, la sua passione per la moda, il fatto che oltre all’attività di agente segreto ne porti avanti una parallela come rock star, il tutto sullo sfondo di una swinging London descritta con toni apocalittici e nel contesto di quella rivoluzione letteraria del genere introdotta da New Worlds, la rivista fondata da Moorcock stesso nel 1964, territorio di sperimentazione linguistica e narrativa e che nel momento in cui Bowie farà nascere il Maggiore Tom, sarà già una delle realtà consolidate della nuova fantascienza.

Sorprende (negativamente) che Heller, in riferimento a The Final Programme, non citi il “Major Newman“, l’astronauta americano che avrebbe documentato aspetti sconosciuti del cosmo dopo una rovinosa missione aerospaziale e il cui diario si troverebbe in una cava di Lapland. Colin Greenland, nel fondamentale Entropy Exhibition (Routledge Revivals): Michael Moorcock and the British ‘New Wave’ in Science Fiction, inserisce il Major Tom Bowiano nella linea di sviluppo dell’astronauta pazzo, vero e proprio anti-eroe introdotto dagli autori della New Wave fantascientifica britannica, da Moorcock stesso (Ryan e Newman) fino a Ballard, Trabert e Malzbeg.

Sempre in relazione a Moorcock, Pitchfork si guarda bene dal fare il giochino dei riferimenti intrecciati, cambiando creativamente la direzione dello stesso gioco (con Bowie,  come si diceva, è necessario) e infatti non cita la presenza del Pierrot in alcuni romanzi del Quartet (The Final programme, The English Assassin, The Condition of Muzak). Il primo romanzo della quadrilogia viene pubblicato nel 1968, dopo il Pierrot in Turquoise di Kemp/Bowie anche se una versione incompleta era uscita a puntate dal 1965 in poi su New Worlds. Se l’ispirazione comune è quella della commedia dell’arte, le cui caratteristiche improvvisative interessano a Moorcock per lavorare sullo slittamento di senso dei personaggi e sui salti della scrittura, sembra che il Pierrot Lunaire espressionista di Giraud/Schönberg sia un riferimento importante anche per lo scrittore londinese, come conferma questa playlist inviata da Moorcock stesso ad Artsbeat nel 2010. Se poi si fa riferimento a “The English assassin“, scritto da Moorcock nel 1972, dove Jerry Cornelius ri-emerge dalle acque del mare come Pierrot per incontrare sulla spiaggia la sorella Catherine, non può non venir in mente il Pierrot-Pinocchio viaggiatore nel tempo che in Ashes to Ashes affonda tra i flutti oppure cammina per le spiagge di Hastings.

Ashes to Ashes (Bowie-Mallet 1980)

 

Le timeline temporali della quadrilogia Moorcockiana, dove i personaggi muoiono in una falda per risorgere in quella parallela, rovesciando continuamente il punto di vista tra assassini e assassinati, arrivano certamente fino a Source Code, il secondo film diretto da Duncan Jones. Da un certo punto di vista la stessa “Blackstar” sembra sovrapporre la riflessione intima sulla mortalità, con la materia nera e caotica di un episodio della saga, “A cure for cancer“, facendo collassare scienza, fisica, finzione e biografia nello stesso modo in cui Moorcock si colloca in un simile interstizio nella sua auto-biografia fantascientifica pubblicata recentemente con il titolo di The Whispering Swarm

La reciproca influenza tra Philip K. Dick e David Bowie, sempre nell’articolo di Pitchfork, non viene minimamente sfiorata, limitando i riferimenti agli ermafroditi de “Il mondo che Jones creò” e al testo di Girls, il brano scritto da Bowie nel 1986 per Tina Turner, inserito nell’album Break Every Rule e poi ri-registrato dallo stesso durante le session di Never Let Me down, per l’inclusione come b-side nel singolo di Time Will Crawl.

Le liriche: “My heart suspended in time / Like you vanish like tears in the rain” vengono infatti citate da Nicholas Pegg in relazione al soliloquio affidato a Rutger Hauer/Roy Batty nel Blade Runner di Ridley Scott, dove la parte “All those moments will be lost in time, like tears…in…rain. Time to die“, secondo una serie di fonti tra cui il documentario Dangerous Days: Making Blade Runner, sarebbe stata scritta da Hauer stesso, modificando la sceneggiatura di David Webb Peoples.

Che Bowie fosse innamorato di Blade Runner è questione certa e testimoniata, direttamente e indirettamente; tra l’altro, la citazione del soliloquio, come raccontano i volumi di Sanford, Hendrickse e il solito Pegg, torna addirittura sul foglietto che accompagna i fiori recapitati per il funerale del fratellastro Terry Burns, morto nel 1985: “You’ve seen more things than we could imagine but all these moments will be lost, like tears washed away by the rain. God Bless you. David“.

Se dovessi analizzare la rabbia che mi pervade – scrive Philip Kindred Dick in Vita breve e felice di uno scrittore di fantascienzae si esprime in mille modi subliminali, credo che l’oggetto della mia indignazione sarebbe la vista dell’insensato. Tutto quanto è disordine, la forza dell’entropia…non vi è redenzione in quel che non può essere capito, per quanto mi riguarda. La mia opera di scrittore in toto, rappresenta il tentativo di prendere la mia vita, e tutto quanto ho visto e fatto, riplasmarla in modo da conferirle un senso

Nel sistema complesso e “impossibile” delle riformulazioni semiotiche e linguistiche che dal corpus Dickiano vengono disseminate verso il cinema, la musica rock, i fumetti e la cultura pop in genere, il continuum tra Bowie e Dick sembra non esser mai stato esplicitato fino in fondo.

In questa sede ci limitiamo a fornire alcune indicazioni combinatorie che abbiamo messo insieme.

Nell’intervista che Dick rilascia a John Boonstra nel 1981 per Hartford Advocate, il critico chiede se il film VALIS inserito nel romanzo omonimo sia ispirato a The man who fell to earth di Nicolas Roeg. Lo scrittore risponde: “Esatto, esatto. È da li che viene l’idea. È come Madame Bovary che va a vedere Lucia (n.d.r. si riferisce all’episodio in cui Emma va a vedere la Lucia di Lammermoor di Donizetti al Teatro di Rouen). Ricordo quella scena benissimo, e come riesce a cristallizzare tutte le cose vaghe e nebulose che fluttuano nella mente di Madame Bovary. Ho visto L’uomo che cadde sulla terra e ho pensato che fosse uno dei film più belli, non semplicemente tra quelli di fantascienza, ma uno dei film più belli che avessi mai visto. Incredibilmente originale, provocatorio, ricco di idee, bellissimo a livello di tessitura e complessivamente glorioso. Era enigmatico. In nessun modo il film VALIS è legato al plot e al tema de L’uomo che cadde sulla terra, ma l’idea che ne ho ricavato è che se un film di fantascienza è ben fatto, potrebbe essere una fonte di conoscenza e di informazione come qualsiasi altra cosa da cui normalmente acquisiamo le stesse conoscenze e informazioni. È un film che mi ha fortemente impressionato; l’ho amato. Il mio utilizzo del film VALIS è il mio omaggio a L’uomo che cadde sulla terra. Vederlo è stata una delle più grandi esperienze della mia vita

Un anno dopo, alla vigilia della premiere di Blade Runner, il solito Boonstra torna a intervistare Dick poco prima che lo scrittore muoia di infarto. Dick ribadisce il suo interesse per L’uomo che cadde sulla terra in seguito ad una domanda del critico sulla sceneggiatura di Blade Runner: “Dopo aver finito di leggere la sceneggiatura, ho tirato fuori il romanzo e l’ho riguardato. Si rinforzano a vicenda […] Mi ha insegnato aspetti della scrittura che ignoravo […] Quello che avevo in mente fin dall’inizio era The Man Who Fell to Earth. Era il paradigma.  Per questo ero così seccato quando ho letto la prima sceneggiatura di Blade Runner, perché era all’opposto del lavoro fatto nel film di Roeg. In altri termini, era una distruzione del romanzo. Adesso, tu leggi la sceneggiatura e torni al romanzo, ed è come se fossero due metà di un meta-manufatto, on meta-artefatto

Nell’ultimo lavoro di Dick, L’esegesi, la magmatica esperienza combinatoria che mette insieme scrittura confessionale, scienza, esoterismo e la visione dell’universo in un sistema di dati, David Bowie viene citato più volte. L’edizione che abbiamo consultato è quella curata da Pamela Jackson e Jonathan Lethem per Houghton Mifflin Harcourt, la traduzione italiana è uscita a fine 2015 per Fanucci Editore, ma non abbiamo potuto consultarla.

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[3:38] Re Il film di Bowie (nota: L’uomo che cadde sulla terra) e il bambino che va verso l’Inghilterra sulle rapide; il bambino divino non nascerà, ma sarà scambiato, come l’uovo di un cuculo in un nido estraneo, travestito come un essere umano? Un terrestre? Mentre beffa “Scotland Yard” -i.e., le autorità. Extraterrestre? No. Ha a che fare con il tempo, e può confondere il nostro mondo, fuori e dentro, con il nostro. Il tempo e lo spazio insieme […]

cfr. Blackstar – testo

Something happened on the day he died
Spirit rose a metre and stepped aside
Somebody else took his place, and bravely cried

Sempre in riferimento al testo di Blackstar anche il passaggio [1:94] presenta alcune suggestioni visionarie simili. Dick scrive: “Novembre 2, 1980, quello che posso vedere chiaramente è che 3-74 era un atto eroico che si riferiva al superamento del fato. “Possiamo essere eroi, solo per un giorno” per citare Bowie. Ha a che fare con un risveglio della durata sufficiente per compiere un’azione, per compiere un cambiamento, prima che si torni a sprofondare nel sonno, prima di dimenticare di nuovo. Ciò che mi colpisce è che si tratta di cosmogenesi in miniatura, nel microcosmo, perchè qualcosa è giunto alla vita dal niente. Ciò che la persona ha fatto, l’atto eroico, non poteva farlo, considerato chi è, la sua storia, il suo karma. È impossibile. Così e in senso reale e letterale, è nato un nuovo se dentro di lui, dal momento che il fatto e l’atto non poteva nascere dall’io del campo, perché l’io è frantumato nel tempo e nello spazio

Nel passaggio  [20:79] Dick si riferisce alla sua scrittura come un messaggio contrabbandato (smuggled) fuori  e non in questo mondo spurio. Come se fosse quindi un segnale inviato verso l’esterno per chiedere aiuto e il 2-3-74 fosse quell’aiuto esterno in risposta ai messaggi contenuti nei suoi stessi scritti. Paragona quindi la trasmissione a quella che Bowie invia alla moglie ne “L’uomo che cadde sulla terra” affinchè possa comunicare con lei attraverso le onde radio (n.d.r. Il disco che Thomas Jerome Newton incide nel film di Roeg si intitola “The Visitor”) .

The man who fell the earth (Nicolas Roeg – 1976)

Nel passaggio [50:60]  parla di una personalità capace di elaborare un sistema di apprendimento che gli consenta di comprendere l’universo sovranormale del divino, ovvero ciò che non è comprensibile dall’io individuale. Gli stessi suoi scritti, dice Dick, hanno quindi la capacità di rivelare ed inoltre contengono uno schema cosmologico che si basa sulle dottrine Gnostiche soppresse. Cita inoltre il fatto che le autorità concepiscano l’informazione rivelata come trasmessa attraverso comandi codificati in modo consapevole. E pensano che tutto questo sia fatto deliberatamente. Gli Amici (Marxisti), scrive Dick, pensano la stessa cosa. Esattamente come noi siamo convinti che Bowie conosca alcune cose, queste persone credono che io stesso conosca alcune cose.

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Questo gioco di attribuzioni e scambi, debiti e indebiti, ci serve anche come promemoria e traccia da cui partire o separarci. In particolare, nel continuo riferimento che ci consente, dentro al metaverso Bowiano, di spostarci da Derrida a Dick, dalla Cabbala Teosofica (esempio di linguaggio combinatorio sui libri del Pentateuco, che non si confronta con il testo in termini esegetici, ma lo modifica in base alla tecnica dell’acrostico, la numerizzazione, l’anagramma) al cut-up bourroghsiano, ci sembra sia presente un fortissimo antidoto alla pornografia complottista che sta ammorbando il corpus e le numerose prassi testuali attivate da Bowie, e in una prospettiva più complessa rappresentando il cuore stesso della comunicazione: uffici stampa, televisione di stato, informazione politica, stampa di regime. Chi straparla degli illuminati, con una mancanza di riferimenti culturali esemplare, riproduce lo stesso meccanismo di proliferazione delle mitologie al potere, confondendo pericolosamente l’origine letteraria e semiotica di un archetipo con il diritto alla conoscenza.

Radio Rock ha diffuso un comunicato stampa sull’intervento del “teorico della cospirazione” Leo Lyon Zagami, secondo il quale David Bowie non sarebbe morto, ma si nasconderebbe dietro l’identità di Jack Steven, “Un discografico identico a David Bowie apparso su una trasmissione di Sky a circa ventiquattro ore dalla sua morte”, recita lo stesso comunicato stampa.

Jack Steven ex A&R management e ceo Fortress Music su Sky News

Il video con l’intervento di Jack Steven circola da due settimane attraverso il profilo della Fortress Music e Zagami non ha scoperto niente di nuovo rispetto alla legione dei “teorici della cospirazione” che l’hanno preceduto con supposizioni di vario genere. Zagami si è ovviamente limitato a riportare quello che è facilmente leggibile dai commenti pubblicati sotto i video disseminati su Youtube e che vedono Jack Steven protagonista del memoriale televisivo dedicato da Sky News a Bowie. “Ad incrementare l’arcano – recita ancora il comunicato di Radio Rock – circa la curiosa vicenda, il fatto che Jack Steven fosse alla sua prima apparizione televisiva e che di lui non vi fossero che sparute notizie

Non ci interessa fare l’autopsia all’ennesima bufala basata sul niente e clonata dalla rete della spazzatura cospirazionista internazionale,  per spingere sostanzialmente un meccanismo promozionale (Zagami sta promuovendo il suo nuovo libro).

Jack Steven è possibile vederlo in un video di sei anni fa già oggetto dei soliti confronti dalla logica incerta,  viene citato nella biografia dei Blue-Cats, in un articolo del 2010 di Jasmine Dotiwala (produttrice, giornalista, regista televisiva di una certa notorietà in Inghilterra), il suo nome è  presente in numerosi articoli dove ci si riferisce alla sua persona come manager chiave della A&R,  tra cui un contributo degli anni ottanta, ricavato da un giornale tedesco e che racconta di un contenzioso tra Geffen e RCA per la pubblicazione di Sweet Dreams degli Eurythmics su differenti mercati. Appurati i mezzi per ricostruire il curriculum di Steven applicando metodi più rigorosi e tempi superiori rispetto a quelli impiegati dalla rete “replicante”, respingiamo al mittente la totale infondatezza delle teorie cospirazioniste, come ben sappiamo nate in un contesto corrotto che nasconde dietro il paravento di una crociata contro il potere, il volto peggiore del conservatorismo razzista, omofobo e irrazionale.

Is it art? Well, how is it valued? The value depends upon opinion, opinion depends on the experts, a faker like Elmyr makes fools of the experts, so who’s the expert? Who’s the faker?
Una delle frasi più provocatorie di Orson Welles in F for Fake connette l’artista al ciarlatano Melvilliano, l’impostore che dice il vero, lo scambio tra falsario ed esperto, artista e critico, illusione e realtà, tutto vero e tutto falso.

Volessimo cedere alla volgarità delle sollecitazioni che ci indicano verità certe, un Bowie vivo che simula la sua morte, oppure un Bowie morto che utilizza un simulacro pre-confezionato per diffonderne schegge di memoria, avrebbe il nostro sostegno nel tentativo ipotetico ed estremo di difendere un diritto all’oblio rispetto alla proliferazione di una modernità-liquida, che attraverso lo sguardo vitreo della sorveglianza si immagina una trasparenza accecante, negandosi, tra cadaveri, la percezione caotica e oscura della morte stessa.

Impostori che dicono il vero, Nat Tate e Julian Priest, l’artista che si serve della mutilazione e della trasformazione dei corpi per creare opere tra organico e inorganico e interpretato da Bowie in The Hunger, la serie televisiva prodotta dai fratelli Scott (Ridley e Tony). Priest introduce tutti gli episodi della seconda serie e interpreta un intero episodio intitolato Sanctuary. Cancellazioni, obliterazioni dell’immagine, mutilazioni, seguono i diari di Nathan Adler e precedono il lavoro di Barnbrook sulle grafiche di Heathen. Ancora una volta, Bowie costruisce personaggi ed entità nomadiche che si spostano da una dimensione mediale all’altra.

Julian Priest – David Bowie in Sanctuary (The Hunger Series – 1999 -Tony Scott – prod Scott Free)
Julian Priest – David Bowie in Sanctuary (The Hunger tv series, 1999 – Tony Scott – prod. Scott Free)

E mentre Alien Covenant, il progetto di Ridley Scott che si colloca dopo Prometheus, sembra aver desertificato qualsiasi segno, lasciando un pianeta abitato dal solo androide Fassbender, personaggio educato in base ad una dieta visiva tra Peter O’Toole e David Bowie (per le citazioni Bowiane dentro Prometheus, rimandiamo a questa recensione), Bowie stesso ricorda dal passatol’unico film hollywoodiano” che rimpiange di non aver fatto: “un progetto che Ridley Scott voleva interpretassi e che non avrebbe mai realizzato senza di me“.

Nell’intervista che Johan Renck, il regista dei video di Blackstar e Lazarus, ha rilasciato a Vice e che è stata smembrata in ogni dove alimentando sopratutto la vulgata Crowleyana, ci ha colpito una delle risposte in relazione all’insistenza dell’intervistatore nel seguire l’autopsia delle simbologie occulte: “trasformiamo alcune emozioni o psicologie in qualcosa di tangibile – dice Renck – Più vecchio sei, più a fondo i tuoi riferimenti si spingono. È il materiale e le citazioni che cogli ad interessarti durante il percorso, sia che si tratti di Crowley o di Philip K. Dick,  o di qualsiasi cosa solleciti i tuoi interessi. […] C’è un curatore dentro di te di cui non sei a conoscenza che seleziona quello che ti piace o non ti piace

A man lost in time
Near KaDeWe
Just walking the dead
Where are we now?
Where are we now?
The moment you know
You know, you know 

(David Bowie – Where are we now?)

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