I pixel a 8 bit, la console Nintendo, l’inconfondibile berretto rosso di Mario Bros, il dischetto ancora intonso di Zelda, le Reebok Pump, l’impacciata ma meravigliosa imitazione di Michael Jordan su un campetto da basket, sono gli anni Novanta in qualunque parte del mondo, anche nella periferia di Manila dove un gruppo di tredicenni è alla ricerca di un po’ di avventura. Prove e tribolazioni, come in ogni buon racconto di formazione, Paolo, Kachi, Gilligan e Mimaw trascorrono la loro ultima estate prima che tutto cambi. L’imminente crescita attrae e respinge in ugual modo tutti e quattro i protagonisti che durante il film affrontano le difficoltà e le sfide con l’ingannevole semplicità di Tom Sawyer e Huckleberry Finn.
Se la cameretta di Paolo all’inizio è il rifugio perfetto dove rintanarsi e lasciarsi dolcemente assorbire dal gioco, superando nuovi livelli, lo spazio esterno diventa irto di pericoli e nuove pulsioni, i primi amori, le riviste di playboy, i cimiteri ricchi di leggende dove lanciarsi in scorribande degne di Scooby-Doo.
Death of Nintendo, come evoca il titolo stesso, racconta la storia di un passaggio, di un finale d’atto mentre cattura squisitamente la vulnerabilità non solo della giovinezza, ma anche dell’identità maschile e femminile, l’importanza dell’esperienza condivisa, l’accettazione e il sostegno nel bene e nel male dell’amico. Gran parte del suo potere risiede nella nostalgia e Raya Martin lo sa bene, trattando con cura e precisione ogni aspetto, non solo disseminando indizi e citazioni nel suo lungometraggio ma nel ricomporre fedelmente l’atmosfera di un’epoca perduta.
Se l’estetica del film e l’interpretazione dei ragazzi è incredibilmente efficace, la sceneggiatura è invece troppo densa e a tratti disordinata. Valerie Martinez oltre a includere molti aspetti della sua vita personale, sembra non voler tralasciare niente, la circoncisione come risoluzione al grande mito della virilità, le differenze sociali che diventano uno stigma da cui è impossibile riabilitarsi, la mancanza di figure paterne e la conseguente frustrazione e amarezza delle madri rimaste sole, il bullismo e un certo tipo di estremismo religioso che sembra più un bisogno di compensazione che una vera fede. Sono tanti i fili da tirare e questa molteplicità di storie non lascia spazio alle sfumature diventando a volte mezzi pretestuosi per fornire alla trama una dinamicità che ha già.