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Dustur (Costituzione) di Marco Santarelli: la recensione

Dustur è parola araba per dire Costituzione.
Marco Santarelli comincia da qui a parlare di giustizia e libertà e chiude il suo mediometraggio con uno schermo nero. Qualche minuto, il tempo dei titoli di coda, e una sensazione pesante di claustrofobia. Ascoltiamo solo il vocìo confuso di lingue che si sovrappongono nel cortile della prigione Dozza di Bologna, un gran casermone grigio circondato da pallida erba verde, apparizione metafisica che a tratti rompe il fluire delle immagini del documentario. L’ultima ripresa video, un compulsivo avanti e indietro in pochi metri quadri di detenuti di uno dei luoghi più sovraffollati d’Italia, sorvegliati a vista nell’ora d’aria, lascia lo spettatore a riflettere, dopo tanto dibattere sul concetto di libertà.

Premio AVANTI! (Agenzia Valorizzazione Autori Nuovi Tutti Italiani) al 33.TORINO FILM FESTIVAL e premio GLI OCCHIALI DI GANDHI alla cinematografia non violenta assegnato dal Centro Studi “Sereno Regis” di Torino, DUSTUR (Costituzione) si svolge intorno al tavolo della biblioteca del carcere.
Qualche esterno per seguire Samad, ex detenuto, ora operaio, sul lavoro, nel minuscolo appartamento dove vive solo col suo criceto, sotto la loggia imponente della più antica Università d’Italia, dove ha deciso di laurearsi.
Un piccolo gruppo di detenuti di varia provenienza, tutti musulmani, guidati da fratello Ignazio De Francesco, monaco dossettiano, ex giornalista e studioso di diritto islamico, partecipa ad un seminario che mette a confronto le idee di ognuno sui principi base della Costituzione Italiana. Alla fine, questa inedita Assemblea Costituente scriverà su dei post-it il suo Dustur ideale, mettendo in fila le parole base di una Carta dei Diritti e dei Doveri.

Parole valide per ogni uomo, libero o detenuto, di qualsiasi fede ed etnia, saranno giustizia e libertà, diritto di espressione e diritto al lavoro, allo studio, al rispetto della propria dignità. Nulla mancherà nel gran cartellone pieno di post-it gialli appeso al muro, c’è anche il “diritto di aggiungere”, se mai qualcosa fosse
Sarà la riscoperta di principi già proclamati, ci si accorgerà che tutto era già stato detto, ma si capirà anche che tutto va sempre ricordato e confrontato alla luce delle grandi trasformazioni epocali come quella che stiamo vivendo.
In un mondo in cui parole come takfir, incitazione all’odio, sharia, taglio della mano, sonna, vivere come Maometto, pesano come monumenti eretti sull’ignoranza, le parole vanno ridiscusse, vivisezionate per capirle e scoprire che erano altro.
Che sharia sia sinonimo di shera, la strada, la via, nel dialetto tunisino, quella su cui gli uomini s’incontrano e la mano se la danno, magari dopo una discussione, non la tagliano, e che sonna non implica necessariamente dormire per terra, perché se al tempo di Maometto ci fossero stati i materassi il Profeta non avrebbe certo rifiutato di usarli, può essere utile oggetto di riflessione per capire perché la Costituzione Italiana non usi mai parole come moderazione e tolleranza, mentre quella tunisina, la più avanzata e liberale del mondo arabo, si faccia carico di vietare il takfir.
Vietato scomunicare gli altri, dire che sono degli infedeli. Il divieto esiste e la sua necessità può sembrare incomprensibile a culture che da secoli hanno posto al centro lo Stato di Diritto, ma è giusto, oltre che utile, prenderne atto, e senza paternalismi incontrare la cultura diversa instaurando un dialogo.
E’ la bella lezione di Dustur, per gli uni e per gli altri, affermare che il fondamento della libertà è l’istruzione, che parte dalla conoscenza dell’altro e prosegue lungo una strada senza fine.
Se il popolo vuole la libertà il destino deve rispondere – è un khalu, una legge.
Ma la primavera storica è meno facile di quella naturale. La primavera naturale arriva anche se noi non vogliamo, anche se non vogliamo sentire il profumo dei fiori, ma quella della storia, se noi non vogliamo, non viene”.

Yassine Lafram, portavoce delle comunità bolognesi e moderatore nel dibattito, e Samad, Abdessamad Bannaq, 26 anni, marocchino, ex corriere della droga, fuori da Dozza da due anni e iscritto a Giurisprudenza, sono i fili conduttori di un percorso che parte da dietro le sbarre e va a toccare i territori complessi e irti di ostacoli del pensiero e del vivere associato. C’è una necessità che spinge, un disagio palpabile, una sofferenza che aspira ad un orizzonte diverso. C’è in Samad una certezza granitica che emana dallo sguardo e convive con una specie malinconia. L’uomo è in attesa del foglio di “fine pena”, ma i tempi della giustizia in Italia sono quel che sono. Certo per lui è straniante rientrare nel “suo” carcere, ma non si tira indietro, sente la necessità del suo impegno e l’importanza della testimonianza: “Questa è libertà, lavorare, studiare, essere cosciente della situazione in cui sono, essere sobrio da qualsiasi forma di droga”. E’ andato anche nelle scuole a raccontare la sua storia, Samad è uno convinto che la via per la libertà passi attraverso l’istruzione e gli studenti lo ascoltano rapiti.

Santarelli intreccia la sua storia privata con la coralità del gruppo e il montaggio alternato confluisce nel suo arrivo fra gli altri, in permesso dal lavoro per un giorno. Diritto all’istruzione e libertà dal bisogno sono i suoi post-it, suo nonno lo diceva sempre, “non pensare con la pancia vuota”. L’ultima sequenza ci porta nel piccolo cimitero di Casaglia, vicino all’altare di Don Marchioni, ucciso dalle SS, e alla lapide sbiadita che ricorda i 195 morti per mano dei nazisti. Quasi a ridosso del muro di cinta c’è l’umile tomba di Dossetti. La Costituzione è nata qui e fratello Ignazio, Samad e il giurista Bernardino Cocchianella, uno degli ospiti del seminario, si fermano in raccoglimento.

A Dossetti che affermava “senza uno sguardo vasto e un rinnovamento eticoi principi costituzionali saranno lettera morta” fanno eco le parole di fratello Ignazio: “ La Costituzione è nata da sofferenze, da fatti reali, altrimenti la si trasforma in una specie di testo di filosofia politica. Articoli come quello sull’uguaglianza delle persone nascono dalle leggi razziali, e così il ripudio della guerra in un Paese che ha partecipato a guerre di conquista.
Quegli uomini i termini della Costituzione li hanno provati sulla loro pelle, e anche la Primavera araba, non è nata da pensatori chiusi in una stanza, è nata dal fatto che i ragazzi non avevano lavoro, dalle ingiustizie sociali”.

 

Dustur, il trailer

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