Rose, la protagonista di Une Jeunesse dorée, secondo lungometraggio di Eva Ionesco, conclude la tormentata educazione affettiva, approdando sui banchi di un’accademia teatrale, spazio che accoglierà il suo deambulare inquieto tra il potere esercitato dalla madre e gli spazi promiscui della discoteca parigina Le Palace, unico teatro possibile oltre il riformatorio.
Valeria Bruni Tedeschi, con Les Amandiers apre le porte di quella scuola a cui la Ionesco non si riferisce in modo esplicito, ma che fu terreno comune di formazione attoriale per le due registe.
Il metodo di Pierre Romans e di Patrice Chéreau, direttore del Théâtre des Amandiers a Nanterre dal 1982 fino al 1990, plasma il talento di dodici studenti selezionati su cui l’autrice franco-italiana costruisce una narrazione incendiaria, strettamente connessa alle ragioni del corpo e del movimento.
Questa energia creativa connaturata alla violenza della post-adolescenza, compie un positivo sabotaggio della ricostruzione autobiografica intesa come forma del racconto originata dall’esperienza soggettiva. Viene quindi favorita una pluralità di voci, che moltiplicano gli approcci disciplinari alla recitazione, per descrivere l’avvitamento incessante tra vita e spazio teatrale.
I registri sono quelli di tutto il cinema di Valeria Bruni Tedeschi, miracolosamente sospeso sulla cornice della commedia, destinata improvvisamente a spezzarsi per far entrare le forze disgregatrici del dolore e della follia.
Valeria attrice, capace di trasmutare la fragilità sonnambolica nell’improvvisa esplosione di un sentimento incontrollato e fuori margine, dissemina questa stessa permeabilità del ruolo tra i giovani allievi della scuola di teatro, donando a tutti un pezzo di se stessa.
L’autofinzione, come intermondo che nutre la propria biografia con l’invenzione, consente di animare Les Amandiers con una sorprendente leggerezza, anche quando questa descrive il cuore plumbeo degli anni ottanta. Il teatro diventa allora uno spazio apolide, attraversato da correnti opposte, dove il caos distruttivo di un decennio può essere riorganizzato nel pieno di senso assegnato al gesto. Ci si sbarazza di strategie mistificanti, investendo di intensità il passaggio dall’oscenità dell’evento alla sua trasfigurazione, senza che questa trovi un approdo definitivo, se non nella verità dell’istante.
Ecco perché il film è un furibondo susseguirsi di entrate ed uscite dallo spazio, dove la realtà unificante del palco è solo elemento di passaggio tra la vita e la verità dell’adesione attoriale.
Ogni spazio in Les Amandiers è luogo dove l’estremo scontro di corpi può dare origine ad una rivelazione. Disancorato dalla tirannia di quelle scritture che devono fingere solidità, il cinema di Valeria Bruni Tedeschi è un esercizio di libertà che riesce a portare in superficie l’urgenza di un movimento interiore.
Les Amandiers è l’esempio più estremo e vitale tra quelli scritti insieme ad Agnès De Sacy e Noémie Lvovsky, perché si cala nel riflesso del proprio vissuto, generando un caleidoscopio di prospettive che non addomesticano la spinta caotica del reale, se non nell’azione di resistenza ostinata alla morte che preme dal mondo esterno e penetra la definizione stessa di confine tra ruolo ed esistenza.
La promiscuità vitale e feroce, il rapporto condotto sui limiti dell’abuso tra maestro e allievi, l’abbandono pulsionale, libero e senza riserve al desiderio, la voracità dei corpi prima ancora che si verifichi il predominio della parola, il tentativo di una definizione femminile dello spazio nella ricchissima differenza di visioni che vengono affiancate, sono tutti elementi che scuotono Les Amandiers entro le polarità opposte di creazione e distruzione. Non concilia Valeria Bruni Tedeschi, ma lascia che le ferite sanguinino dentro la necessaria amoralità del gioco, in quel passaggio dall’euforia alla morte.
La simmetria inversa che viene tracciata dai personaggi interpretati da Nadia Tereszkiewicz e Sofiane Bennacer, contamina entrambi di luce e ombra. Rispetto al continuo fuggire di Étienne da se stesso, l’unico spazio dicibile diventa quello della rimessa in scena del vissuto dove Stella individua la verità del gesto teatrale e della parola. Questo avviene non solo attraverso l’immedesimazione, ma nella capacità di far coincidere l’esercizio imparato durante le trasferte alla scuola di Strasberg, con la forza creatrice dell’istante.
Les Amandiers è un film polifonico affrontato da Valeria Bruni Tedeschi con la consueta lucidità con cui ha osservato fino a questo momento l’irriducibilità dello spazio interiore alla mutevolezza del reale.
Questo scontro, tra ironia e dolore, supera la cornice famigliare e si allarga verso un’idea di teatro che sfonda tutte le pareti, per diventare altra dimensione.
Al di là dello specchio, un cinema che attraversa l’opacità del mondo.
[Visto in occasione di France Odeon 2022 – Foto fornite da press Kit Davis & Co. ]
Forever Young di Valeria Bruni Tedeschi (Les Amandiers, Francia-Italia 2022 – 126 min)
Interpreti: Baptiste Carrion-Weiss, Alexia Chardard, Louis Garrel, Léna Garrel, Liv Henneguier, Sarah Henochsberg, Micha Lescot, Farida Rahouadj, Vassili Schneider, Nadia Tereszkiewicz
Sceneggiatura: Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Lvovsky, Agnès de Sacy
Fotografia: Julien Poupard
Montaggio: Anne Weil
Musiche: François Waledisch
Distribuzione Italiana: Lucky Red, in sala dal 1 dicembre 2022