Simone Scafidi riconfigura e “smuove” la struttura del biopic tradizionale trasformandola in un processo induttivo. “Chiama a se” piccoli gesti, eventi particolari, testimonianze apparentemente collocate al margine, per avvicinarsi ad alcune delle immagini che Lucio Fulci ci ha lasciato, in un dialogo irrisolto, quindi ancora pulsante, tra Cinema e vita. Per far questo non chiude il cerchio, ma lo lascia aperto offrendo pari intensità ai “reperti” materiali di un’indagine che non esclude il contributo della falsa testimonianza. Utilizziamo volutamente il linguaggio di un’istruzione probatoria, perché è l’indagine preliminare stessa ad infrangersi nell’acuminato film di Scafidi.
Il suo “Fulci For Fake” sembra quasi scoraggiare un processo univoco di identificazione, senza per questo rinunciare alla vicinanza empatica a gesti e volti delle persone che hanno lavorato con il regista romano. Ecco che in questo cammino, c’è spazio anche per l’ipostasi del falso e per le diverse incarnazioni di un’umanità cangiante, quella che gli consente di abbandonare i rischi di una scrittura binaria. Come l’uomo di fiducia Melvilliano, Fulci e le idee che di Fulci ci siamo fatti, da appassionati, studiosi o addetti ai lavori, risiedono al di là del vero e del falso, anche nelle diverse necessità produttive e creative che attraversano, transtoricamente, la sua filmografia.
Di questo mutamento di condizioni si fa carico Scafidi, concentrando i rimandi al corpus ristretto dei film girati da Fulci tra Zombi 2 e Lo Squartatore di New York, come grandi attrattori di energie e possibilità della scrittura, che assorbono il prima e il dopo della sua vasta produzione.
Jacques Derrida, in quel breve, densissimo e misconosciuto saggio che si chiama “Breve Storia della Menzogna“, distingue l’errore da questa: “Si può essere nell’errore, ci si può ingannare, è possibile anche dire il falso senza cercare di ingannare e quindi senza mentire“. Quella della menzogna, per il filosofo francese, è un’esperienza che si inscrive sotto la categoria dello pseudologico, formulazione intenzionale a cui si può cominciare a credere per davvero. Ma pseudos, aggiunge Derrida, in greco può indicare molte cose oltre la menzogna stessa, dall’inganno fino all’invenzione poetica stessa. I malintesi su ciò che è o può essere un malinteso, allora si moltiplicano, come i tentativi di imporre la propria verità.
Midnight Factory pubblica in edizione limitata il Blu Ray e il DVD, entrambi doppio disco, di Fulci For Fake, corredando le due versioni con numerosi contenuti extra. Per l’occasione abbiamo intervistato il regista Simone Scafidi e il make up artist Michele Salgaro Vaccaro
Simone,il tuo lavoro sembra occupare quello spazio intermedio tra biografia e film di ricerca documentale. Puoi raccontarci le origini di questa scelta?
Simone Scafidi: Volevo un film che non partisse da A e arrivasse a Z, che dicesse ‘Lucio Fulci è nato a Roma, ha fatto questo e quest’altro’. Un film non è un saggio, non è una serie di informazioni. Ho cercato di raccontare Fulci come uomo e come la sua vita abbia determinato il regista che è diventato. Un film che emozionasse, prima di tutto. E che sapesse anche colpire, non risultare già visto o scontato nella sua forma. Fulci diceva che terrorizzava tutti i generi che affrontava. Quindi, un film su di lui, doveva imboccare strade non precedentemente battute da altri.
L’elemento biografico è affrontato attraverso le riflessioni di Nicola Nocella. Ci piacerebbe approfondire due aspetti, il primo legato alla scelta dello stesso Nocella: come è avvenuta e per quali motivi? Il secondo all’idea di una biografia impossibile, come quella su Fulci, che viene costantemente sabotata dalla leggenda e dalla vita stessa….
Simone Scafidi: Ho scelto Nicola prima di tutto perché è un attore che stimo moltissimo, uno dei migliori in Italia. Diversi anni fa avevo pensato a un film su Fulci di pura fiction, diviso in tre archi temporali che si incrociavano. E Nicola sarebbe stato perfetto per interpretare Fulci giovane. Quella vecchia suggestione mi ha portato a sceglierlo come protagonista di Fulci For Fake. Il personaggio interpretato da Nicola è il cuore del film, è ciò che dà senso e forma a tutti gli altri materiali presenti e più canonici (interviste, filmati, foto). Il suo personaggio sta studiando per interpretare Fulci in un biopic su di lui e quindi si pone domande, si sbilancia in conclusioni che condivide con lo spettatore. Passando alla biografia impossibile di Fulci, direi che il film giochi su due elementi: la fantasia delle sue ingegnose menzogne e la concreta e reale potenza del suo cinema.
C’è un momento molto intenso proprio all’inizio del film, quando Nicola dilania, letteralmente, il make up strappandolo dal volto. Oltre alla rivelazione esplicita della simulazione attoriale, che è una costante nel cinema di Fulci, c’era l’intenzione di avvicinarsi alla materialità furibonda del suo metodo, nella rappresentazione dei corpi?
Simone Scafidi: Sì, hai colto perfettamente il punto. Si tratta di un momento gore, insistito, ma cruciale per capire il fulcro del film: non è la mimesi somatica col personaggio che interpreti a condurti a lui, devi cercare altre vie. Mi piaceva poi l’idea di iniziare con questo volto dilaniato, un po’ come accade al viso eroso del pittore Sweick nel prologo de L’aldilà.
Strappare una seconda pelle: più che un disvelamento, un’urgenza di verità?
Simone Scafidi: Il personaggio aspira alla verità. Obiettivo impossibile, ma che comunque parte dalla necessità di discutere il metodo della ricerca. Non è necessario sapere tutto di un personaggio che si deve interpretare, ma piuttosto comprendere il punto di vista giusto con cui studiarlo.
Michele, puoi raccontarci il tuo lavoro materiale per il Make Up di Nicola Nocella? Come sei arrivato a quel risultato e che tipo di indicazioni hai avuto da Simone per ottenerlo?
Michele Salgaro Vaccaro: Il primo passaggio fondamentale che mi ha portato a creare il personaggio di Lucio Fulci su Nicola Nocella, è stato quando mi son sentito con Simone per conoscere meglio il progetto; in quell’occasione ci siamo confrontati sulle varie fasi della vita di Fulci che Nicola doveva interpretare. Da subito abbiamo visto che Nicola ha l’età e la corporatura giusta per assomigliare a Fulci dagli anni della sua giovinezza fino ad una età intermedia, ma nel periodo in cui Fulci realizza “Un gatto nel cervello“, Nicola non ha quei volumi che mi permettevano di fare un lavoro di somiglianza accurato.
Così dopo aver preso il calco a Nicola, ho cominciato a studiare molto attentamente i punti caratteristici di Fulci e quello che ne è venuto fuori sono un set di 6 protesi in silicone che, con il make-up, parrucche e posticci di barba e baffi, mi hanno aiutato a trasformare Nicola in un Fake Fulci con tre età diverse.
Un altro passaggio fondamentale è stato quando abbiamo deciso con Simone e Nicola di stravolgere l’inizio della sceneggiatura. Nicola all’inizio doveva, gradatamente con il make-up, trasformarsi in Fulci, ma alla fine del primo giorno di set provando in camerino, siamo arrivati alla conclusione che per rimaner coerenti con la logica del Fake, aveva più senso il contrario: partire come Fulci e togliersi in scena le protesi.
Per questa scena ho dovuto guidare Nicola nella sequenza di rimozione di posticci e protesi per aver un effetto scenico maggiore.
Michele, ti sei in qualche modo ispirato al Cinema di Fulci e al lavoro più specifico dei vari Franco di Girolamo o Giannetto De Rossi?
Michele Salgaro Vaccaro: Beh diciamo che entrambi hanno fatto un po’ la storia del make-up italiano e sono stati i pionieri degli effetti speciali in italia. Il make-up, ma sopratutto gli effetti speciali nei film di Fulci hanno rappresentato una svolta nel cinema italiano. Ma da quei film ad oggi gli effetti speciali hanno avuto un’evoluzione molto importante. Io nel mio piccolo ho solo cercato di creare nel miglior modo possibile delle protesi che richiamassero il ricordo di Lucio Fulci.
Il tuo lavoro e la tua formazione, si riferiscono in modo rigoroso a quel tipo di cinema “prostetico” che appartiene per lo più agli anni settanta e agli anni ottanta. Quanto di questa forma, fortemente fisica e tattile, resiste ancora nel cinema che ti è capitato di frequentare?
Michele Salgaro Vaccaro: Come ho già detto gli effetti speciali prostetici si sono evoluti in maniera molto importante.
Oggi si ricerca la perfezione nei dettagli sfiorando a volte la realtà.
Una volta si cercava di far degli effetti che dovevano impressionare il pubblico il più possibile avendo a disposizione per realizzarli poche conoscenze anatomiche, reference poco accurate e materiali che avevano delle limitazioni per cui l’effetto prostetico risultava a volte lontano dalla realtà, ma per il pubblico dell’epoca il risultato era sorprendentemente reale proprio perché non c’era una conoscenza generale elevata. Otre tutto i film venivano sottoposti a censure molto importanti con tagli molto grossi di scene cruente.
Oggi invece la censura è meno drastica ed il pubblico si è evoluto, è più attento ai particolari, è più critico nel valutare la somiglianza con la realtà e si impressiona meno.
Parallelamente gli effetti prostetici si sono evoluti con materiali molto più simili alla realtà, come il lattice che venne sostituito sempre più da materiali come il silicone che ha una resa visiva e tattile simile alla pelle umana.
Spesso si aggiungono anche gli effetti speciali digitali che danno una mano laddove gli effetti prostetici non arrivano. Questo è diventato un connubio molto importante per aver degli effetti speciali simili alla realtà, dove lo spettatore ha difficoltà a capire se si tratta di un artefatto o realtà. Nel cinema oggi, questa combinazione di maestranze fa la differenza nei film di enorme successo.
Quali sono i film di Fulci che più hai amato?
Michele Salgaro Vaccaro: Sono della generazione che è cresciuta con Rambo e Terminator; di Fulci ho visto dei film importanti in età non giovanissima come “Un gatto nel cervello” e “L’aldilà“, due film che ho cercato fortemente per conoscere un pezzo di storia del nostro cinema e gli effetti speciali di quegli anni, due film che ho apprezzato per la creatività e le intuizioni cinematografiche.
Simone, come si è svolta la ricerca e il reperimento dei materiali, prima di cominciare a girare?
Simone Scafidi: Avevo preparato una sceneggiatura precisa. Avendo discusso primariamente con tutti gli intervistati, avevo scalettato il racconto inserendo quello di cui avrebbero parlato. La parte complessa era naturalmente quella di reperire il tappeto visivo. Utilizzare scene tratte dai film di Fulci aveva costi proibitivi, e comunque mi stimolava di più l’idea di incuriosire il pubblico che non conosce il cinema di Fulci facendogli sentire elogiare questi film, ma senza mostrarglieli. Ma, soprattutto, volevo avere qualcosa che non si fosse mai visto prima, dato che per guardare le scene più famose di Fulci basta farsi un giro su youtube. Quindi, con la produttrice Giada Mazzoleni, abbiamo cercato foto mai viste prime, filmati inediti. Il 90% di questi materiali è arrivato grazie alla generosità degli intervistati, in particolare di Michele Romagnoli (N.d.r. Romagnoli era ed è il biografo personale di Lucio Fulci, ha scritto un volume seminale come L’occhio del testimone: il cinema di Lucio Fulci) e di Antonella Fulci, che ci ha messo a disposizione i filmati privati del padre, mai concessi prima a nessuno.
Il coinvolgimento delle figlie, prima ancora della partecipazione dei suoi collaboratori più stretti arricchisce la mitologia sul personaggio Fulci, aprendo nuove possibilità di lettura. Vi siete fatti “sorprendere” durante la lavorazione? Questi due incontri quanto hanno cambiato le prospettive del film stesso?
Simone Scafidi: Per quanto Camilla sia molto presente nel film e sia, in un certo senso, la vera Fulci For Fake – nel senso che sembrava una copia, purtroppo, del padre e delle sue condizioni precarie degli ultimi anni – a sorprendere è stata Antonella. La decisione di farla apparire alla fine del film era, come le dicevo, per renderla il Kurtz del nostro film: tutti sanno che Antonella prima o poi arriverà, ma ciò avviene solo alla fine. Antonella ha capito il senso del film e quindi, nei minuti in cui compare, dà un ritratto ultimo e illuminante del padre, dipingendolo con poche e perfette pennellate.
Antonella è la luce della famiglia Fulci, una donna che ha sofferto, che si è rialzata sempre, che ha assistito il padre negli ultimi anni di vita, quelli più duri per lui. Ha ereditato da lui la sensibilità, il gusto, la cultura. Camilla era una persona dotata di un’intelligenza impressionante, di una rapidità di pensiero inarrestabile, ma gravata da un innato senso di autodistruzione. Ha attraversato il cinema incidentalmente, con leggerezza ma anche con professionalità, per poi ritrovarsi sola, malata, a inseguire fantasmi e rivalse impossibili. Lei si aspettava molto da questo film, continuava a dirci che sarebbe stato selezionato a Venezia e che lei lì avrebbe fatto vedere al mondo del cinema, che si era scordato di lei, che era ancora viva e combattiva. Purtroppo Camilla è morta pochi mesi della premiere a Venezia, e la sola consolazione è che la sua immagine nel film – che ha commosso tanti spettatori – è l’omaggio più generoso e in fondo dovuto che le si poteva fare.
In una delle frasi più provocatorie di Orson Welles in “F for Fake”, il grande regista statunitense connette idealmente l’artista al ciarlatano Melvilliano, l’impostore che dice il vero, lo scambio tra falsario ed esperto, artista e critico, illusione e realtà, tutto vero e tutto falso. Nell’avvicinarsi alla figura di Lucio Fulci, quanto è stato necessario allontanarsi dalla ricca e spesso arbitraria letteratura critica prodotta intorno al suo cinema?
Simone Scafidi: Fulci è stretto tra due visioni antitetiche, entrambe estreme: quella dei fan, che trovano straordinari praticamente tutti i suoi film, e quella dei diffidenti, che lo considerano un bravo artigiano, un tecnico, nulla di più. Fulci For Fake, come dicevo, non è un saggio, non è uno studio, ma comunque cerca di dare una lettura dell’opera di Fulci. Io credo che il caso sia quello che abbia guidato la carriera di Fulci, dopo la scelta iniziale e di sopravvivenza di girare per guadagnare. Fulci ha sempre diretto quello che gli veniva offerto, probabilmente sognava di diventare un grande regista di commedia – il genere in cui si è formato fin dai tempi di Steno, Totò e Sordi – e poi si è ritrovato a girare thriller, film avventurosi, western. L’horror, arrivato appunto per fatalità con Zombi 2, è il genere in cui lui probabilmente ha realizzato i suoi film più personali, in cui il suo stile ha trovato compimento, elevando questi film dalla loro origine di cloni di modelli più ricchi. Io non credo che Fulci fosse un maestro dell’horror (basta pensare agli esiti tutt’altro che felici di tutti i suoi film fantastici da Aenigma a Le porte del silenzio), ma che abbia trovato in quei titoli il terreno in cui esprimere al meglio la sua visione.
I super 8 amatoriali forniti da Antonella Fulci aprono un ulteriore livello, spesso sottolineano la testimonianza specifica, altre volte la contraddicono in modo flagrante. Cosa ti ha colpito nella trasparenza, o in alcuni casi opacità, di queste immagini e che tipo di associazioni ti hanno suggerito?
Simone Scafidi: Questi filmati, alcuni in 16 mm, sono stati rivelatori. Penso in particolare a quelli su Camilla e l’equitazione, in cui la voce di Fulci, registrata a distanza di tempo da quelle riprese, commenta con amaro disincanto il significato che quelle immagini hanno assunto col passare degli anni, col sogno di una figlia fantina che si infrange a causa dell’incidente che le capitò. La passione per i cavalli diventa origine di un grande dolore. Questi filmati cadenzano anche la vita di Fulci, della sua famiglia: dalle immagini gioiose, ma sempre sottilmente ironiche, del matrimonio e dei primi passi delle figlie a quelle di set memorabili come Zombi 2 e altri pieni di false aspettative come quelli de Il miele del diavolo o di Demonia.
“Soltanto un gesto ci divide dal caos” è una frase che prendo in prestito da Artaud. Credo che sintetizzi bene una parte del cinema di Fulci. Cosa ne pensi, anche in relazione al tuo lavoro, che è ricco di gesti, spesso impossibili o anche solo accennati.
Simone Scafidi: L’azione che assume significato più delle parole è sicuramente uno degli obiettivi di chi girà film. Far parlare le immagini.
Fulci For Fake è, per ovvi motivi, un film di parole. Ma in cui ci sono gesti che assumono significati importanti.
Oltre alla già citata scena del trucco strappato dal volto, penso al momento in cui Nocella – mentre la sua voice over ipotizza che se Fulci fosse morto prima di girare i suoi thriller/horror nessuno se lo ricorderebbe, nonostante avesse già diretto una dozzina di film – lascia sul vetro della porta finestra un’impronta e questa rapidamente svanisce. L’ossessione di chi fa film è quella di restare, di rimanere impressi. A distanza dall’uscita di un’opera, a distanza dalla morte di un autore. Ecco, forse Fulci non ha avuto in vita quello che meritava, ma poco prima di morire ha visto iniziare a crescere l’interesse verso i suoi film. Che oggi, molto più di prima, sono amati e studiati. Sono sopravvissuti alla loro uscita, cosa che è accaduta a pochi dei film, e dei registi, che ai tempi di Fulci erano più stimati di lui.
L’interpretazione di Nocella in questo senso, non si compie. Nasce come interruzione, oppure si ferma sull’enunciazione della parola come semplice catalogo, quasi scientifico, di morti femminili immaginate (N.d.a. Nella “replica” di “Un Gatto Nel Cervello”, rimessa in scena da Scafidi). C’è sempre un distacco emotivo che invece cambia completamente quando il volto di Nocella si fa sorprendere dalle rivelazioni di Camilla o di Antonella. Puoi raccontarci questo contrasto dal tuo punto di vista?
Simone Scafidi: Il personaggio di Nocella è quello che intervista i personaggi presenti nel film, la sua voce li introduce, alcune volte fa domande fuori campo. Compare solo, in controcampo, con Antonella e Camilla. Controcampi fake, ovviamente, nello spirito del film, girati in un secondo momento e altrove. Il film cerca di trasformare tutti gli intervistati – che sono meno numerosi della media di quelli presenti nei documentari del genere – in personaggi, gli concede spazio e tempo, li fa dialogare con Nicola, in modo da creare familiarità, vicinanza col pubblico. Nicola si mostra come intervistatore solo con Camilla e Antonella perché pensa che loro nascondano il segreto del padre. E, in maniera diversa, saranno incontri pieni di rivelazioni. Fulci For Fake si conclude prima che Nocella inizi le riprese del film su Fulci. Rimane un film sognato, che sarà forse lo spettatore a immaginarsi.
Cinema, “arte del doppio”. La definizione è di Jean Rouch. A mio avviso è efficace per individuare la flagranza del gesto nel passaggio da mondo reale a mondo immaginato. La definizione di cinema documentario non mi è mai piaciuta, per vari motivi, e mi sembra che il tuo film accolga in pieno questi dubbi, cercando una dimensione più complessa, che è quella della ri-messa in scena del vissuto, quando è proprio la vita a sfuggire continuamente dalla “macchina documentaria”. Cosa ne pensi?
Simone Scafidi: Penso che hai ragione. Fulci For Fake non insegue l’ossessione della parola definitiva, del film ultimo e possibile su Fulci. Ma nemmeno si tira indietro, prende di petto il soggetto, affronta come mai fatto prima la vita di Fulci, il suo talento e i suoi errori. Fulci For Fake non emette sentenze su Fulci, ma spero che conduca lo spettatore a delle conclusioni proprie, seguendo le piste che crede essere più giuste.
D’altra parte il tuo potrebbe essere scambiato per un film “talking heads”, con la testimonianza frontale a fare da collante narrativo. Io credo sia altro da questo, per l’intensità che hai ricercato nei volti, ognuno in qualche modo immerso nel suo ambiente. Cosa ne pensi e soprattutto come ti sei avvicinato al dialogo con loro
Simone Scafidi: Come dicevo prima, ho cercato di renderli personaggi. Di avallare le loro doti, dalle capacità attoriali di Malco (straordinario quando racconta la vicenda della moglie mancata di Fulci) a quelle di ritrattista acuto di Vanzina, dalla sottile emozione che traspare da Michele Romagnoli che ricorda la sua avventura con Fulci all’amore e alla lucidità con cui Salvati descrive la grandezza e gli errori di Fulci. Il rapporto con tutti gli intervistati è stato intenso, mi sono avvicinato con cautela, spiegando loro le peculiarità di questo e il motivo per cui li avevo scelti. La messa in scena delle interviste trova il suo punto nodale in quello delle figlie: Camilla è filmata in tre giorni diversi, con la camera che via via si allontana da lei, svelando lentamente le cicatrici del suo corpo più il racconto della sua vita si avvicina al termine. Antonella è invece l’unica ripresa a mano, con un punto di vista più soggettivo di Nicola. Perché lì lui capisce che Antonella gli dirà ciò che nessuno prima gli ha rivelato.
Quanto di questo dialogo è tuo, quanto è legato anche all’intermediazione attiva di Nicola Nocella…
Simone Scafidi: Il dialogo è interamente mio e degli intervistati. Nicola ha saputo darmi una serie di spunti e reinterpretare le domande e la voice over attraverso la sua sensibilità. Ha fatto tanto, ma sempre facendolo passare come mie intuizioni. E questo è quello che accade con i grandi attori.
Tra verità, invenzione e affabulazione, dove hai ri-trovato il tuo Lucio Fulci, una volta ultimato il montaggio del film?
Simone Scafidi: Fulci l’ho conosciuto solo tramite i suoi film, quindi la mia immagine di lui è quella che traspare dai suoi lavori. Credo che il modo in cui Davide Pulici descriva le opere più potenti del regista sia la migliore espressione di quella che considero l’eccezionalità di Fulci. Penso a come Davide, con le parole, rende vivida la forza visiva de L’aldilà, di quel cielo che è possibile, a volte, incontrare anche nella vita di tutti i giorni. Ecco, in quel cielo, io trovo il mio Lucio Fulci.
Fulci For Fake, Contenuti EXTRA del Blu Ray e del DVD (2 dischi)
Disco 1 – Contenuti Speciali
Lucio Fulci’s Audio Tapes: un montato audio di 20 minuti dei migliori passaggi delle conversazioni tra Lucio Fulci e Michele Romagnoli, registrate tra il 1990 e il 1992 per la scrittura del libro
L’occhio del testimone: Michele Romagnoli racconta il suo rapporto con Lucio Fulci e la nascita del primo storico libro dedicato al regista.
Looking for Lucio: immagini inedite, commentate da Michele Romagnoli, filmate direttamente da Lucio Fulci durante i sopralluoghi e i set di Zanna Bianca, Zombi 2, Il miele del diavolo e durante alcuni momenti di vita privata e con registrazioni audio del regista inedite
Disco 2 Contenuti speciali
Backstage di Demonia
Camilla Fulci Uncut: la prima e unica intervista video a Camilla Fulci presentata nella sua versione integrale
Lucio Fulci and Friends: un montato con le parti tagliate delle interviste agli storici collaboratori Sergio Salvati, Fabio Frizzi e Paolo Malco, a Michele Soavi e a Enrico Vanzina
Intervista al regista Simone Scafidi