mercoledì, Novembre 6, 2024

Helene di Antti J. Jokinen: recensione

Helene Schjerfbeck, straordinaria e durissima pittrice finlandese che anticipa le suggestioni del modernismo, nel nuovo film di Antti J. Jokinen, presentato recentemente ai festival IFF Love & Anarchy e Shanghai International Film Festival

Il lavoro della finlandese Helene Schjerfbeck, una delle più importanti pittrici nordiche, è virtualmente sconosciuto in Europa, basta pensare che la prima mostra rilevante a lei dedicata al di fuori dei confini nazionali è stata allestita a Londra solamente un anno fa, presso la Royal Accademy, che per l’occasione ha esposto 70 sue opere. Artista isolata, cresciuta con una figura materna ostile e critica nei confronti del suo percorso creativo, si muove inizialmente nel solco del naturalismo francese, prima di anticipare suggestioni moderniste con uno stile scabroso, essenziale e a tratti disturbante. La contemplazione dell’abisso e della mortalità emerge dai suoi ritratti, nella ricerca ossessiva di un doppio interiore che minaccioso come un’ombra, ne caratterizza l’aura. I volti e i corpi sono quelli dei famigliari, degli amici, di tutte quelle persone comuni che ha incrociato durante una vita sofferta e sospesa tra amori non corrisposti, sanatori e lo spazio circoscritto del laboratorio. Scava, taglia la forma, toglie colore ed evidenzia, anche in piena luce, la presenza della morte come condizione inevitabile che a poco a poco eroderà i tratti della sua stessa pittura.

Antti J. Jokinen, richiestissimo regista di videoclip attivo sin dagli anni novanta, oltre ad aver diretto un paio di thriller, tra cui la co-produzione “The Resident” interpretata da Hilary Swank, ha affrontato la complessa relazione tra Finlandia e Germania Nazista con “Kätilö”, dramma storico tra i più visti in patria. “Helene” arriva a quattro anni di distanza da “Pahan kukat”, racconto di formazione legato alla cultura di strada e alla suburbia di Helsinki e in qualche modo prosegue il suo lavoro sulla storia finlandese, inaugurato con il film tratto dal romanzo di Katja Kettu. “Helene” è una trasposizione dall’omonimo romanzo della scrittrice finlandese Rakel Liehu e segue le vicende della pittrice a partire dal 1915, legate al lungo periodo di isolamento insieme alla madre, a cinquanta Km da Helsinki, nella città di Hyvinkää.

La fase è quella dei “violenti” e sofferti autoritratti e dei dipinti più essenziali, attraversati da un’incessante corrosione della forma. Insieme a lei come interlocutrice privilegiata, l’amica Helene Westermarck, interpretata da un’austera Krista Kosonen, che avevamo già ammirato in “Dogs don’t wear pants” di Jukka Pekka Valkeapää.

Il giovane Einar Reuter, secondo dei suoi amori non corrisposti, serve invece ad Antti Jokinen per affrontare una personale interpretazione di quel rovesciamento di ruoli che nella pittura della Schjerfbeck emerge dalla percezione del desiderio; oggetto lontano, spesso degenderizzato e sospeso in una dimensione impietosa che si dibatte tra ansia di vivere e crudeltà dell’esistere. Tra le prime battute di “Helene”, interpretata da una Laura Birn in stato di grazia, l’ostinazione a definirsi “artista e basta” invece che “pittrice” oppure “donna e artista”. L’eco di un’autonomia difficile è profonda, funziona da innesco ed anticipa le intenzioni di Jokinen nel concentrarsi sulla difficile conciliazione tra arte, desiderio e identità, assegnando le cicatrici del dissidio al corpo e al volto della Birn, in costante equilibrio tra controllo ed esplosione emotiva.

Per il regista finlandese la Schjerfbeck è corpo situato di quella ribellione al sistema binario e oppositivo che ha caratterizzato negativamente il femminile a partire dalla definizione spietata delle alterità. Schjerfbeck resiste all’isteria con una detonazione creativa che confina tutti gli incontri della sua vita in uno spazio dove la presenza ineludibile della morte, neutralizza le differenze.


Il confronto più potente, non è quello con Einar, la cui superficialità viene in fondo già oggettificata dalla posizione scopica allestita dalla Schjerfbeck . Pittore decisamente mediocre, ammira e ama le qualità irraggiungibili di Helene, ma allo stesso tempo viene collocato in una posizione altrimenti destinata al corpo femminile. Di quello spazio del desiderio Helene ha il controllo assoluto, contro tutte le convenzioni del tempo, tanto da consumare a poco a poco il corpo del giovane nello spazio possibile della tela.


Con rigore Jokinen cerca di soffermarsi sullo spazio alluso dal gesto e sul tratto in potenza, come sui continui metodi di cancellazione che grattano via la vernice, riassestano i colori, riducono la forma con l’intervento del coltello sull’impasto già seccato.


In quello spazio, lo specchio e il riflesso sono i fenomeni di formazione dell’immagine che interessano a Jokinen, non solo in termini mimetici. Il confronto con la madre, quello con la fidanzata ventenne di Einar, il riflesso del proprio volto nello specchio montato sulla tela, risuonano nel volto della Birn come una dolorosa messa in abisso di più parti di se, non importa se negate, strappate o violentemente rifiutate.

Pirkko Saisio, che intepreta la madre Olga, è un contraltare spesso feroce e incorpora nei tratti del volto e nel lavoro quasi materico delle maschere elaborate da Kaire Hendrikson, la durezza di un’arte che nasce anche dal suo stesso rifiuto. Semplici controcampi, ma che immersi nella luce olivastra di Rauno Ronkainen, sembrano lo scavo reciproco su un ritratto nel suo farsi, mentre i due volti lottano, si dibattono, si negano a vicenda fino a trovare, oltre l’intimidazione e la minaccia, la consistenza di un ultimo, estremo gesto d’amore e di prossimità, nel confronto che li mette finalmente sullo stesso piano.


“Helene” è uno studio d’ambiente molto diretto, a tratti calligrafico, ma che riesce a mettere al centro la formazione di un’identità, attraverso la persistenza dei primi piani e la definizione degli ambienti come prolungamento dello spazio pittorico, luogo attraversato dalla luce o da inesorabile dissoluzione.

“Helene” (Finlandia, Estonia – 2020)
Interpreti: Laura Birn, Johannes Holopainen, Pirkko Saisio, Krista Kosonen, Eero Aho, Jarkko Lahti, Saana Koivisto

Regia: Antti J. Jokinen
Sceneggiatura: Antti Jokinen, Marko Leino
Fotografia: Rauno Ronkainen
Musica: Kirka Sainio



Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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