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Hit big (Hertki Lyo) di Jukka Pekka Valkeapää: recensione

Hit Big è il quarto film del talentuoso Jukka Pekka Valkeapää. A tre anni di distanza da Dogs Don't Wear Pants, il regista finlandese torna con un violentissimo heist movie che è anche commedia, dramma famigliare, crudele e disillusa riflessione politica

L’innesco narrativo per Hit Big, Jukka Pekka Valkeapää l’ha ricevuto da Pekka Strang.

Il protagonista di Dogs Don’t Wear Pants gli invia alcune foto dalla Costa Del Sol, dove si trova per lavoro. Quella di una donna sulla sessantina, avvolta in un caldo cappotto come se fosse inverno e con lo sguardo puntato sul fondo di una pinta di birra, spinge il regista finlandese ad immaginarsi un personaggio che riflette retrospettivamente sulla luce e le ombre della propria vita.

I dettagli di questa visione folgorante, sono descritti da JP nell’intervista rilasciata ad Annika Pham di Nordisk Film & TV found, come origine per la figura di Marjaleena, ex starlette locale, una volta candidata per Miss Finlandia, adesso alcolizzata, sovrappeso e alle prese con il mantenimento del Bella Bar, gestito insieme al compagno Mikko e al figlio Vili nel sud della Spagna.

Tra i conti da pagare e i debiti con la malavita albanese, il trio precipita verso una quotidiana e felice autodistruzione radicata nel contrasto tra appartenenza linguistico-culturale e sradicamento. Questo viene lenito dal flusso ininterrotto di alcolici, principale preoccupazione di questa famiglia disfunzionale.

In qualche modo, il volto sdentato di Pekka Strang, al centro degli ultimi minuti di Dogs Don’t Wear Pants, introduce meglio di qualsiasi altra cosa il tono di Hit Big, vicinissimo alla disperazione come alla felicità che questa può dischiudere e capace di rilevare la verità dell’esclusione sociale senza orientare lo sguardo in una direzione giudicante.

Se c’è una caratteristica comune nel cinema dell’autore finlandese, questa emerge attraverso film molto diversi tra di loro, come definizione del contrasto tra ambiente sociale e ricerca identitaria.
Il luogo di questa frizione è il corpo, confine di un’esperienza sul bordo che ridefinisce i parametri stessi del sistema. Il concetto di dropout allora, non circoscrive semplicemente uno o più personaggi rispetto ad una vita normata, ma indica i possibili sconfinamenti tra livelli di realtà incomunicanti, dove il canone condiviso nasconde e rifiuta tutto ciò che è stato espulso.

Aliena è la condizione di Marjaleena rispetto ai sogni infranti del passato, ma è anche la collocazione geografica che ricostituisce una patria in miniatura a Fuengirola. Sulla più grande comunità finlandese fuori dai confini deputati, dopo quella stanziata in Svezia, JP non offre alcun appiglio definito in termini sociopolitici, perché preferisce immergere i personaggi in una realtà soggettiva totalizzante, dove il contesto possa premere dai margini come causa collaterale di quella stessa alienazione.

La distorsione aumentata della percezione alcolica, fa emergere come incubo in piena luce i paesaggi assolati, le spiagge viste di sfuggita, i colori saturi di una Spagna turistica, mentre i tre etilisti, laidi, molesti e spregevoli, si muovono in una quotidianità che parla quasi esclusivamente finlandese, disintegrati anche da quella.

Con la distruzione sistematica di ogni stereotipo visuale che possa restituire l’ottimismo dell’orizzonte mediterraneo, viene descritto questo microcosmo europeo disumanizzato, che dietro la patina del rifugio privilegiato, nasconde dolore, degrado, abuso e la pervasività del codice mafioso.

Se la scelta di JP è quella pulp e crime, che lui stesso indirizza al volto più cinico e laido della narrativa noir statunitense, da Willeford a Westlake, la mutazione della commedia nei territori di una surrealtà violenta viene estremizzata anche rispetto al film precedente, individuando nei corpi e nella deambulazione di Marjaleena, Mikko e Vili, il confine stesso tra la tragedia e l’elemento slapstick.

Mentre il dispositivo narrativo cambia registro più volte, dall’heist movie al dramma famigliare, l’autismo motorio dei personaggi, così vicino per i vorticosi inneschi causali al Cassavetes di Big Trouble, genera anche dolore e morte, soffocando la risata in gola e frenandone le possibilità liberatorie, per la persistenza del dolore come condizione dell’esistenza.

La tortura, che in Dogs Don’t Wear Pants, apriva inusitati spiragli di luce nel buio di una coscienza annichilita dalla morte, segna qui un confine diverso, legato alla lotta per la sopravvivenza di una comunità di reietti e di diversi che non può neanche integrarsi nella parodia della propria terra.

La stessa direzione della fotografia curata dall’estone Meelis Veeremets, tende a scolpire la marcescenza di alcuni ambienti in forma tattile, esacerbando l’abbandono degli spazi abitativi. Tra la roulotte dove vive il trio, la Finlandia spiaggiata che sembra comparire da una vacanza senza fine e il lusso asettico e irrazionale che caratterizza l’impero mafioso di Worm, l’ex marito di Marjaleena, si delinea l’immagine di un’Europa senza speranza, venduta alla criminalità organizzata e pronta ad accogliere la gentrificazione di massa.

La violenza estrema è uno dei rimossi che preme dalle quinte del teatro turistico. Qui, l’unico barlume di umanità lo troviamo nel sottomondo popolato da derelitti, costretti a muoversi tra sogno e crimine. In questo spazio senza uscita, la tragica disperazione che spinge Marjaleena a comprarsi gli alcolici per mitigare l’emicrania e a compiere azioni estreme, è segno di attaccamento alla vita, fuga fino all’ultimo respiro dalla virtualità del reale.

Hit Big di Jukka Pekka Valkeapää (Hertki Lyo, Finlandia, Estonia – 2022 – 122 min)
Sceneggiatura: Jukka-Pekka Valkeapää
Fotografia: Meelis Veeremets
Montaggio: Mervi Junkkonen
Musica: Stefan Pasborg
Produttori: Daniel Kuitunen, Evelin Penttilä, Damgaard Hanse

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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