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Hoard di Luna Carmoon: recensione

Il primo lungometraggio di Luna Carmoon, rivela un coraggioso spessore filosofico. Ancorato alla ribollente fisicità della materia, ne incorpora oggetti e fenomeni per assolvere un processo di trasformazione interiore. Splendido saggio di cinema sciamanico, selvaggio e libero come il miglior cinema inglese, fa coincidere l'elaborazione del lutto con un percorso di autodeterminazione femminile. Il film sarà programmato al Festival Di Cinema e Donne il prossimo 26 Novembre, presso il Cinema La Compagnia di Firenze. La recensione

La suburbia delle ragazze è l’ambiente dove Luna Carmoon si è guardata intorno fino a questo momento. Due cortometraggi e un film di debutto, che esplorano i modi del realismo sociale inglese, lasciandolo sullo sfondo, per concentrarsi sull’emersione di un mondo radicalmente soggettivizzato.
L’attenzione ai personaggi, ai loro gesti estremi e alla complessa morfologia del desiderio, erompe sullo schermo con grande impatto fisico, spezzando improvvisamente la logica narrativa, per penetrare i pori della realtà e le fratture del tempo.

L’educazione sentimentale che muove le protagoniste di “Noseblood” e “Shagbands” passa attraverso la crudeltà, l’abuso e lo sguardo incompromissorio dell’adolescenza, sfiorando l’espansione possibile del racconto nella dimensione immaginale.

Hoard” porta alle estreme conseguenze questo processo e si prende il rischio di rompere definitivamente gli argini, creando una serie di ingressi e di uscite palindrome dalla memoria, alla realtà.

La formazione di Maria passa attraverso la perdita e l’elaborazione del lutto. Il rapporto speciale con la madre, accumulatrice seriale che ricrea il mondo all’interno di una casa magica e invivibile, consente alla bambina di aprire continuamente un racconto che sboccia dal cumulo degli oggetti, segni strappati al reale che generano un altro lessico, radicato nella temporalità aperta del gioco.
Questo percorre il doppio binario della vita e della morte, vettore puntato verso la meraviglia, oppure crinale spalancato sull’abisso.

La genesi e l’apocalisse si abbracciano in un ciclo infinito che incorpora l’una nell’altra, innescando eventi sincronici e fenomeni di coesistenza.
In questo grembo ricco di epifenomeni, Luna Carmoon squarcia l’immagine con il suono, quasi per trovare un ancoraggio brutale nella concretezza del reale, quando la visione può superarne i limiti empirici.

Se la morte della madre consente il salto narrativo dall’infanzia all’adolescenza presso le amorevoli cure di una figura adottiva, Maria mantiene una connessione fortissima con il suo mondo interiore tanto da modificare la percezione spaziotemporale dell’esperienza quotidiana.

Ed è su questo contrasto tra immagine del reale e i paradossi del tempo psichico che la regista inglese sviluppa un vibrante saggio di cinema sciamanico, sottoposto a cambiamento costante a contatto con gli oggetti, le rifrazioni luminose, gli improvvisi riassestamenti dello sguardo, le fugaci apparizioni mnestiche nello spazio delimitato dall’esperienza razionale.

Un linguaggio che non ha paura di lavorare sul salto, la ridefinizione ex abrupto dello sguardo, le radicali ellissi del discorso, ma che prima di ogni altra cosa, compenetra la furente fisicità dei corpi con il continuo plasmarsi dell’invisibile, attraverso la consistenza dura, viscosa e oscena della materia.

Maria, interpretata da Saura Lightfoot Leon con una prova di intensa e ribelle forza terrestre, sputa, scalcia, lotta, respinge e attrae il corpo del fratello adottivo Michael, in un gioco di grande energia erotica, ma che coesiste con i segni e le intuizioni sopraggiunte da un’altra temporalità.

Ogni evento, anche quello più organico e radicato nella necessità biologica, si apre alla presenza della madre, nutrimento e guida, possessione e rivelazione.
La forza di “Hoard” risiede nel continuo passaggio da un mondo all’altro, e nella capacità di trasformare i microeventi del quotidiano nella rideterminazione di tutti i principi di realtà.

Qualsiasi oggetto può allora perdere la sua relazione metrica e acquisire il potere di eccedere il riferimento ad una determinata marca temporale. Appartiene al qui e ad un altro universo, dove le pieghe degli eventi possono richiamarsi vicendevolmente.

Carmoon, nonostante citi in modo esplicito “Il tamburo di latta” nella versione cinematografica di Volker Schlöndorff, per sottolineare lo sviluppo delle pulsioni sessuali attraverso un procedimento quasi alchemico di scambio secretivo, guarda in modo creativo e originale alla lezione del cinema libero inglese, quello di Reisz, Lester, Roeg e al lavoro di addensamento del tempo che questi cineasti hanno elaborato, senza recuperare alcun segno di nostalgia, ma riflettendo rigorosamente sulla nozione di non linearità del racconto e dell’esistenza.

“Hoard” rivela un coraggioso spessore filosofico, senza farsi imbrigliare dai limiti della dissertazione teorica, per mantenere una tensione selvaggia rarissima nel cinema contemporaneo.

Maria è un personaggio difficile da dimenticare, ribollente e ancorata alla concretezza quotidiana, disegna con il corpo, l’assaggio e il contatto, il proprio spazio reale, ma riesce comunque a superarlo, incorporando gli oggetti e la materia per assolvere un processo di trasformazione.
Che mangi le ceneri della madre oppure avverta risonanze di un mondo dentro l’altro, attiva sempre una mutazione del visibile nell’ineffabile, del quotidiano nel meraviglioso-mostruoso.

L’elaborazione del dolore allora, non significherà sbarazzarsi definitivamente del tesoro e dell’accumulo di oggetti che connettono il mondo della madre al suo, ma mostrerà una conciliazione delle due temporalità attraverso le potenzialità dell’intuizione e della libertà incondizionata nell’amore, quello indefinibile e inafferrabile dalla codificazione possessiva dello sguardo maschile.

Nella descrizione di questo coinvolgente percorso di autodeterminazione, Luna Carmoon dimostra un talento notevole, nello spirito più che nella forma vicino al primo cinema interiore di Jane Campion.

Hoard di Luna Carmoon (Gb 2023, 126 min)
Interpreti: Joseph Quinn, Hayley Squires, Nabil Elouahabi, Cathy Tyson, Saura Lightfoot Leon, Sam John, Sandra L. Hale, Alexis Tuttle, Tim Bowie, Lily-Beau Leach
Sceneggiatura: Luna Carmoon
Fotografia: Nanu Segal

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
hoard-di-luna-carmoon-recensioneIl primo lungometraggio di Luna Carmoon, rivela un coraggioso spessore filosofico. Ancorato alla ribollente fisicità della materia, ne incorpora oggetti e fenomeni per assolvere un processo di trasformazione interiore. Splendido saggio di cinema sciamanico, selvaggio e libero come il miglior cinema inglese, fa coincidere l'elaborazione del lutto con un percorso di autodeterminazione femminile. Il film sarà programmato al Festival Di Cinema e Donne il prossimo 26 Novembre, presso il Cinema La Compagnia di Firenze. La recensione
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