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Il Carretto Fantasma di Victor Sjöström: recensione #ilcinemaritrovato2021

Il Carretto Fantasma, il capolavoro di Victor Sjöström tra gotico e melò, ri-visto di recente a Bologna pe l'edizione 2021 de "Il Cinema Ritrovato". La recensione

Il pianoforte di Matti Bye e il violoncello di Leo Svensson accompagnano con le loro cupe note l’apparizione di un carretto guidato da un uomo incappucciato che brandisce una falce. Non è la Morte, ma un suo emissario, qualcuno deceduto in flagranza di peccato capitale allo scoccare della mezzanotte di Capodanno, condannato secondo una leggenda svedese a raccogliere le anime dei defunti per conto della Triste Mietitrice, fino a quando non cederà l’ingrato compito a un altro defunto di San Silvestro.

Fra tanti tesori dimenticati ritrovati e proiettati al Festival del Cinema Ritrovato si possono anche incontrare film più noti e film capitali. Non c’è dubbio che Il carretto fantasma sia tra questi. Saccheggiato da Kubrick, ancora pietra di paragone per qualunque storia di redenzione, è il film che più di ogni altro ha ispirato Ingmar Bergman. Ed è anche uno dei grandi horror del cinema muto. Uno dei generi cui ascrivere il film di Victor Sjöström è proprio questo, l’horror: il carretto eponimo che grazie alla magia della doppia esposizione attraversa in trasparenza le lapidi di un cimitero per ghermire l’anima di un morto non può che rimandare all’immaginario gotico.

A questa dimensione si interseca quella melodrammatica, molto ottocentesca e quasi dickensiana, in cui un uomo, al momento della morte, prende coscienza di tutto il male che ha fatto, come un antesignano e speculare George Bailey, il protagonista de La vita è meravigliosa di Frank Capra, che in punto di morte prende coscienza di tutto il bene che ha fatto.

Da questo insolito incontro tra gotico e melò scaturisce la forza de Il carretto fantasma. Perché Sjöström nel coniugare due generi così diversi va a rimuovere proprio il loro grande punto di contatto, l’irrealismo. Da una parte il sovrannaturale, dall’altro l’esasperazione della narrazione e delle emozioni. Sjöström accoglie questi elementi, ma li mette in scena con grande misuratezza. Nessun virtuosismo tecnico, la macchina da presa è quasi sempre immobile, a inquadrare scenografie realistiche anche in ambienti dove sarebbe stato facile cedere al gusto espressionistico, basta pensare al cimitero dove il protagonista muore, ricostruito per sembrare un vero e proprio luogo dei morti.

La stessa fotografia rifiuta tagli di luce non naturali. L’apice di questa sobrietà la si ritrova negli attori, vero indice delle intenzioni del regista. Si fatica a crederli interpreti del muto, vista la loro recitazione posata, scevra della gestualità esasperata degli interpreti dell’epoca; anche il trucco è minimale, non c’è traccia dei mascheroni bianchi e gli occhi neri cui siamo abituati in quel periodo.

Questa è la grande modernità de Il carretto fantasma, per la quale non si fatica a capire l’amore per esso nutrito da Bergman, un altro autore che tanto ha saputo trarre dall’incontro tra irrealtà e realismo. La trama può sembrare invecchiata, anzi, vecchia probabilmente già lo era nel ’21, per quel pietismo un po’ trito che lo attraversa. L’intero film potrebbe persino essere ridotto a quel paio di versi danteschi su Bonconte da Montefeltro, il cui pentimento al momento della morte gli garantisce la salvezza, per la disperazione del demonio che stava per agguantarne l’anima: «Tu te ne porti di costui l’etterno/per una lagrimetta che ’l mi toglie». Il distico, tra l’altro, ha goduto di una certa fortuna cinematografica, basti pensare che con esso si apre il film d’esordio di Pasolini, Accattone.

Se ha senso vedere Il carretto fantasma ancora oggi, al di là del gusto cinefilo, se ancora è un grande film, non è dunque per il messaggio buonista, ma per la sua carica perturbante. Il carretto e i suoi fantasmi hanno una concretezza umana che travalica l’elemento fantastico e l’estremizzazione melodrammatica. Questo ossimoro, ricercato e portato in scena con grande abilità da Sjöström, è ciò che oggi come nel 1921 colpisce e stranisce lo spettatore, permettendogli anche di accogliere e apprezzare gli aspetti più moralistici del film, che è una parabola morale, sì, ma per il genio registico di Sjöström ancora viva, 100 anni dopo.

Il Carretto Fantasma di Victor Sjöström (Svezia 1921, 100 min)
Interpreti: Victor Sjöström, Hilda Borgström, Tore Svennberg, Astrid Holm, Concordia Selander, Lisa Lundholm, Tor Weijden, Einar Axelsson
Fotografia: Julius Jaenzon

RASSEGNA PANORAMICA
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Marcello Bonini nasce a Bologna nel 1989. Insegnante, fa il montatore per vivere. Critico Cinematografico, ha scritto per diverse riviste di cinema e pubblicato una raccolta di racconti. Fa teatro e gira cortometraggi.
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