Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea, scritto dal critico d’arte e saggista Giorgio Bonomi, ha l’ambizione più o meno dichiarata di inserirsi nel dibattito culturale su due questioni centrali, da tempo protagoniste delle ricognizioni sull’arte: il corpo e l’identità. Il tema dell’identità, soprattutto in ambito anglosassone, ha goduto di grande fortuna critica, portando spesso a riletture della categoria del ritratto e dell’autoritratto.
Il corpo è stato invece protagonista indiscusso dell’arte dalla Body Art in poi, sia inteso come corpo dello spettatore, con il suo portato di partecipazione attiva alla costruzione dell’opera, sia come soggetto dell’immagine, offerto allo sguardo di un fruitore nella dimensione del travestimento o del basso materialismo. In questo panorama variegato, Bonomi concentra la propria attenzione su una specifica forma di immagine: l’autoritratto fotografico realizzato con l’autoscatto.
Il tentativo di questa monografia, che assomiglia a una sorta di catalogo o archivio digitale di fotografie, è di accostare, in base alle tematiche, artisti più noti e codificati ad altri più giovani e sconosciuti. Il volume conta infatti più o meno 700 artisti che lavorano con la tecnica dell’autoscatto fotografico, dagli anni settanta ad oggi, rappresentati attraverso circa 2000 fotografie. L’autoscatto viene interpretato non tanto in quanto tecnica, ma piuttosto come metodo a cui sono attribuibili specifici significati. Bononi procede a una divisione di questo vasto archivio di immagini in categorie. La prima è la ricerca dell’identità, ossia una sorta di messa in scena dell’io dell’artista, tra cui spiccano le introspezioni di Schirin Neshat e Francesca Woodman.
La seconda è il travestimento, dove la messa in scena è portata allo scoperto e l’artista non attribuisce significati al proprio io, ma si traveste identificandosi con un altro da sé, spesso attraverso una chiave ironica. Si pensi a Andy Warhol e Cindy Shearman. A queste si aggiungono le categorie della narrazione e del corpo nudo, a cui si contrappone il corpo assente, categoria con la quale Bonomi identifica un gruppo di artisti che lavorano celando il proprio corpo. Ma il corpo può essere anche strumento di pura sperimentazione nelle mani di artisti come Franco Vaccari, oppure di denuncia e scandalo come in Nan Goldin, Gilbert & George e in Mario Pischedda, che Bonomi inserisce in questa categoria pubblicando alcune foto dal vastissimo repertorio del poliedrico artista Sardo, ovvero “Il fotografo photoshoppato”, “dal comunismo all’autismo ” (che è anche un articolo dell’autore pubblicato sul suo blog) e “Burning artist, 2010”
Il corpo ‘solitario’ si impone dunque come luogo di convergenza di una riflessione più ampia sullo statuto stesso dell’immagine contemporanea, attraverso un doppio sguardo che oscilla costantemente tra caduta e salvezza.