“Il Cristo proibito” del 1951 è l’unico film realizzato da Curzio Malaparte. Fu prodotto per la Excelsa Film di Roma. Lo scrittore toscano cura tutto, a partire dal soggetto fino ai dialoghi, la sceneggiatura, la musica ed infine la regia. Vincitore del Gran Premio d’Onore Fuori Classe al Festival Internazionale del Cinema di Berlino dello stesso anno, il film fu accolto in modo controverso in Italia.
Bruno è un reduce della campagna di Russia interpretato da Raf Vallone. Tornerà a piedi nel suo paese natale, Montepulciano, ma a mitigare la gioia per il ritorno, sarà la morte del fratello, fucilato dai tedeschi in seguito ad un tradimento di un compaesano. Bruno vuole vendicarlo e cerca il traditore indagando tra gli abitanti del paese. Questi, stanchi di anni di abusi e violenze, non diranno niente. Mastro Antonio (Alain Cuny), falegname del paese, per evitare che sia sacrificato un innocente e che Bruno possa macchiarsi di un tale delitto, gli fa credere che il responsabile della morte del fratello sia lui. La vendetta di Bruno, per mezzo di una lima puntata al cuore, sarà istantanea. Prima di morire, Mastro Antonio gli dirà di non esser colpevole. Il sacrificio non sarà invano.
Dopo la sua uscita, il film fu massacrato sulle pagine di Filmcritica da Edoardo Bruno, che scriveva «Ci sembra che il film dia con chiarezza estrema, una conferma della confusione, della grettezza morale e dell’insulsaggine del Malaparte».
Di diverso parere Gianni Rondolino, che molti anni dopo sul Volume II della Storia del Cinema pubblicata nel 1977 da Utet scrive: «il film sviluppa il tema della solidarietà e dell’altruismo nei toni e nei timbri della tragedia antica, pur calando fatti e personaggi nell’ambiente contadino d’un’Italia sconvolta dalla guerra, con le ferite non ancora rimarginate. E se l’opera rimase sostanzialmente isolata nel panorama del cinema italiano di quegli anni, e in gran parte può essere considerata formalmente irrisolta, essa indico una possibile strada per superare i limiti del neorealismo, che proprio allora denunciava chiaramente la sua prossima fine; richiamandosi per certi aspetti al cinema di Giuseppe De Santis. anch’egli preoccupato di portare avanti, oltre il primo neorealismo, un discorso più articolato e criticamente elaborato sulla realtà sociale contemporanea»
Il film di Malaparte rimase sostanzialmente isolato nel contesto del cinema italiano coevo. Cerca comunque, ispirandosi per certi versi al cinema “contaminato” di De Sanctis di superare i confini del primo neorealismo, con un discorso più completo sulla realtà sociale. Si lega quindi a filo doppio con gli scritti di Malaparte prodotti tra il 1940 e il 1952, ovvero tutte quelle opere che in qualche modo si riferiscono al secondo conflitto mondiale, tra cui figura “La pelle” del 1948, che sarà adattato molti anni dopo da Liliana Cavani. In questo senso il film si interroga sulle conseguenze morali e filosofiche causate dalla guerra. Lo stesso Malaparte sul suo film scriverà: «Col mio primo film Il Cristo proibito presento al pubblico italiano e internazionale un’opera che fa appello all’intelligenza e alla sensibilità degli uomini moderni di fronte ad alcuni problemi tipici del nostro tempo, che nel mio film sono impostati e trattati con durezza, senza alcun riguardo per i falsi sentimentalismi né per il gusto convenzionale. Ritengo che valga la pena, anche nel cinema, affrontare i problemi fondamentali della nostra età, piuttosto che divertire (e al tempo stesso ingannare) il pubblico con argomenti banali, e di troppo facile presa. Ho voluto infatti mostrare come un popolo intelligente, e di antica civiltà, quale il popolo italiano, possa affrontare e risolvere da sé, da sé solo, i problemi tipici del nostro tempo, ad esempio il problema dell’innocenza e della responsabilità individuale e collettiva, senza l’aiuto di nessuna autorità costituita, senza l’aiuto cioè né della Chiesa, né dello Stato, né dei partiti politici.»
Ripley’s Home Video pubblica una bella versione DVD del film di Malaparte, con un booklet di approfondimento critico.