È su un doppio binario che si muove la lettura del nuovo film di Matteo Garrone. Un combattuto tragitto esegetico nella dimensione fantastica e atemporale de Il Racconto dei Racconti che ci porta a due varchi decisivi. Perché in esso si può percepire sia una rigenerante assurzione del genere fantasy grazie al filtro autoriale che il deludente asservimento di un autore al fascino seducente del blockbuster dall’incasso sicuro. Ma ciò che in definitiva ci sembra è proprio un equilibrato compromesso tra i due modi di fare e concepire il cinema. Un cinema che intrattiene, diverte, sorprende e che riesce anche a lasciare qualcosa, travalicando il confine dell’hic et nunc della visione.
Epurato dai consueti e desueti toni action da produzione hollywoodiana, il film che attinge dalla trattazione fiabesca di Giambattista Basile restituisce alla fiaba i suoi endogeni caratteri lirici, edulcorati grazie ad un approccio purista al genere che, almeno a tratti, accosta inaspettatamente Garrone al Pasolini “mitologico”.
I virtuosismi linguistici e l’espressività barocca di Basile cedono il posto ad immagini dal forte impatto visivo, come a dire che oggi l’ostentazione immaginifica e visionaria sopravvive solo grazie al mezzo digitale che la rende fattibile e fattiva. Ma allo stesso tempo, questa depurazione del genere corre il rischio di scadere in dilatazioni temporali pletoriche, in fissità di immagini e azioni che, seppure da una parte preparano il carico tensivo per il gesto repentino e spietatamente risolutivo, dall’altra tradiscono i ritmi concitati e burleschi de Lo Cunto de li Cunti a cui si ispirano. Una resa in immagini che, d’altro canto, sarebbe forse impossibile e che va invece rintracciata proprio nei racconti originari come La vecchia scortecata o Lo polece.
Nel film di Garrone persistono tuttavia gli stessi macro-temi rintracciabili, striscianti, anche nelle fiabe stravaganti di Basile. Sensualità e violenza si alternano, confondono e corrispondono nelle tre storie che finiscono coll’intrecciarsi, proseguendo in una narrazione continua, parallela, perché sviluppate tutte nella stessa dimensione fantastica che allo stesso tempo si arricchisce del sapore nostrano, ambientata nei luoghi riconoscibili che ci circondano, tra i ruderi e il patrimonio scenografico di un passato che persiste, indelebile ed eterno, come il mito, come i sentimenti che prima come ora muovono le azioni umane. Da questo punto di vista, il film fiabesco non delude per la funzione catartica e pedagogica. Ciò che accomuna i tre racconti è infatti soprattutto la stessa messa a nudo dei più sordidi legami famigliari: la madre coercitiva che preclude il figlio all’amore fraterno e disinteressato; il padre egoista ed ipocrita che condanna la figlia ad un’orribile sorte tra le braccia di un orco che funge da metaforica controparte di un genitore debole ma altrettanto mostruoso; il legame eterno tra due vecchie sorelle reiette spezzato dal fascino effimero della giovinezza e della ricchezza.
Dopo il crudo realismo di Gomorra e il grottesco e surreale Reality, Il Racconto dei Racconti ci sembra proprio quel tassello mancante ad un percorso creativo versatile: un puro abbandono al trascinante fiume dell’immaginazione, questa volta. Ma in cui comunque, come sempre, sembra leggibile un chiaro rimando a quei temi universali, radicati nell’abisso istintuale dell’uomo: un racconto dei racconti che affiora dai tempi dei tempi.