L’immersione nella comunità Chassidica di Williamsborg che Maria Schrader ha in un certo senso sperimentato nel lavoro di ricerca legato alla realizzazione di Unorthodox, la miniserie diretta per Netflix, ha più di un elemento in comune con il film presentato in concorso a Berlino 71. Il programma comportamentista a cui Alma, archeologa del berlinese Pergamon, decide di sottoporsi, la mette in relazione con un androide progettato per implementare sentimenti e affettività umane, durante un percorso di apprendimento avanzato del sistema di intelligenza artificiale che lo anima.
Se più del novanta per cento delle donne tedesche desiderano uomini con caratteristiche simili a quelle con cui è stato programmato Tom, basate sui codici della seduzione romantica più trita, Alma accetta di fare da cavia solo per compiacere il suo superiore, coinvolto finanziariamente nel progetto. Donna indipendente, senza alcun legame affettivo in corso, viene individuata come candidata perfetta per l’esperimento sociale.
La Schrader immerge Alma, sin dalle prime sequenze, in uno spazio rappresentativo modellato sul simulacro del musical romantico, cercando di replicarne i principi tanto da spingere l’elemento del contrasto tra tecnologia e vita sociale nel territorio della commedia situazionale.
Tutti gli scarti verbali e motori tra la donna e il robot, individuano due figure reciprocamente aliene, il cui sguardo diventa il principale rivelatore di una diffusa ortodossia relazionale, che spinge in un angolo tutti coloro che non riescono a conformarsi.
Un tema squisitamente “berlinese” e moderatamente “femminista”, per il modo in cui cerca di affrontare tutte quelle logiche binarie che mettono in contrapposizione organico ed inorganico, femminile e maschile, attraverso un identità cyber certamente modellata su stereotipi sessualizzati, ma allo stesso tempo destinata a mandare in cortocircuito l’esperienza stessa del piacere, non più indirizzabile né prevedibile.
A differenza di tutta la tradizione sci-fi che sviluppa la messa in scena di un dissidio, di un trauma, di uno strappo a partire dalla distanza di sicurezza dello sguardo antropologico, la Schrader è maggiormente interessata alle frizioni e alle aporie della vita comunitaria.
Non è solo la scelta di ricorrere ad un attore inglese come Dan Stevens, con il suo incerto accento tedesco, quasi ad incarnare le possibilità apolidi della città, ma il modo in cui nella ricerca dello spazio visivo, la regista tedesca riesce ad individuare quei contrasti architettonici che fanno confluire passato e futuro entro un luogo di convergenza.
Mentre i volumi modernisti che si sviluppano intorno al Pergamon restituiscono l’immagine di una città funzionale che taglia fuori altre possibilità dello sguardo, tutto il mondo artificiale viene ricreato a partire da modelli estetici, illuminotecnici, rappresentativi e narrativi legati all’urgenza relazionale della commedia screwball.
Ologrammi e tecnologia servono come rifugio del desiderio nel passato, mentre il presente è caratterizzato da un’ottica geometrica totalmente razionale, che ha cancellato ogni altro segno.
Ecco che la commedia, con le sue caratteristiche combinatorie, diventa regno del possibile, dove le simmetrie possono essere disattese e ciò che appartiene ad una realtà aliena, interrompere le norme asfittiche che regolano le relazioni.
Eppure la sensazione che si tratti di un’occasione mancata è davvero molto forte. Oltre la godibilità di superficie del meccanismo e la capacità di affidare ai gesti e al corpo di una notevole Maren Eggert tutte le incertezze e le nevrosi tra ragione e sentimento, il film sembra annichilito da quella stessa aura simulacrale che confonde l’esperienza in movimento della città con la replica di un passato mai stato, probabilmente neanche al cinema. Chiusi in questo acquario dai colori ipersaturi, fotografati da un veterano come Benedict Neuenfels, si ha la sensazione che neanche l’esperienza della sala possa salvarci da simmetrie e stereotipi che sembrano provenire direttamente dal mondo narrativo seriale più normativo.
I’m Your Man (Ich bin dein Mensch di Maria Schrader Germania 2021 – 104 min)
Interpreti: Maren Eggert, Dan Stevens, Sandra Hüller, Hans Löw, Wolfgang Hübsch, Annika Meier, Falilou Seck, Jürgen Tarrach, Henriette Richter-Röhl
Sceneggiatura: Jan Schomburg, Maria Schrader
Direttore della fotografia: Benedict Neuenfels
Montaggio: Hansjörg Weißbrich