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Incroci sentimentali di Claire Denis: recensione

Nel nuovo, splendido film di Claire Denis l'esperienza frantuma l'idea stessa di relazione e la pretesa predittiva di "amore e dedizione" a tutto ciò che è fuori dalle nostre memorie e dalle stratificazioni identitarie che conserviamo. Orso d'Argento al 72/mo Festival di Berlino per la miglior regia

I personaggi del cinema di Claire Denis vivono costantemente la sconnessione tra evento e tempo, trovandosi irrimediabilmente fuori dalla Storia, a qualsiasi ordine di grandezza questa appartenga.
Con Incroci Sentimentali, nella descrizione di un triangolo apparente, la dimensione immanente dell’amore si frantuma, proprio dal momento in cui viene circoscritta e definita dai confini architettonici di un appartamento che isola una coppia nella reciproca costruzione di un’emergenza relazionale. L’illusione di donarsi, senza che i resti della coscienza e le tracce del tempo rimangano fuori dalla singolarità di Sara e di Jean, nega l’individuazione di un limite destinato ad aprirsi come spaccatura visibile.

Gli spazi del lavoro, la radio per Sara e un luogo deterritorializzato tra passato e futuro per Jean, vengono descritti come zone impermeabili, isolate dal mondo reciprocamente condiviso, se non per questa alterità maschile improvvisamente riemersa dal passato e che lega la coppia alla fine e all’inizio di una storia d’amore.

La creazione di un nuovo sentimento nasce quindi dalla distruzione del precedente, mentre tutto si fonda sull’idea di complicità, indissolubile da quella di duplicità. Libertà o schiavitù, complementarità o differenza, immanenza o trascendenza; su queste antinomie Denis sembra raccontare la presenza del cuore solo quando finalmente si spezza fino a sanguinare, perché è proprio quell’incrinatura che minaccia la ricerca impossibile di un’armonia, a rivelarne l’ontologia.

Il perimetro abitativo diventa allora un luogo di isolamento forzato, così vicino agli spazi dove l’obbligo dell’emergenza sanitaria ha rinchiuso coppie e famiglie insieme alla carica d’amore e violenza che hanno saputo e potuto esprimere.

Anche il film di Denis si contrae e cerca una via d’uscita fuori dalla freddezza degli interni, investiti di senso da quella ricerca della perfezione destinata ad avere breve durata.

Ed è Sara a compiere tutte le infrazioni possibili rispetto al canone della completezza interiore, riflessa nella presenza dell’appartamento come ventre che dovrebbe contenere l’incontro di due identità.

L’immanenza totalizzante della casa si incrina quando la coppia cerca di ricongiungersi con un’altra unità originaria perduta. François è uscito dalla vita di entrambi, amico fraterno per Jean, compagno per Sara. Se rientra improvvisamente nella vita del primo, riattiva necessariamente quella temporalità interrotta anche per la seconda.

Denis si serve della trasparenza architettonica della nuova agenzia di François, dove Jean ha appena cominciato a lavorare, per mostrarci la tridimensionalità di uno sguardo che declina il desiderio da angolature diverse. Ciò che viene osservato dalle ampie vetrate, come una chimera distante, rappresenta l’emergere dell’alterità e l’inabissamento della reciprocità; un gioco di specchi che definisce la formazione identitaria come un doloroso scontro di differenze.

Tutti e tre, nelle possibili combinazioni che Denis mostra anche solo per allusione, sono esclusi dalle reciproche vite immaginate; da questa elisione si scatena il desiderio di esserci, di abitare l’evento, di suscitare epifanie, di vivere nella linea indicata dalle spinte desideranti, di essere anche semplicemente nominati per illudersi di esistere.

E ancora una volta il cinema di Denis, con una forza rarissima, vive nella sospensione dei sentimenti o della loro negazione.

Sospeso è Jean per l’angolatura soggettiva che la regista francese sceglie quando si incontrano in macchina, fissa sullo sguardo del personaggio interpretato da Vincent Lindon, mentre François sembra ancora un fantasma della memoria. Ed è sospesa la sua identità lavorativa e personale, tra un lavoro che non prende forma e un figlio con cui deve ristabilire una connessione affettiva.

Sospesa è Sara, non solo per il percorso tra due mondi, ma per il modo in cui cerca di ritardare il gesto o l’amplesso, racchiudendolo nella potenzialità stessa, e in un ritrarsi tanto impossibile quanto vitale, nel tentativo di trattenere tutto nella forma ancora vergine del pensiero.

Sospeso è François, ombra del passato presente nella parola, corpo che sfugge e che rimane intrappolato nei resti della coppia oppure nei messaggi di un cellulare ormai inutilizzabile.

L’amore che si dà come parola attraverso la promessa, si infrange con un’essenza effimera. Nel doloroso scontro tra Sara e Jean, che disintegra la stessa idea di spazio condiviso, si verifica proprio il cortocircuito tra parola ed essenza, limite stesso del significato. L’esperienza sembra frantumare l’idea stessa di relazione e la pretesa predittiva di amore e dedizione a tutto ciò che è fuori dalle nostre memorie e dalle stratificazioni identitarie che conserviamo.

Tutt’altro che pessimista, nella sua crudele necessità, l’immagine di Juliette Binoche che si allontana per strada rappresenta un’altra sospensione, quella che si immerge nella potenzialità dell’accadimento. Nella conseguenza degli eventi, contro l’aberrazione del ripercorrersi, c’è il vitale ritrarsi di un’immanenza che schiaccia e annichilisce.

[Foto e immagini dell’articolo fornite da ufficio stampa Manzo & Piccirillo]

Incroci sentimentali di Claire Denis (Avec Amour et Acharnement, Francia 2021 – 116 min)
Interpreti: Juliette Binoche, Vincent Lindon, Grégoire Colin, Bulle Ogier, Issa Perica, Mati Diop
Sceneggiatura: Claire Denis e Christine Angot
Fotografia: Eric Gautier
Montaggio: Emmanuelle Pencalet

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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