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Inexorable. L’intervista con Fabrice Du Welz

Fabrice Du Welz, autore di culto sin dall'esordio con il memorabile "Calvaire". Viscerale, estremo, profondamente carnale si è confrontato con le pulsioni distruttive del desiderio. Non fa eccezione il suo ultimo "Inexorable", neo-noir nichilista in uscita nelle sale francesi il prossimo 6 aprile. Per l'occasione abbiamo raggiunto il regista belga durante il tour promozionale del suo film, per una lunga conversazione curata da Michele Faggi, che proponiamo ai lettori di indie-eye

Inexorable“, il nuovo film del regista belga Fabrice Du Welz, di cui abbiamo parlato approfonditamente su Indie-eye Cinema (Inexorable, la recensione), dopo il passaggio nel palinsesto di alcuni festival internazionali, esce in Belgio e approderà nelle sale cinematografiche francesi a partire dal prossimo 6 aprile. Non ci siamo fatti sfuggire l’occasione e lo abbiamo raggiunto via Zoom durante una pausa del tour promozionale, in collegamento da un hotel di Bruxelles.

Autore di culto che sin dal suo esordio con “Calvaire”, è riuscito a combinare più di altri, aspetti autoriali e incursioni nella storia del genere, all’interno di quella del cinema belga, declinando una personale rilettura del cinema di poesia, come estremizzazione dell’esperienza soggettiva.

Viscerale, estremo e profondamente carnale, si è confrontato con le pulsioni distruttive del desiderio, scrivendo con il sangue vere e proprie elegie dell’amore (Calvaire, Alleluia, Adoration), sulla forza distruttiva e generatrice della natura (Vinyan), sulla mutazione identitaria (lo stesso Calvaire, Colt 45…) ed infine sulle energie incontrollabili che attraversano la stabilità del nucleo famigliare. “Inexorable” in particolare si basa su quest’ultimo aspetto, rileggendo le dinamiche che hanno attraversato il neo-noir erotico degli anni novanta (Curtis Hanson, Adrian Lyne, Peter Medak), ma per condurre il consueto nei territori dell’inesplorato.

Gloria (Alba Gaïa Bellugi), angelo della distruzione, si introduce nel menage famigliare di Marcel (Benoît Poelvoorde), scrittore di grande fama in una fase di stallo creativo, per rivelare inesorabilmente le fondamenta indicibili sulle quali quel mondo sociale si regge.

Ne abbiamo parlato insieme a Fabrice Du Welz.

Dopo il trailer del film, l’intervista

Fabrice Du Welz: Il cinema come macchina della distruzione. L’intervista – Marzo 2022

Fabrice, mi piacerebbe partire dalla fine, in particolare dalla dedica a John Stahl e Gene Tierney che compare durante i titoli di coda. Quanto è stato importante il personaggio interpretato dalla Tierney in “Leave Her To Heaven” (N.d.a. “Femmina Folle” nell’edizione italiana) per sviluppare quello di Gloria in “Inexorable”?

Assolutamente, Gene Tierney in “Leave Her to Heaven” ha rappresentato uno shock profondo nella mia vita di cinefilo. Ero un adolescente quando ho visto per la prima volta il film. Quando Scorsese realizzò il suo “A Personal Journey with Martin Scorsese Through American Movies” ero ancora uno studente e mi guardai tutti i film citati nel documentario. Avevo tra i sedici e i diciassette anni e vidi “Leave Her to Heaven” insieme a mia nonna, lo ricordo bene. Rimasi molto colpito dall’interpretazione di Gene Tierney, dalla bellezza del film e dalla sua incredibile oscurità. Da quel momento in poi qualcosa è cambiato. Ero già un cinefilo accanito, ma quel film ha rappresentato uno dei momenti più alti di tutta la mia intera vita come appassionato di cinema. Verso quel film ho mantenuto una forte attrazione per tutti questi anni, e quando ho cominciato a scrivere “Inexorable” avevo Gene Tierney in mente, l’idea di un angelo nero, quel volto bellissimo e l’ossessività di un proposito “noir”. Per me è un vero capolavoro

È molto interessante come le caratteristiche di Gloria vengano gradualmente formate, quasi si trattasse del processo di scrittura di un romanzo. Ti interessava sottolineare questo aspetto?

In che senso lo dici?

In relazione alla sua collocazione, tra immaginazione e realtà, come se prendesse forma da una dimensione non completamente scritta….

Non è esattamente quella la direzione, il mio film in un certo senso è basato sull’amore per il thriller erotico degli anni novanta, ma anche per il giallo italiano tra i sessanta e settanta. C’è anche qualcosa del cinema giapponese. Penso a quelle Ghost Story che riescono a mostrare le incarnazioni di tutte le menzogne legate al personaggio. Gloria incarna questi aspetti, l’incarnazione dell’innocenza perduta che torna e che allo stesso tempo può rivelare e incorporare tutti questi aspetti

Mi sembra che Gloria, in un modo simile ad altri personaggi dei tuoi film, sottenda una trasformazione radicale, ma in questo caso più marcatamente legata al trasferimento dalla psiche al corpo, dall’immaginazione alla carne, è così?

Non sono così sicuro di questo, ho un approccio molto più concreto quando realizzo un film. C’è una forte componente artigianale. Ovviamente tutto è concepito, pensato, ma questa preparazione passa da aspetti molto concreti, perché lavoro con le textures e le luci. Questo può far emergere improvvisamente qualcosa, qualcosa che io stesso non mi sarei mai aspettato. Dipende quindi da chi guarda, dal pubblico e dalla sua sensibilità. Cerco di elaborare la storia da un punto di vista molto semplice, nel tentativo di creare tensione, sono ossessionato da questo aspetto. E per questo film in particolare volevo costruire una tensione molto forte. Quella tensione che il cinema sviluppa attraverso le aspettative, i cambi repentini della narrazione. Certamente si tratta di una dimensione conosciuta e battuta, talvolta si sentono giudizi come “ah, ok, è ben fatto, ma è un po’ prevedibile”. Ma il problema non sono le aspettative per quanto mi riguarda, ma il modo con cui si affrontano e si superano. Non credo quindi che sia prevedibile il modo in cui il film si mostri come una vera e propria macchina della distruzione, un aspetto che era presente anche nei miei lavori precedenti, ma in questo caso con conseguenze ancora più estreme.

Inexorable di Fabrice Du Welz – Gloria e Marcel. Alba Gaïa Bellugi e Benoît Poelvoorde (foto sul set di Inexorable di Kris Dewitte)

Gloria è un nome che ricorre spesso nei tuoi film. In particolare, in “Inexorable” e “Calvaire” il nome completo è lo stesso: Gloria Bartel. Mi sembra una connessione interessante, cosa avevi in mente?

Non lo so ancora e forse un giorno lo saprò (ridiamo). Mi piace molto giocare con questi nomi, Bartel, Bellmer, è come costruire la loro personale geografia. Tu magari te ne accorgi per la tua attenzione acuminata, ma molti non ci fanno assolutamente caso, è come costruire il mio personale piccolo mondo, il mio piccolo mondo contorto (ridiamo) ed è molto piacevole farlo

Come hai scelto Alba Gaïa Bellugi per la parte di Gloria e soprattutto, come è stata l’esperienza di lavoro con lei?

L’ho vista in “3 x Manon”, una miniserie che ha interpretato qualche anno fa, dove è davvero incredibile. Sono rimasto davvero molto impressionato dal modo in cui riesce ad essere così introspettiva, tanto da farti percepire una vita interiore molto vivida, piena di rabbia, con qualcosa di speciale nello sguardo e questa bellezza che ricorda una figura del rinascimento. Davvero molto selvaggia con questi occhi grandi e il suo aspetto molto mediterraneo. Abbiamo fatto un gran lavoro insieme, tanto che interpreterà un’altra parte nel mio prossimo film. Incontrarla è stata davvero una benedizione. È una persona molto accomodante, puoi lavorare con lei in modo molto semplice, perché lei è il personaggio, quando è sul set è davvero il personaggio.

Sembra che “Inexorable” tra i tuoi film , forse insieme a “Vinyan”, sia quello che maggiormente parli della disintegrazione della famiglia tradizionale…

Assolutamente…

…anche perché sia Gloria che il personaggio interpretato da Emanuelle Béart in “Vinyan”, hanno una connessione molto forte con gli elementi e i fenomeni della natura. Quanto è importante per te il rituale, o l’esplorazione di una forza ritualistica capace di esplodere all’interno del sistema sociale?

Wow, è una domanda molto interessante. Vedi, è l’impossibilità di stare insieme e allo stesso tempo l’impossibilità di stare da soli; l’incontro di questi aspetti, per un cineasta, un poeta, un pittore, è un aspetto molto forte e potente con cui confrontarsi. Quando ho fatto Vinyan, 12 anni fa, ero più giovane, ma avevo comunque esperienza della vita, dell’amore. Si tratta della stessa esperienza cosciente: l’amore è una questione di fortuna, se lo incontri, sei fortunato, e prima di questa fortuna devi affrontare l’impossibilità di stare solo, ma anche l’impossibilità di condividere la tua vita con qualcuno. Una dimensione molto complessa e affascinante per me.

Un aspetto interessante che emerge in “Inexorable”, come in molti dei tuoi film, è il modo in cui conduci le performance degli attori verso conseguenze estreme, oltre i limiti. Quanto è importante l’istinto degli attori con cui lavori, preferisci il controllo assoluto o che le cose accadano tra di loro?

Entrambe le cose. Scelgo gli attori e quando lo faccio so di avere qualcosa in comune, qualcosa attraverso il quale posso connettermi con loro, per spingerli oltre se stessi. Amo molto il cinema di Andrzej Żuławski e la sua rappresentazione dell’isteria. So che potrebbe sembrare non troppo di moda oggi, ma la rappresentazione dell’isteria dal momento in cui brucia sullo schermo, è davvero molto potente per me. Cerco allora le ragioni per collocare i personaggi in una situazione simile, dove possano bruciare, sia in termini fisici che psicologici. Questo è uno dei motivi per cui amo molto la scena del compleanno che coinvolge la piccola Lucie (n.d.a. interpretata dalla giovane attrice Janaina Halloy). Ecco, quella sequenza è davvero l’espressione di questo concetto.

Inexorable di Fabrice Du Welz – Lucie e Marcel . Janaina Halloy e Benoît Poelvoorde (foto sul set di Inexorable di Kris Dewitte)

… la sequenza della danza di Lucie sul brano death metal degli Hoog è davvero una sequenza molto interessante, come l’hai prepararata?

Nella sceneggiatura è descritta la sua danza durante la festa di compleanno. Ha chiesto quindi della musica, e noi le abbiamo fornito il brano death metal di cui parlavi. Rispetto a quella musica è rimasta molto sorpresa tanto da dirci: “che cosa dovrei farci con questa?!”. “Non preoccuparti – le ho detto – coinvolgerò un mio amico, Damien Jalet, che è un famoso coreografo”. Damien e Lucie hanno quindi lavorato insieme, lei è rimasta molto sorpresa e si è divertita molto. Ha imparato molto velocemente, assimilando ogni movimento . Tutto converge in questa canzone davvero bestiale, e contrasta con la musica sacra di Vivaldi che ho utilizzato per il film (N.d.a. nel film c’è un utilizzo intensivo di “Nisi Dominus Cum Dederit”). Un’opposizione tra due elementi che porta grande energia al film.

Come hai scelto Benoît Poelvoorde per la parte, non è la prima volta che lavori con lui…

Si, ho lavorato con lui in “Adoration”, è presente alla fine del film, in una sequenza molto commovente. Conosco Benoît fin dall’adolescenza, ho un grande rispetto per lui, ero molto attratto dalla sua personalità. Credo che abbia qualcosa di geniale e speciale. Ha accettato di lavorare con me, e sono stato felice di lavorare con lui, soprattutto su quel particolare personaggio

Sempre a proposito di equilibrio tra controllo e improvvisazione, c’è qualcosa di magico che è accaduto sul set di “Inexorable” che ti piacerebbe condividere con noi?

Non so se è accaduto qualcosa di magico, così dal niente, su questo set specifico. Ma è lo stesso: prepari tutto in modo preciso, lavori con il tuo team, per offrire agli attori un ambiente completo e totale. In questo senso sono molto consapevole sull’illuminazione e la messa in scena, nel senso che pongo molta attenzione agli elementi che la costituiscono. Quando gli attori arrivano, non hanno una percezione cinematica della luce, questa è integrata nel set, perché mi piace metterli nella condizione di esperire una realtà concreta. Quando parlo con loro sul set, prima delle riprese, cerco di condurli oltre rispetto a quello che potrebbero fare, perché c’è sempre spazio per scavare. Questo è il mio metodo, offrire delle coordinate, con la consapevolezza che scavando, qualcosa di inaspettato possa emergere. Quando hai a che fare con bravi attori, emerge sempre.

A proposito di energie. Gloria è davvero energia pura, che tipo di energia rappresenta per te?

Per me è l’energia della distruzione. Molto negativa. Ma è commovente. Perché è possibile comprendere il fallimento, l’abisso che si nasconde dietro. Ed è molto commovente, perché c’è una vera e propria impossibilità di scendere a patti e confrontarsi con Marcel, con la sua famiglia. Perché è una fan, è folle, non c’è una risposta concreta e univoca in questo senso. Forse è una proiezione, forse è la follia stessa. Ma allo stesso tempo mi piaceva l’idea del romanticismo nero, la proiezione di qualcuno che è capace di donare tutto a quella stessa illusione, a quel miraggio. Si tratta di un sentimento molto romantico, e intendo romantico proprio in riferimento alla poesia di Novalis, come ricerca dell’assoluto. Mi piace, non nella vita reale, ma nel cinema (ride)

In questo senso credi che le caratteristiche distruttive di Gloria siano anche creative? Te lo chiedo perché la sua energia in qualche modo si abbatte e si riverbera sui personaggi del film come una tempesta…

Hai ragione, è così. In qualche modo ha un potere rivelatore. Rappresenta quella capacità di rivelare attraverso l’innocenza, ma da un’altra prospettiva ha un obiettivo e un proposito fortemente distruttivo.

In questo senso sembra che nei tuoi film e anche in questo, nessuno si salvi. Ad eccezione di un’idea ancestrale di natura, ma anche una certa idea di femminile

Si, probabilmente hai ragione. Sono una persona molto ottimista, sono colmo di gioia di vivere, amo la vita in tutte le sue manifestazioni, amo il cibo, le donne, l’amicizia. Nei miei film mostro una versione praticamente opposta. E penso che “Inexorable” sia probabilmente il film più nichilista tra quelli che ho realizzato. Hai ragione quando dici che la natura e l’essenza del femminile conducono verso l’annullamento. Ti offrono tutto, ma chiedono altrettanto in cambio…

…è molto interessante, ma vorrei dirti che per quanto mi riguarda, i tuoi film, non sono mai negativi. Al contrario credo che esprimano un’energia positiva, anche se in una dimensione che provoca necessariamente una reazione forte, scioccante. Per esempio, “Vinyan” alla fine costringe a confrontarsi con una rivelazione estrema, legata al lato femminile della natura. Qualcosa che non è negativo né positivo, ma che contiene tutti i passaggi di una vera trasformazione…

Mi fa molto piacere quello che dici, hai in qualche modo individuato quello che cerco di fare. Per me non c’è né il bene né il male, è solo la natura e il silenzio. Anche alla fine di “Calvaire” c’è il silenzio. Torna nella scena conclusiva di Vinyan. O nella sequenza che chiude “Alleluia”. C’è il silenzio anche in “Inexorable”. L’idea sacra espressa dalla musica di Vivaldi, come idea stessa della natura rappresentata da questa giovane donna. Non ho mai pensato in modo conscio a questo aspetto, ma credo tu abbia ragione. Credo anche che la conclusione di “Inexorable” sia la fine del primo capitolo della mia carriera come cineasta. Con le stesse idee sento la necessità di andare oltre e realizzare qualcosa di più ambizioso, in relazione al soggetto e al contesto, per portare spero, il mio lavoro verso un livello ulteriore.

Molti dei tuoi film interrogano il concetto di identità. In che modo “Inexorable”, per te, sollecita questa idea?

Credo sia la stessa cosa che accade anche in “Calvaire” e in altri film che ho fatto. Non conosci mai veramente le persone. E credo sia lo stesso nella vita reale, talvolta non sai neanche chi sia tua moglie o tuo marito dopo molti anni, forse è più facile sapere chi sia il tuo cane. Non conosciamo le persone, c’è sempre qualcosa di inatteso nelle persone, persino nei tuoi figli.

Hai girato il film ancora una volta in16mm. Cosa ti piace del formato?

Esteticamente lo amo per i colori fondamentali, la loro stabilità, c’è quindi una dimensione estetica e anche feticistica. La pellicola è parte del processo cinematografico, in termini chimici e alchemici, è uno dei motivi per cui resisto strenuamente al digitale, perché c’è qualcosa che è molto meno segreto in esso. Non dico di aver ragione, è la mia prospettiva. Con la pellicola c’è sempre qualcosa di inaspettato, nell’immagine, nel fotogramma stesso, una differenza che amo molto.

…c’è anche una dimensione tattile e organica immagino…

Si è così

Ho ancora un paio di domande, la prima riguarda l’abbraccio finale in “Inexorable”. Portatore di inevitabile morte, ma anche di rinascita…

Si hai ragione, entrambe le cose. L’impossibilità di vivere senza e insieme, come dicevo all’inizio, c’è quindi la combinazione tra questi due corpi nell’ultimo respiro di Gloria e non sappiamo se vivrà oppure se morirà. È molto strano, ma ho realizzato questa sequenza senza alcun riferimento preciso, ma dopo averla girata, sono tornato con la mente a “Possession”, e se ci pensi il film di Żuławski finisce nello stesso modo…

…è vero, incredibile!

Si è così…

…una sorta di mutua generazione…Mi veniva anche in mente la relazione con il paesaggio. Ancora una volta hai scelto le Ardenne come sfondo del tuo film, e se non sbaglio è la quarta volta. Mi sembra però che “Inexorable” internalizzi il paesaggio, questo per la presenza stessa di Gloria che lo sostituisce. Quindi è meno presente, mentre è la casa, come luogo della mente, ad occupare quello spazio…

Assolutamente, la casa è presente come personaggio. Il mio attaccamento alle Ardenne è per la luce. C’è questa luce specifica, molto bella. Ma la casa è in questo caso un luogo fondamentale, non è semplicemente una casa. Porta con se una storia, contiene menzogne e una vera e propria tradizione nepotista. Ogni generazione si è formata sulle menzogne. Nella prima stesura della sceneggiatura il mio modello era “La caduta della casa degli Usher” con il conseguente crollo, ma era una via impraticabile in termini di budget (ridiamo)

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