Il propellente di questa nuova raccolta di saggi e riflessioni intorno al cinema di Michelangelo Antonioni è uno sguardo plurale femminile. Giulia Chianese, attrice tra Cinema, Teatro e Televisione, Iole Natoli, regista e poetessa, Elisabetta Amalfitano, storica della filosofia, Giusi De Santis, storica del cinema e Francesca Pirani, sceneggiatrice e regista, tessono i fili di un racconto critico e teorico che supera il già detto, attraverso una vitale forza combinatoria, capace di penetrare i riferimenti culturali, storici, filosofici e politici nell’opera di Antonioni, così da farli reagire con elementi eterogenei, che procedono dalla biografia dell’autore fino alle influenze palindrome tra diversi contesti del pensiero creativo.
Suddiviso in sei capitoli, ciascuno delineato da una parola e una citazione chiave, “Infinito Antonioni” apre, invece di chiudere, dinamiche complesse che possano agevolare la lettura dei testi filmici, attraverso spunti di ricerca proiettati verso altri territori.
La città di Ferrara è il punto di partenza che Giulia Chianese analizza per indagare la formazione del giovane “Nino”, tra stimoli culturali e la “ricerca del proprio tempo interno“, suggerito da uno spazio urbano di qualità moderna e aperta, capace di rivelare la relazione dinamica tra individuo e paesaggio.
Questa risonanza dell’esterno nell’interiorità attraverserà tutta l’opera del regista, definendo un superamento deciso della spettralità metafisica che aveva caratterizzato la pittura di De Chirico e De Pisis.
Ma Ferrara è anche la città piegata dall’autoritarismo fascista e da cui Antonioni fuggirà per studiare a Bologna. Dei primi progetti cinematografici, incluso quello mai ultimato sul manicomio provinciale di Ferrara, parla Elisabetta Amalfitano, cercando di evidenziare l’impegno politico che si tramuta, Camusianamente, in “rivolta dell’artista contro il reale“, dove l’attenzione all’individuo in se, amplia la prospettiva realista, rielaborando la supremazia del racconto fattuale con la ricerca degli stati d’animo che si incorporano tra le pieghe del reale.
La relazione più autentica con il paesaggio e il contesto culturale diventa peculiare per Antonioni attraverso il rapporto tra sfondo e personaggio. Giusi De Santis ne parla evidenziando la centralità di quelli femminili, le cui flânerie nello spazio urbano non solo ridisegnano percorsi architettonici e geografici, ma come ha scritto Benjamin, disseminano tracce di quei processi organici, tra malattia e salute, che vivono all’interno della vita individuale.
Del resto, proprio la follia, la malattia, l’inadeguatezza rispetto ai diversi piani di realtà, caratterizza i personaggi del cinema di Antonioni soprattutto nella tetralogia degli anni sessanta, dove in consonanza con Camus e in anticipo rispetto alle intuizioni di Massimo Fagioli, Antonioni si differenzia ampiamente dalla declinazione nichilista dell’esistenzialismo, raccontando, come indica Amalfitano, una maggiore fiducia nelle capacità trasformative dell’individuo.
Ed è proprio dalla dinamica della fantasia di sparizione, per Massimo Fagioli primo atto mentale dell’uomo a configurarsi, che Giulia Chianese elabora una riflessione sulle immagini vacanti nel cinema di Antonioni. Vuoti, rimossi, ellissi e sparizioni che colgono certamente un movimento interno, ma che sottolineano il ricorso a potenti immagini dell’assenza.
Di tracce parla anche Iole Natoli, in un bell’accostamento di alcuni testi filmici alle occorrenze biografiche che hanno legato Monica Vitti a Michelangelo Antonioni. Emergono allora altre potenzialità nello scivolamento reciproco tra vita personale e racconto. Una connessione inconoscibile rispetto all’incidenza effettiva degli eventi sui processi creativi, eppure stimolante se intesa, come fa Natoli, come lettura tra le righe, ricerca di frammenti, interviste, dichiarazioni pubbliche, linee biografiche e creative che si intersecano e stratificano.
Questa ricombinazione dello spazio interiore che codifica diversamente le regole esteriori del cinema narrativo è al centro di un approfondimento di Francesca Pirani, dove viene indagata la radicalità stilistica dei film degli anni sessanta, attraverso la “delocalizzazione del centro narrativo stesso“, grazie all’utilizzo di dialoghi allusivi, ellissi di montaggio, immagini sulla soglia dell’invisibilità, gradazioni ascendenti del discorso collocate altrove e che premono dal fuori campo.
Il volume edito da L’Asino D’oro include anche una serie di interviste; testimonianze importanti per delineare un profilo completo che proceda dalla teoria ad altre prassi. Da segnalare quella concessa da Tiziana Appetito a Giusi De Santis, in occasione della mostra sugli scatti realizzati da Enrico Appetito tra il 1959 e il 1964 sui set della tetralogia. Mostra la cui peculiarità era caratterizzata dall’accostamento delle fotografie ad alcune opere pittorico-scultoree dei maestri dell’avanguardia italiana ed europea del Novecento e dalle quali Antonioni sembra aver preso ispirazione. I nomi sono quelli di Morandi, Fontana, Burri, Rotella, Vedova, Turcato.
Sempre De Santis intervista Daria Deflorian, tra i nomi di spicco della scena teatrale contemporanea e qui interpellata per raccontare il processo creativo che nel 2018 ha dato origine a “Scavi”, il progetto condiviso con Antonio Tagliarini e il collaterale “Quasi Niente”, spettacolo ispirato a “Il Deserto Rosso”.
Lo sfondo, importante oggetto di studio per la messinscena nel cinema di Antonioni e nel teatro di Deflorian, diventa marcatura centrale di quel non riuscire a stare e a ritrovarsi entro i parametri del reale.
Conclusiva ed essenziale la conversazione tra De Santis ed Enrico Bellani, aiuto regista di Antonioni sui set de “Il mistero di Oberwald” e “Identificazione di Una Donna” e regista di numerosi documentari che hanno indagato l’origine delle cose, dalle civiltà contadine fino all’artigianato industriale e alle antiche radici dei territori. Oltre a tracciare il percorso di una collaborazione, l’intervista va a fondo su un concetto che in qualche modo riesce a tirare le somme dell’intero volume: la stratificazione delle immagini oltre l’evidenza, rivela il dipanarsi possibile e aperto di altri e numerosi piani di realtà.
Acquista il volume sul sito dell’editore
Infinito Antonioni. Una ricerca rivoluzionaria sulle immagini – A cura di Elisabetta Amalfitano e Giusi De Santis
Pagine: 222 pp. illustrato
Prezzo: 25 euro
Editore: L’Asino D’Oro
«Un regista non fa altro che cercarsi nei suoi film». Michelangelo Antonioni
Dai luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, e lungo le vicende italiane dagli anni Trenta agli ultimi anni Ottanta, si dipana il ritratto di un uomo e di un artista in continuo rinnovamento. In primo piano, l’originalità del suo sguardo, il rapporto fecondo con l’attrice Monica Vitti, il legame con la pittura, e anche il suo impegno politico, che ne mettono in risalto la sorprendente poliedricità. Il cinema di Michelangelo Antonioni resiste al trascorrere del tempo,
restituendo il senso profondo di una ricerca innovativa e rivoluzionaria. Scoprire il «big bang» delle immagini, come queste si formano e che cosa comunicano sono stati i punti fermi del suo indagare.
Corredano il libro le interviste a Elisabetta Antonioni, fondatrice dell’Associazione Michelangelo Antonioni, a Tiziana Appetito, presidente dell’Archivio storico di cinema Enrico Appetito, al regista cinematografico Enrico Bellani e all’attrice e regista teatrale Premio Ubu Daria Deflorian. La Prefazione è del giornalista e critico cinematografico Enrico Magrelli.