Il pastore che sogna di visitare il Lago Titicaca, le sorprendenti immagini monocromatiche di un fotografo che si fa testimone della condizione umana, il duo musicale in pensione che ricorda l’età dell’oro con un elogio ai camioneri, due giovani sorelle in un saliscendi continuo sulle montagne, quando alla ricerca di Pokémon, quando di un mostro ormai anch’esso in pensione perché non ci sono più bambini da spaventare. Un anziano signore dall’indole malinconica che conta le case vuote del villaggio per addormentarsi, un altro pronto a confondere il suono del vento con i flutti del mare. I personaggi di questo film emergono come elementi geografici di un territorio cristallizzato nel tempo.
[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f4bf42″ class=”” size=””]Le immagini riempiono lo schermo, aree isolate con i suoi chilometri quadrati di terreno dedito al pascolo e all’agricoltura, un’immensa distesa di alberi ininterrotta, la terra è l’unico protagonista di questo documentario di Juan Palacios.[/perfectpullquote]
Inland – Meseta è un viaggio sensoriale, le voci dei singoli individui, le loro azioni e gli ambienti che continuano a vivere diventano i percorsi di una mappa che lascia navigare lo spettatore attraverso il passato, il presente e il futuro. Il regista che approda all’idea quasi casualmente, guardandosi attorno durante una visita ai nonni, scopre che tutto è cambiato e niente è rimasto com’era nella sua infanzia. Juan Palacios con la sua cinepresa immerge lo spettatore in un’atmosfera bucolica, le immagini maestose e pittoriche si riempiono di rumori, un’autoesaltazione della natura che si incontra in una simmetrica autodestrutturazione dell’identità dell’uomo, piegato dalla vita.
Un luogo che sembra designato solo a chi l’ha sempre abitato, perché gli estranei con il loro orizzonte valoriale diverso e ispirati da un edonismo ideale trovano il candore materico di questo spazio e degli abitanti apertamente ostile. Motivo per cui questo paesaggio è destinato a svuotarsi, tornando al suo stato primitivo e selvaggio, un territorio che senza l’audacia dei suoi residenti recupera il suo carattere ancestrale.
Un’analisi che elabora in forme variamente romantiche il tema classico del cambiamento, della memoria in tutti i suoi innumerevoli mutamenti, la cui forza eversiva sta nella bellezza e nel piacere di appagare lo sguardo.