martedì, Novembre 19, 2024

Inside – A l’interieur di Julien Maury & Alexandre Bustillo: recensione

"A l'interieur" (Inside) il primo e più estremo tra i lungometraggi di Julien Maury e Alexandre Bustillo, Una lunga analisi critica di Michele Faggi. A margine alcune considerazioni sul recente Blu Ray pubblicato in Italia

Quando Julien Maury e Alexandre Bustillo cominciano ad allestire la produzione del loro primo lungometraggio, entrambi provengono da esperienze diverse in ambito cinematografico. Mentre Maury ha già all’attivo alcune clip musicali e due divertentissimi cortometraggi dedicati alle disavventure di un runner, Bustillo si muove nel giornalismo di settore. Sarà proprio lui a proporre a Maury la prima bozza di sceneggiatura di “A l’interieur“.

Con una buona dose di coraggio, la coppia di registi deciderà di affrontare insieme e per la prima volta una produzione complessa, servendosi di un budget contenuto a 1,7 milioni di Euro. 

Nel film confluiranno tutte le loro ossessioni cinefile, dall’horror italiano considerato attraverso una linea temporale piuttosto ampia, passando per il John Carpenter di Halloween e pensando persino a “The Haunting of Julia”, uno dei film meno conosciuti di Richard Loncraine, che con “A l’interieur” condivide la descrizione dello spazio domestico-famigliare come luogo minacciato dall’interno, oltre ad un’idea controversa di maternità.

Le preferenze della coppia arrivano fino a “The Innocents” di Jack Clayton, per il modo in cui una Beatrice Dalle di nero vestita, compare come un fantasma della letteratura gotica fuori dall’appartamento di Sarah (Alysson Paradis), donna incinta e reduce da una tragedia terribile, che ha deciso di passare la vigilia di natale da sola.

Entusiasmo, amore per il cinema, follia e soprattutto un notevole rigore nel combinare la storia dell’horror prostetico con alcune incursioni digitali, consentiranno alla coppia di realizzare uno dei film più importanti del nuovo horror francese, sempre al di quà di una semplice macchina devozionale e completamente immerso, almeno ad una prima visione, in quella riflessione sul corpo che comincia nuovamente ad attraversare il cinema francese estremo degli anni zero, diciassette anni dopo l’abietto “Baby Blood” di Alain Roback.

Il momento è quello giusto, se pensiamo alla primissima Marina De Van, a “Irréversible” di Gaspar Noé, ad “Haute tension” di  Alexandre Aja e a “Ils” di David Moreau, tutte produzioni francesi realizzate tra il 2002 e il 2006 e che in qualche modo, in forma esplicita o con suggestioni molto più sottili, saranno rilette da Maury/Bustillo con una forza ancora maggiore e senza alcun limite morale, se non il rispetto per il percorso biologico delle due protagoniste.

Inside – A l’interieur: la violenza, un male necessario

L’esterno e l’interno, lo spazio domestico minacciato, l’inviolabilità del corpo e al contrario il rifiuto netto della maternità, sono gli aspetti più evidenti che emergono dalle scelte della coppia francese. Ma al di là di suggestioni rintracciabili attraverso una revisione diacronica della “tradizione” horror cinematografica, si fa strada la definizione di un cinema sensoriale, che nel far confluire esperienza sonora e percettiva, sostituisce l’occhio con il tatto. La scelta di Beatrice Dalle per interpretare la parte della portatrice di morte e orrore non è allora casuale e segue la reinvenzione “cannibale” dei suoi personaggi “sul bordo”, compiuta già cinque anni prima da Claire Denis nel bellissimo “Trouble Everyday”. Follia che facendosi carne anela al possesso, per diventare il veicolo mentale che interconnette tutti i sensi, attraverso l’intreccio tra tecniche visive e continui assalti aurali.

C’è un momento nel film di Maury/Bustillo, dove il volto di Beatrice Dalle viene isolato da un primo piano, dopo un’ennesima esplosione di brutalità. Il prodigioso montaggio di Baxter, da li a pochi anni una delle figure chiave del nuovo horror francese, si allinea al lavoro sul suono tra “score” pulsante e sound design, concepito da François-Eudes Chanfrault, qualcosa di più di una colonna sonora in termini tradizionali, almeno fino all’esplosione emotiva di “Memories”, frammento di chamber music concepito per colpire altri sensi rispetto a quelli stimolati per l’intera durata del film.

Nel primo piano di cui parlavamo, l’estetica del difetto o del “glitch”, prima ancora di diventare sistematico “remix” di suoni e immagini nel cinema di Cattet/Forzani, cerca di scardinare quella mediazione rappresentativa tra visione e oggetto, reinventando le forme del jump-cut secondo coordinate esplicitamente corporee.

Non è la dimensione motoria del gesto, quanto l’incorporamento di altri stimoli nella formazione dell’immagine, incluso il “disturbo” e l’interferenza, che cambiano il modo di “sentirne” l’essenza, ormai incerta, evanescente come le visioni di un folle, eppure improvvisamente aptica, nel costante rapporto conflittuale tra identità e corpo, soppressione della vita e anelito primigenio ad accoglierne la forza.

Se dovessimo allinearci con quella critica che individua il centro di “A l’interieur” nella paura atavica dell’altro, dovemmo affidare alla resistenza coatta di Sarah tutto il senso del film, mentre la sua “tangibile” prossimità al corpo, rafforzata dalle scelte organiche dei VFX, mette a confronto la lotta di due visioni biologiche,  tra le pulsioni abortive della donna e il violentissimo attaccamento alla vita dell’intrusa. Ai momenti in cui Sarah cerca di sopprimere se stessa o il figlio che porta in grembo, per l’insopportabile eccesso di violenza e di morte che assale la sua esistenza, si sovrappone l’impulso vitalistico del personaggio interpretato da Beatrice Dalle, alla ricerca di una luce attraverso la necessità del massacro. 

Un campo di battaglia, dirà uno dei poliziotti penetrati sino al piano superiore dell’appartamento dove Sarah si nasconde in bagno, tra le pareti imbrattate di sangue e i corpi delle vittime che l’intrusa ha fatto a pezzi. 

Eppure la guerra dovrebbe essere fuori, ma è invisibile e inaudibile, appena allusa com’è dai racconti della polizia di ronda, dalle rivolte che Sarah avrebbe dovuto fotografare, dalle pressioni del suo editore (François-Régis Marchasson) per farne uno strumento del linguaggio mediatico. E la violenza di una città presumibilmente in fiamme, la si percepisce dalle scelte gratuite di uno dei poliziotti che circondano l’abitazione della donna (Nicolas Duvauchelle) e dall’abuso di potere sul povero Abdel (Aymen Saïdi). Un pericolo raccontato più che vissuto, mentre l’orrore si consuma all’interno per una questione di sopravvivenza biologica. 

Rispetto alle scelte sensoriali e aptiche di un cinema che fa esplodere la relazione con il corpo nella geometria dello spazio funzionale, l’occhio, alla base di qualsiasi manipolazione documentale, fallisce. Non solo perché Maury/Bustillo spingono il film progressivamente nell’oscurità, desaturando i colori ad eccezione del rosso, tanto per ribadirne le qualità tangibili attraverso la sovrapposizione sonora, ma anche per associare la visione, sempre più vicina alla qualità di un fugace “lampo”, ad una rivelazione fallace. 

Sarah si fa strada tra i cadaveri usando il flash della macchina fotografica. Quello che vediamo è illuminato dall’improvviso squarcio di luce, come l’accendino che illumina il volto dell’intrusa. Sono cadaveri, volti tumefatti e corpi smembrati, non così distanti da quella persistenza della morte nell’immagine mediatica che ancora rappresenta un business della comunicazione, tra media e procure.

L’immagine come informazione si infrange con i percorsi della memoria e ricostruisce il tracciato della violenza ormai trasferitasi, viralmente, dai media alla coscienza collettiva, così come gli strumenti di autodifesa immaginati da chi ha costruito città sotto assedio, solo attraverso la narrazione del potere.

Ecco perchè “A l’interieur”, esattamente come il bellissimo “Martyrs” di Pascal Laugier con mezzi e obiettivi diversi, sono ancora esperienze difficili e ai limiti della tollerabilità. Così lontani eppure vicinissimi alle nostre vite, raccontano una mutazione della mente diventata ferita pulsante.

Maury/Bustillo trovano la vita in un’estrema resistenza alla morte che ci circonda.

La violenza diventa un male necessario. 

Inside – A l’interieur – il Blu Ray Italiano

Il booklet

L’edizione Midnight Factory distribuita da Kock Media Italia è una Limited Edition Blu Ray che include un booklet informativo curato da Davide Pulici e Manlio Gomarasca (Nocturno).  Il libriccino esamina il film secondo le linee guida della vulgata critica più diffusa a cui abbiamo accennato e seguendo coordinate assai discutibili e prevedibili.

I contenuti Extra

Al contrario, molto interessante la sezione extra del Blu Ray che include i due corti di Maury realizzati rispettivamente nel 2003 e nel 2005. 

Pizza à l’oeil” e “PEDRO! Livreur de Pizza” sono l’inizio di una piccola saga mai decollata e ripercorrono quella commistione tra commedia catastrofica e cinema di genere che era di autori come Jan Kounen e Yann Piquer.

Al centro “Pedro”, garzone di pizze a domicilio, che irrimediabilmente e per l’estrema velocità con cui svolge le consegne, recapita completamente distrutte.

Nel primo episodio lavora per una multinazionale e viene punito da un drone-killer, nel secondo è il lavorante di una pizzeria molto più scassata e ripete le infrazioni stradali del primo, per consegnare infine una pizza spappolata. 

La sezione extra, oltre al trailer, include anche un bel making of di “A l’interieur” dove tutti gli aspetti legati agli effetti visuali e alla complessa prostetica, ci raccontano di un film “difficile” anche in termini di lavorazione.

Il problema con Beatrice Dalle è un problema di distanze“, racconta l’equipe che forma gli stunt “o troppo lontana o troppo vicina. E troppo vicina significa incidente“.

Viene quindi fuori una dimensione ancora una volta molto fisica nel cinema della coppia francese, dove la misura dei movimenti è calibrata sulle coordinate di un’immersione totale nel set e tra i materiali che lo costituiscono.

Quattro ore di calco prostetico, una tensione continua nella costruzione delle colluttazioni, una relazione organica e tattile con le vernici, le misture, i colori e gli elementi “organici”.

Il digitale e i blue screen allora, si innestano come connettori tra il volto, i corpi degli attori e il loro simulacro prostetico, aumentando il livello di realismo e di prossimità alla sofferenza dei personaggi. 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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