Lucien (Laurent Malet) incontra la sorella Nina Scott (Nina Scott / Corinne Reynaud) rockstar, durante la registrazione del suo nuovo album in uno studio parigino. Un brusco e improvviso litigio con il produttore la spinge a vivere con il fratello, con cui intrattiene una relazione vicina all’incesto. Dopo una breve convivenza, Nina muore per un incidente, folgorata da una lumiera caduta nella vasca da bagno, mentre è immersa nel latte. Lucien intraprenderà un viaggio, con il cadavere della sorella nella custodia del contrabbasso, issato sul tetto della macchina. Le tappe, da Parigi e Marsiglia, saranno quelle di un’immaginaria tournee, tra manifesti affissi con l’immagine della sorella e autostoppisti occasionali che caratterizzano il percorso di un viaggio rituale e iniziatico
Che fine ha fatto Corinne Reynaud? Il suo breve passaggio nella storia del cinema corrisponde alla creazione di un’alterità sfuggente.
Nina Scott è personaggio per il film di Peter Del Monte, ma anche icona New Wave con una discografia che sopravvive a Corinne per un brevissimo periodo dopo la pubblicazione della colonna sonora di “Invitation au voyage“. Fantasma emerso da un improvviso vuoto semantico, Nina non è manifestazione esplicita di quel doppio negato dall’ordine sociale come nel romanzo di Jean Bany da cui il film è tratto. In “Moi ma soeur“, il protagonista trova nel travestimento costante la possibilità di abitare quel rimosso, mentre nel film di Del Monte la relazione tra Lucien e Nina assume le caratteristiche della mobilità e i tratti della molteplicità, attraverso le qualità fantasmatiche dell’immagine cinematografica.
Girato in una stagione di grande fiducia per le possibilità del visibile, “Invitation au voyage” condivide con alcuni film di quegli anni la definizione della permanente impermanenza della soglia. Uno slittamento continuo di senso che nei film coevi di Beneix, Besson, Carax, ma anche Slava Tsukerman, ricontestualizza corpi, identità e il loro riflesso.
Nel road movie di Del Monte è la strada a predisporre la comparsa di nuovi oggetti, un fare segno che sposta l’individuazione del limite sempre un po’ più in là. Ecco che l’esilio Baudeleriano fuori dal mondo sociale e verso un falso movimento evocato dai sensi, diventa ricerca incessante di un’identità incollocabile e apolide. Per quanto il viaggio di Lucien con il cadavere della sorella sopra il tetto della macchina tracci una piccola tessera europea, tra Parigi e Marsiglia, il percorso è più ampio perché tende a dissolvere i confini della geografia interiore, attraverso lo scambio semantico del riflesso nell’immagine identitaria.
L’incesto tra Nina e Lucien, condotto sul crinale indistinguibile di sottomissione e rifiuto, si manifesta attraverso il costante infrangersi dell’occhio nella riproduzione iconica della rockstar. Non soltanto le continue fughe di Nina che costringono Lucien ad una posizione gregaria, ma anche la sua persistenza immateriale attraverso immagini transmediali che sopravvivono alla morte. Nina continua ad essere l’orizzonte di Lucien attraverso i manifesti, gli effetti feedback di una performance catodica, i racconti dei passeggeri occasionali caricati a bordo, tra cui quella del vecchietto che odia Julio Iglesias, mentre ascolta a ripetizione David Bowie e Nina Hagen dal video juke-box del figlio.
Del Monte inverte quasi sempre la polarità dei segni tanto da non offrire mai una direzione univoca alla relazione tra corpo e simulacro.
Nina muore in un bagno di latte e per aver ostinatamente sollecitato quel bagliore elettrico che anima la sua vita. In quel gesto apparentemente inutile e automatico che la spinge a giocare con l’interruttore di una lumiera c’è tutto il senso del limite tra la creazione e la distruzione. Muore nel latte e nutre le ossessioni di Lucien, come in uno strano parto gemellare che riassorbe gli opposti senza risolverli se non in un nuovo processo di formazione.
L’invito per Lucien comincia da questo momento in poi. Se il fantasma è anche immagine del contrasto tra la vita e la morte, nel richiamo costante all’inafferrabilità del desiderio, per Del Monte diventa occasione per elaborare un discorso più complesso sulla mobilità delle posizioni soggettive e sull’essenza dell’immagine cinematografica stessa nel suo passaggio di soglia dalla fotografia alla nascente immagine elettronica.
Nina è anche ombra elettronica, sempre presente nel “global groove” dei videoclip, la sua figura processata smaterializza la presenza live della performance in questo frantumarsi progressivo del concetto di distanza.
Puro segnale, muore per una scarica elettrica e rinasce nelle immagini ricreate da un sintetizzatore, come astrazione senza il referente del corpo ripreso.
Quel corpo rappresenta il limite indicibile che Lucien tiene nascosto nella custodia di un contrabbasso, per separare il cielo dall’asfalto come in un rito di passaggio; l’unico modo per liberarsi della persistenza delle immagini è bruciarlo, restituirlo alle fiamme e al vento.
La metamorfosi comincia da qui, nel riconoscimento di quell’energia imprigionata nella rappresentazione mediale, ma anche nel rifiuto dei confini nazionali, quasi per rileggere il paese immaginato da Baudelaire come seme fondativo di una nuova Europa. Mentre per il turco interpretato da Mario Adorf quell’identità assume una valenza politica, Del Monte insiste sulla cancellazione dei connotati fotografici dal passaporto appena donato e sui vestiti e il trucco di Nina che abitano il corpo di Lucien.
Chi sono allora Nina e Lucien, nel loro continuo specchiarsi l’uno nell’altra fino all’emersione di un nuovo orizzonte, fluido e possibile?