Occorre fare un salto indietro per capire il motivo della centralità di Jessica Jones, la serie ideata da Melissa Rosenberg per Netflix e costituita da 13 episodi. Appena passata la soglia del nuovo millennio la riconfigurazione della Marvel operata da Bill Jemas attraverso la collocazione strategica di Joe Quesada alla supervisione, da origine tra le altre cose alla Marvel MAX, una nuova etichetta sotto la quale sarebbero usciti prodotti destinati ad un pubblico adulto, molto più estremi rispetto allo stato dell’arte di quegli anni. Si tratta di uno dei tanti tentativi di sperimentazione che Jemas e Quesada inaugureranno per risollevare le sorti della casa editrice e che nel novembre del 2001 darà vita ad “Alias” la serie scritta da Brian Michael Bendis, con i disegni di un autore comparso dal niente come Michael Gaydos e le copertine firmate da un artista dal tratto pittorico come David Mack.
Alias da un forte scossone all’estetica Marvel non solo per il linguaggio tout court e l’introduzione di un livello grafico molto esplicito tra sesso e violenza, ma per una messa in scena ellittica e allusiva della realtà che promana dai suoi personaggi, supereroi spogliati quasi definitivamente dall’aura mitologica e completamente calati in un contesto umano problematico. Rispetto alla filosofia gridata delle ere precedenti, spesso esplicitata attraverso la proliferazione del flusso di coscienza sull’immagine, Bendis asciugherà tutti questi elementi introducendo una narrazione più adulta e minimale, fatta di salti, ellissi, riferimenti da scoprire e per certi versi una maggiore vicinanza alle conseguenze traumatiche sopportate da ciascun personaggio a cavallo tra i due mondi.
Le origini di Jessica Jones vengono giustificate dallo stesso Bendis all’interno della serie “Alias” in riferimento alla sua presenza testimoniale durante lo scontro tra L’Uomo Ragno e l’Uomo Sabbia in un’avventura del 1963. La Jones, compagna di classe di Peter Parker, assiste alla battaglia, prima spinta propulsiva per imboccare la strada della lotta contro il crimine. Dopo un incidente che la espone ad alcune sostanze radioattive, Jessica diventa Jewel, superdonna dalla breve carriera, stroncata dai progetti di Zebediah Killgrave, medico con poteri di manipolazione della mente e con il corpo “porpora”, anch’esso mutato per il contatto forzato con elementi radioattivi. Jewel diventerà la schiava sessuale dell’Uomo Porpora, sarà indotta ai peggiori crimini ed infine neutralizzata dagli Avengers. Uscita dalla schiavitù, proverà nuovamente a indossare i panni dell’eroina, Knightress, anche questi di breve durata, per poi aprire un’agenzia investigativa chiamata “Alias” con il nome di Jessica Jones, occupandosi di indagini che intersecano le vite dei due mondi, quello ordinario e quello dei supereroi.
Jessica Jones fa parte dei nuovi progetti televisivi Marvel che oltre all’originale Netflix dedicato a Daredevil includeranno altre tre serie, una delle quali incentrata su Luke Cage, l’eroe nato nei primi settanta ed ispirato al cinema e alla cultura blaxploitation presente sia in Alias che nella versione televisiva della Rosenberg, dove è interpretato da Mike Colter.
Nella serie Netflix tutto il background della Jones (Krysten Ritter) viene ricombinato e spinto sullo sfondo, basta pensare al modo in cui ci si riferisce alla storia di Jewel solamente come ad una possibilità: nel quinto episodio intitolato “Il panino mi ha salvata”, la conduttrice televisiva Trish Walker (Rachael Taylor), migliore amica della Jones e sorella acquisita della stessa, propone a Jessica un costume e la nuova identità di Jewel nel caso voglia mettersi a combattere il crimine su larga scala per le strade di New York. La Jones rifiuta brutalmente l’offerta e risponde all’amica che Jewel è un nome adatto alla peggiore tra le spogliarelliste. Il riferimento ai giorni di cattività di Jewel e agli abusi dell’Uomo Porpora, inclusi gli spogliarelli coatti, è tutto nella risposta di Jessica, un breve aggancio narrativo ad un universo mitopoietico parallelo da cui separarsi nettamente e rispetto al quale Jessica rifiuta l’aspetto semantico più specifico, quello della vestizione. È un processo di riconfigurazione dei personaggi che avviene su tutta la linea, inclusa la costruzione di Killgrave (David Tennant) che qui perde tutti i riferimenti grafici legati al mondo dei supereroi, corpo “porpora” incluso, per diventare una figura di confine tra il serial killer e un individuo segnato da un profondo trauma famigliare non troppo diverso da quello di Morlar, il personaggio interpretato da Richard Burton per “The Medusa touch” il film diretto da Jack Gold nel 1977.
L’elaborazione del trauma, così centrale nella psicologia della Jones elaborata per la miniserie a fumetti, si estende a tutti i personaggi, in una complessa rete di rimandi che cambia costantemente di posizione il ruolo di vittime e carnefici, intrecciando le loro storie in una dimensione dove lo stato di diritto perde progressivamente di senso mentre emerge dallo sfondo una società eminentemente scopica, il cui tessuto è quello del vedersi visti, del sorvegliarsi e dello spiarsi, del controllo (anche audiovisivo) come confine percepibile tra abuso e autodifesa, tanto che il dialogo, non solo affettivo ma anche iconico e gestuale, tra la Jones e l’amica Trish sembra rappresentato come un rovesciamento del desiderio dell’una nell’altra. Tanto Jessica vive all’interno del suo studio scassato e con la porta sempre sfondata e accessibile da qualsiasi pericolo, quanto Trish vive asserragliata in una casa concepita come una vera e propria “panic room” o nello studio televisivo dove lavora, con uno scudo tecnologico che la separa da ogni possibile abuso; due modi diversi che mettono in relazione la realtà ordinaria con quella dei supereroi da un punto di vista meno esplicito e maggiormente connesso ai gesti, le abitudini, la vulnerabilità e la complessità dei personaggi.
Da questo punto di vista, quello interpretato dalla Ritter sintetizza le caratteristiche di una lunga storia hard boiled, combinate con quelle borderline della Lisbeth Salander riletta da David Fincher; è peculiare in questo senso la modalità con cui viene sviluppata tutta la storia tra Jessica e Luke, un desiderio che emerge dalla prassi voyeuristica della Jones e che viene condotto sul filo tra erotismo e tenerezza con una serie di varianti molto complesse per essere descritte dettagliatamente in questa sede, ma che includono individualismo e desiderio di protezione, senso di colpa e ricerca della verità con una progressione più “quotidiana” e tragica del tutto inedita rispetto alle love story consumate tra X-men, Avengers, mutanti e via dicendo. Rientrano in questa tendenza anche le gag erotiche più gustose, che vedono Luke e Jessica sfasciare il letto dove scopano in virtù della loro forza eccezionale, seguendo quindi un’indicazione più esplicita in riferimento a tutta la storia della Marvel MAX.
Più in generale, tutti i numerosi riferimenti al mondo supereroistico rimangono al livello di possibilità e vengono ulteriormente eradicati nella loro versione essenziale anche rispetto alle intuizioni di Bendis inaugurate nel 2001; gli unici agganci con quel mondo a sopravvivere hanno quindi la funzione di fare da snodo allusivo alla trasformazione del genere in qualcosa di profondamente diverso, incluso il cameo di Rosario Dawson che in qualche modo apre altre strade narrative e tutte le possibili connessioni con Daredevil. È un’ipertrofia che è assolutamente connaturata al mondo Marvel sin dalle sue origini, ma che viene applicata al contesto televisivo seriale con una mutazione del tono e della dimensione narrativa in cui si muovono i personaggi.
Un esempio di questa trasformazione è il personaggio di Jeri Hogarth interpretato da una straordinaria Carrie-Anne Moss, avvocatessa senza scrupoli, figura molto più amorale di quanto non appaia nei fumetti originali (in particolare in Iron Fist) e che serve agli autori della serie televisiva per elaborare una traccia narrativa legata al ruolo ambiguo del sistema giudiziario statunitense, alla falsificazione delle informazioni e non ultima un’incursione nel dibattito intorno alla questione sulle coppie omosessuali, affrontata qui sul crinale tra legge, desiderio e ancora una volta, abuso.
I toni scuri e pessimistici di tutta la serie prendono quindi corpo attraverso la stessa Krysten Ritter più abituata ai tempi della commedia, qui elaborati con maggiore sarcasmo ma assolutamente bilanciati come punto di vista critico rispetto alla sostanza profondamente tragica della sceneggiatura. Se da un certo punto di vista Jessica Jones condivide con Daredevil un aumento esponenziale della violenza grafica incluso alcuni eccessi gore, rispetto alla serie “gemella” si respira un pessimismo e una rassegnazione “noir” molto forte. La riluttanza di Jessica ad assumere un ruolo va di pari passo con quello stesso spossessamento che la serie veicola rispetto alle convenzioni del mondo Marvel, proprio perché nelle intenzioni dell’autrice di Dexter, Birds of Prey e di tutti gli script della serie Twilight, c’è una chiara aderenza a quei principi che avevano indicato la stessa strada per la nota casa editrice agli inizi del nuovo millennio, ma operando una vera e propria radicalizzazione degli stessi.
Nel contesto di una costante riconfigurazione ed espansione del mondo Marvel, che come sappiamo in altri ambiti ha elaborato forme creative nuove e stimolanti, Jessica Jones ci sembra che veicoli un ulteriore passo avanti anche rispetto all’ottimo Daredevil, in attesa di vedere altri sviluppi di questo nuovo universo che includerà oltre alla già citata serie dedicata a Luke Cage anche Iron Fist e la riassuntiva The Defenders, tutte prodotte per Netflix.