Quando nel 1983 la giuria del Festival di Cannes, presieduta dallo scrittore William Styron, annunciò l’assegnazione della palma d’oro a La ballata di Narayama di Shohei Imamura, la sorpresa fu pari all’ammirazione per un film che scompaginava le carte. E non solo perché in quella edizione c’erano in concorso autori e film memorabili (Robert Bresson con L’argent, Martin Scorsese con The King of the comedy, Oshima con Merry Christmas Mr. Lawrence e, soprattutto, Andrej Tarkovskij con Nostalghia); il riconoscimento a Imamura fu interpretato come il premio al coraggio di un regista capace di portare sullo schermo una storia di tradizione, emarginazione e dignità.
Tratto dal romanzo Le canzoni di Narayama (1956) di Shichiro Fukazawa, e già trasposto sullo schermo nel 1958 da Keisuke Kinoshita, il film di Imamura affonda le radici nel Giappone rurale, quello che le arti visive (il cinema e non solo) hanno esplorato con grande continuità. La storia trae origine da un’antica usanza secondo la quale le persone anziane venivano portate sul monte Narayama ad aspettare la morte, sfidando le leggi della natura e come inevitabile conseguenza del ciclo della vita. E proprio nello stretto binomio tra uomo e natura, tra l’accettazione del limite biologico della vita e l’imponderabilità del disegno cosmico, che si scopre il senso profondo dell’opera di Imamura, regista molto apprezzato in Europa, in particolar modo in Francia, dove nel 1997 ha conseguito un’altra Palma d’oro con L’anguilla.
Il DVD di Raro Video, distribuito da CG Home Video con marchio Mustang Entertainment a partire dal giugno scorso è quindi l’occasione per riscoprire un film che in Italia non ha avuto molta diffusione. Un’operazione intelligente, che mira a dare spazio ad una cinematografia molto diversa dalla nostra, ma con grandi motivi d’interesse. I temi della natura, del rispetto delle leggi naturali, dell’ineluttabilità del destino umano sono al centro dell’arte giapponese: le immagini del mondo fluttuante, della vita che scorre con un ritmo che si mischia a quello della natura sono una prerogativa dei più importanti artisti giapponesi. Le celebri vedute del Monte Fiji di Hokusai sono forse l’esempio più alto di questa compenetrazione tra uomo e natura, visioni limpide, composte, che cercano di scoprire ogni lato e ogni espressione della realtà naturale. L’intento di Imamura è lo stesso e Narayama, al pari di Fuji, diventa una sorta di montagna sacra nella quale si deposita il senso aspro ma profondo della vita.
Il film si apre con riprese aeree sul monte Narayama. Il luogo dell’azione scenica viene subito definito e diventerà un motivo ricorrente: prevalgono infatti le scene in esterni, con la natura che non si limita ad essere sfondo scenografico, ma diventa protagonista principale all’interno di scelte registiche che aprono anche al documentaristico. Nelle rare scene in interni, Imamura dimostra di aver assimilato alla perfezione la lezione del maestro Ozu, di cui è stato assistente alla regia, riuscendo a dare alle inquadrature una compostezza figurativa che si avvale della profondità di campo e della cinepresa fissa per esprimere il concetto principale del film, la ricerca di un inevitabile equilibrio tra il ciclo della vita umana e il ciclo della vita naturale.
Oltre al film, al trailer originale e a quello in lingua italiana, il DVD di Raro Video si avvale di un contenuto extra, un’intervista di dodici minuti a Bruno Roberti, docente di cinema all’Università della Calabria e autore di numerosi saggi critici. Roberti evidenzia come La ballata di Narayama sia un film esemplare della poetica di Imamura: l’accordo delle immagini diventa l’accordo tra il ciclo della vita, della morte e della rinascita, in un lento fluire che trova la sua espressività in soluzioni visive che esaltano il campo-controcampo e la profondità di campo. Aspetti non secondari del cinema di Imamura che, sempre secondo Roberti, non solo ha imparato la lezione di Ozu (soprattutto nella capacità di comporre l’immagine), ma anche quella dei grandi maestri sovietici degli anni ’20. Il tema della sessualità e dell’animalità vengono manifestati infatti all’interno di una costruzione del montaggio che, in puro stile ejzenstejiano, assimila le immagini in chiave giustapposta. Nel sistema associativo creato dal montaggio, si genera quello shock emozionale che crea nello spettatore un significato organico e materiale (nel caso specifico di Imamura, la costante dialettica tra uomo e natura).
L’intervista di Roberti non è l’unico spunto di approfondimento del cofanetto della Raro Video. Il booklet contiene un’introduzione di Bruno Di Martino sul film e due articoli di archivio, il primo di Charles Tesson, pubblicato sui Cahiers du Cinema nel luglio 1983, il secondo di Giovanni Grazzini, uscito su Il corriere della sera del 3 giugno 1986.
Ma forse la parte più interessante, quella che riesce a spiegare il senso profondo dell’opera di Imamura, è un estratto del diario di Jiro Tomoda, produttore del film, che ripercorre tutte le fasi di lavorazione del film. Fasi lunghissime e interminabili, con le riprese che hanno rispettato il lento scorrere delle stagioni e hanno attraversato inverno, primavera, estate e autunno per oltre un anno e mezzo. Imamura ha aspettato la natura, ha colto i suoi mutamenti, non ha forzato la mano, arrivando a rivoluzionare anche i modi di ripresa. E proprio in questo flusso continuo, costante, ricco di avversità che La ballata di Narayama si staglia nella storia del cinema giapponese come un film di “passaggio”, nel senso del recupero di una relazione con la tradizione e il territorio che l’uomo moderno ha ormai smarrito.
La ballata di Narayama su CG Home Video