La famiglia è il tema numero uno del cinema di Thomas Vinterberg: da “Festen” (1998) fino a “Il sospetto” (2012), passando per “Riunione di famiglia” (2007), il regista danese ha messo in scena splendidi gruppi disfunzionali in uno o più interni. “La comune” non fa eccezione, anzi estende con intelligenza il concetto di famiglia per regalare allo spettatore un’ennesima prova della maestria di Vinterberg (e del co-sceneggiatore Tobias Lindholm).
Tratto dall’eponima pièce portata a teatro dai due autori, il film racconta di Erik (Thomsen), che eredita una casa da 450 metri quadri in seguito alla morte del padre. La moglie Anna (Dyrholm) lo convince ben presto a rinunciare alla vendita fondando un’autentica comune di dieci persone (otto adulti, un’adolescente e un bambino), non solo amici ma anche individui mai visti prima, che si sottopongono al voto dei comunardi secondo modalità ben note agli studenti fuori sede. Il tutto in una città danese a cavallo degli anni Settanta.
La ricostruzione del periodo è perfetta: vestiario, mobilio, obliteratrici sull’autobus e tv in bianco e nero fanno il miracolo, insieme a brani d’epoca che meritano di essere scoperti durante la visione. Lo score di Fons Merkies è toccante e ben utilizzato, la fotografia di Jesper Tøffner indaga tutte le sfumature del bruno (in pieno stile scandinavo).
Il copione padroneggia la situazione da Grande Fratello ante litteram con sensibilità e acume, mostrandoci di fatto uno dei tanti modelli alternativi alla famiglia del family day – mostruoso e disfunzionale come qualsiasi nucleo di persone. Invece di puntare sulla coralità (a rischio dispersione), il film si concentra sulla coppia di protagonisti e sull’invaghimento di Erik per la giovane Emma (Neumann), sua studente, che finisce per essere inclusa nella comune accelerandone l’entropia.
Come suo solito, Vinterberg cambia spesso registro e sterza sul finale provocandoci un infarto, ma al contrario del suo connazionale Lars mantiene un rispetto e un’empatia nei confronti dei personaggi tali da garantire una chiusa non solo soddisfacente dal punto di vista drammaturgico, ma anche rincuorante. “La comune” può essere letta come una metafora della fine dell’era dell’acquario e delle sue belle speranze, ma quel che conta è che è un gran pezzo di film.