Tutto molto politicamente corretto in questa commedia campione d’incassi in Francia: la famiglia Bélier, coltivatori diretti proprietari di avviata azienda casearia e disabili (padre, madre e figlio minore sordomuti, ma opportunamente simpatici e zuzzerelloni); la figlia maggiore normale, brava e bella, ottimo canale di comunicazione fra la famiglia e il mondo; gli studenti del liceo locale (siamo da qualche parte della Normandia, il profondo nord francese), sempre ottusamente incerti fra strafottenza e perbenismo; il prof. di musica, segaligno e nevrotico che, frustrato nelle sue giovanili ambizioni artistiche, si sfoga con battutine fulminanti all’insegna della classe (che, giustamente, se ne frega). C’è anche il politico locale nella persona del sindaco, degno rappresentante della nota vil razza dannata, a cui piuttosto è meglio preferire un candidato sordomuto (e infatti Bélier padre si candida alle primarie).
Nulla manca in questo scenario che affastella di tutto un po’, finendo paradossalmente per essere più incomprensibile della conversazione di un udente con un sordomuto fatta senza conoscere il linguaggio dei segni. Le intenzioni del regista invece sono chiare, il film vuol essere un edificante racconto di formazione. Peccato che gli ingredienti siano quelli sbagliati, a partire dal linguaggio.
Non è un caso, infatti, che una storia di sordi affidata ad attori non sordi suoni (si fa per dire) subito artefatta. E i primi a denunciarlo sono gli organizzatori del Cinedeaf (il festival internazionale del cinema sordo), come riporta un articolo di Redattore Sociale, la rivista della comunità Capodarco di Fermo, che si occupa anche di disabilità: “I genitori sordi, nel film, non sono interpretati da attori sordi, ma da persone udenti che si fingono sordi e che usano la lingua dei segni non senza qualche limitazione nel risultato finale”, osserva uno spettatore francese sordo.
A coronamento di questo scenario, incerto fra il bucolico e il new age, c’è lei, la figlia maggiore normodotata, Paula Bélier, al secolo Louane Emera, fresca vincitrice di uno di quei concorsi per giovani talenti canori di cui pullulano anche i nostri set, televisivi e non, colei che ha fatto esclamare a Eric Lartigau vedendola: “E’ lei, lei e nessun’altra!”.
Sedicenne ragazzona di campagna, ma con snikers e leggins di città, ben nutrita e ben chiomata (e così sappiamo che anche i parrucchieri sanno il fatto loro nel piccolo paesello) corre come una matta fra la stalla di casa, dove aiuta a nascere un bel vitellino, l’aula della scuola, dove dormire sul banco è il meno che si possa fare, la cucina di casa, dove padre, madre e fratellino sordomuti fanno un baccano del diavolo (tanto non sentono!), e il mercato dove, mentre gli altri gesticolano, sorridono o fanno ghigni incomprensibili, ai clienti bisogna pur dire qualcosa per vendere il formaggio.
Non manca la cottarella tipica dell’età per il compagno belloccio modello Scamarcio, appena trasferito lì da chissà dove per chissà quale lavoro del padre, artista non si capisce bene di cosa. Naturalmente le strafighe della scuola se lo contendono e lei, ruspante com’è, non sa far altro che piangere sulla spalla dell’amica del cuore, bruttina e sessualmente iperattiva che non perde mai occasione per farlo.
L’orizzonte di Paula, invece, finisce con la famiglia, il compito di traduttrice a tempo pieno e operaia nell’azienda paterna non le crea problemi, anzi, sembra addirittura felice di ciò, ma un particolare è sfuggito al regista. Le prime mestruazioni, su cui peraltro la sequenza dedicata si dilunga oltre ogni umana misura, le arrivano alla veneranda età di sedici anni, festeggiate con gran tumulto in famiglia. Sarà normale? Chissà!
Ad ogni modo, in questo strano guazzabuglio di ingredienti, la ciliegina sulla torta è la sua voce “un diamante ancora grezzo nella tua gola”, così le dice il burbero prof. improvvisamente addolcito che, naturalmente, sarà il suo deus ex machina nonché Pigmalione.
La vita di Paula, che altrimenti si sarebbe spenta malinconicamente al seguito dei tre disabili, cari quanto vuoi, ma anche un bel po’ egoisti, ha la sua svolta. Qualche difficoltà per dirlo alla famiglia (la scuola di canto è a Parigi, come può la brava famiglia Bélier privarsi di lei?), qualche altro momento à bout de souffle buono per dare una strizzatina al plot, che altrimenti affogherebbe nella melassa (il piccolo Bélier in shock anafilattico per il lattice del condom usato con l’amica di Paula è una trovata a dir poco apocalittica) e finalmente questa commediola più dolce che agro veleggia verso il lieto fine.
Infatti quando tutto sembra perduto, ecco la Provvidenza che non tarda a metterci la mano e perfino il prof. ha il suo momento di gloria. Un bacio inatteso della collega single gli apre, inoltre, prospettive domestiche di non poco conto.
E così, mentre le platee gioiscono e si commuovono, le note di Sardou riempiono di romantiche esalazioni le sale e tutti vivono felici e contenti, tornano alla mente le parole scritte in lettere cubitali sul manifesto “Un film che vi farà star bene!”.
In Francia di sicuro, vedremo in Italia.